C’è un elefante a Times Square, incapsulato nella riproduzione di un angolo della Cappella Sistina. Il soffitto affrescato si spalanca e sul pachiderma si abbatte una cascata di bottigliette di plastica: l’animale sfonda una parete e scappa. Un gruppo di androidi, in fila, si piega di fronte a una vertebra gigantesca, formando una strana coreografia. Un gruppo di scienziati lavora in laboratorio. Una balena attraversa una spirale di dna. Sono solo alcune delle immagini che accolgono il visitatore sul sito di Giuseppe Lo Schiavo, l’artista italiano la cui opera è all’intersezione tra digitale e reale, tra scienza e tecnologia, illuminato da una importante ispirazione teatrale. In rete è noto anche con il moniker di Glos, e così lo si trova per esempio su SuperRare, la più importante piattaforma NFT a livello globale.
Tra reale e digitale: Giuseppe Lo Schiavo, un prototipo di artista dell’oggi
Formatosi tra architettura e fotografia, appassionato di temi scientifici e tecnologici, a suo agio con la creazione nel mondo reale come con quello digitale: incontro con l’artista italiano “sempre in movimento”, in mostra contemporaneamente a Trento e Roma.
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- Alessandro Scarano
- 24 novembre 2022
Tutte le mie foto sono messe in scena.
Prendi come esempio Sintetica, un progetto che sarà presentato a fine novembre al Museo della Scienza di Trento, il Muse. È stato sviluppato al laboratorio di biologia di Trento, uno dei più all’avanguardia in Europa nella biologia sintetica, dove l’artista ha realizzato delle cellule artificiali. Le ha poi filmate, creando una forma di vita digitale che esiste di vita propria: si riproduce, muore, esiste in base alle visite del sito di Lo Schiavo, che le fa da habitat. “Se qualcuno attacca il mio sito internet, morirà”, spiega l’artista. L’opera è in continua evoluzione, in base ai dati di hedonometer.org, un termometro dell’indice di felicità globale, misurato attraverso i social media.
We evolve technology, technology evolves us
Giuseppe Lo Schiavo si divide tra Londra e Milano. Lo raggiungo al suo indirizzo meneghino, in una delle recentissime torri del distretto di Porta Nuova, trovandolo da solo in una grande, luminosa sala riunioni; l’enorme terrazzo si affaccia su una Milano nuova di pacca, che sembra quasi disegnata al computer, il bosco verticale che si staglia come un monolite all’orizzonte. Lo Schiavo è al lavoro al laptop, impugna il mouse. Una t-shirt gli lascia scoperte le braccia, muscolose, risultato immagino di un allenamento costante. Sulla maglietta girocollo scura una scritta, “We evolve technology/Technology evolves us”. L’artista spiega che l’ha creata lui stesso. “Mi sono chiesto perché devo indossare scritte decise dagli altri”, sorride. Mi racconta con il suo tono affabile delle mostre in arrivo, quella di Trento e l’importante personale a Roma che inaugura il 26 novembre. Il nostro incontro è agevolato da Lenovo, con cui Lo Schiavo ha collaborato per il lancio del portatile ultrasottile Yoga Slim 7i Pro X. Il risultato è stato Henosis, un video lungo circa un minuto, “un viaggio metafisico tra passato e presente” che è un omaggio all’avanzamento scientifico, tecnologico e computazionale degli ultimi anni, un affresco interamente creato al computer. Del video sono stati successivamente mintati degli Nft dal colosso tech americano-cinese.
Tra reale e digitale
Giuseppe Lo Schiavo racconta come l’introduzione della tecnologia degli Nft abbia rappresentato un salto di paradigma per l’arte digitale. “Prima, per esporre e vendere, dovevo stampare le opere create interamente in digitale”. I non-fungible token permettono di dare agli enti virtuali un valore che non è intermediato da un oggetto fisico. “È una svolta recentissima”, sottolinea Lo Schiavo, tra i pochissimi artisti selezionati dai curatori Serena Tabacchi e Bruno Pitzalis per la prima asta Nft della casa d’aste Cambi in collaborazione con SuperRare nel luglio del 2021, un evento pioneristico di cui probabilmente ci ricorderemo a lungo nel futuro. Robotica, l’opera di Glos all’asta, è stata quella battuta per il prezzo maggiore, 8 ether, circa 17mila dollari prima del cryptoinverno tutt’ora in corso. “Non mi riconosco come artista digitale, o quel nome orrendo di ‘criptoarte’”, spiega lui, incrociando le braccia possenti.
Tuttavia è difficile scindere la progressione artistica di Lo Schiavo dall’affermarsi del digitale come segmento fondamentale dell’arte dei nostri anni. Con una attività in equilibrio – anzi, in costante passaggio e scambio – tra mondo fisico e digitale, la conversazione con Giuseppe Lo Schiavo delinea la figura di un possibile prototipo dell’artista dell’oggi e del domani, un creatore che vive in un mondo in cui i salti di paradigma causati dall’accelerazione tecnologica, e lo sconfinamento della macchina nei campi che prima erano prettamente umani, vanno conosciuti e governati, pena il rischio di essere spazzati via da uno tsunami, un po’ come gli amanuensi all’epoca dell’avvento della stampa. L’esempio più recente sono le intelligenze artificiali utilizzate come strumento creativo, strumenti come Midjourney o Dall-E che costruiscono immagini (e immaginari) a partire da poche precise query testuali. “Il loro miglioramento giorno dopo giorno è impressionante”, racconta Glos, “e permetteranno di fare l’artista a chi ha una idea, ma non ha le competenze tecniche”. Questa AI prenderanno probabilmente il posto dei molti creativi – illustratori e fotografi – che non ne sapranno sfruttarne il potenziale. Paradossalmente, proprio quegli stessi creatori da cui le macchine hanno imparato a fare quel che fanno, dopo essere state imboccate di milioni di loro immagini, nel processo di machine learning che le ha rese oggi così potenti.
Architettura e fotografia, abc del nuovo mondo digitale
Fervido lettore, da sempre stato attratto dalla scienza e dalla tecnologia, Giuseppe Lo Schiavo, classe 1986, racconta che la biologia evoluzionistica ha dato “molta chiarezza” alla sua identità artistica. Un’identità in cui altre due discipline hanno avuto un ruolo fondamentale, l’architettura e la fotografia. Con la laurea a Valle Giulia, usando i software per la progettazione, Lo Schiavo capisce che la fotografia può essere anche virtuale. I parametri sono gli stessi della fotografia nel mondo reale, gli permettono di praticare nel mondo virtuale la fotografia che predilige, quella che usa come “mezzo pittorico”. Nasce così nel 2013 la serie Levitation, in cui sperimenta la possibilità “di fare staged photography di cose che non esistono”. Il risultato mescola suggestioni magrittiane e monumenti – vivere a Roma negli anni degli studi ha avuto un forte influsso sul suo immaginario – e ritrae architetture fluttuanti che colpiscono Rebecca Wilson, all’epoca curatrice della Saatchi Gallery di Londra. “Era 10 anni fa, ancora si stampava”, sottolinea lui, come se si parlasse oramai di un tempo remoto.
Si pensa che la realtà digitale vada contro quella fisica, ma sono due cose semplicemente diverse.
La fotografia è verità?
Da lì in poi Lo Schiavo alterna la fotografia nel mondo reale e in quello digitale senza soluzione di continuità, anche se l’opera fisica, per le gallerie, resterà essenziale fino al boom degli Nft. Punto di svolta è la serie Wind Sculptures, in cui impiega coperte termiche per creare sculture effimere giocando con i tempi di esposizione della fotocamera. “Tutte le mie foto sono messe in scena”, racconta l’artista, sottolineando che la fotografia “non è la realtà”. Anche se siamo portati a crederlo, soprattutto quando si tratta di fotografia analogica. “Ma la pellicola è comunque un mezzo, non cattura la realtà com’è, forse è più reale una foto impressa sul sensore del mio iPhone”, commenta, raccontando un esperimento che ha fatto di recente. “Ho trasformato alcune immagini digitali in scatti in pellicola medio formato, mandandole in un laboratorio specializzato” – probabilmente l’unico del pianeta a farlo a colori, in New Mexico. Dalla pellicola, la foto è stata poi stampata. “Si pensa che la realtà digitale vada contro quella fisica, ma sono due cose semplicemente diverse”, commenta Lo Schiavo, “non è la realtà virtuale a discreditare quella fisica”. Ovviamente, a quel punto il discorso non può che cadere sul metaverso.
Il palcoscenico del metaverso
Per Giuseppe Lo Schiavo, il metaverso è “una tecnologia di cui parliamo più di quanto sia reale”. L’artista parla di potenzialità enormi, ma al momento “manca tutto”, dall’infrastruttura al dispositivo giusto per accedere, “nelle pubblicità di Meta vedi questi occhialini leggerissimi, ma poi il Quest (il visore consumer di Meta, NdR) è una lavatrice che ti metti in testa”, e quindi l’effetto è che “magari entri qualcuno minuto, poi esci e non vuoi mai più tornarci”. Tuttavia, ammette che l’idea lo affascina, “non sono certo contro” appunta, lui stesso ha creato sul suo sito una mostra virtuale, sviluppata a Londra durante i mesi di isolamento per il Covid, “che vista con il Quest è tutta un’altra cosa”. Nella creazione delle tre installazioni al centro della sua “Virtual Exhibition”, – Streptohumans, Oxygen is toxic e Collection Point – Glos è partito da un presupposto essenziale, ovvero che il concetto di mostra nel virtuale non debba essere legato ai vincoli fisici che conosciamo nel mondo reale.
L’arte contemporanea è sempre in movimento. E anche io lo sono.
Progetti per il futuro del metaverso? Giuseppe Lo Schiavo ha una idea chiara: uno spettacolo teatrale. L’artista è (anche) appassionato di teatro, quello sperimentale soprattutto, spiega, ed è un grande fan del regista Dimitris Papaioannou, il coreografo greco maestro delle luci celebre per avere firmato l’apertura dei giochi Olimpici di Atene. Del resto, il teatro mette insieme i due pilastri della formazione di Lo Schiavo, l’architettura da un lato, e l’uso della luce per raccontare, ovvero la fotografia, dall’altro – il significato tradotto di fotografia è appunto “scrittura con la luce”. Come sarà il teatro nel metaverso? “Sicuramente non rifaremo la Scala”, sorride Lo Schiavo. Uno script ce l’ha già in mano, spiega, è una storia che aveva scritto per il cinema, ma che funzionerebbe molto meglio in un contesto virtuale, “in cui non sai chi sono gli spettatori e chi gli attori”. Creatore e fotografo nel mondo digitale e in quello reale, appassionato di scienze e tecnologia, e perché no regista: Giuseppe Lo Schiavo interpreta perfettamente un paradosso splendido dell’artista contemporaneo, ovvero il fatto che ogni verità sull’identità artistica è fluida, ogni tentativo di incasellarlo è vana. O come la spiega perfettamente lui, sigillando la nostra conversazione: “L’arte contemporanea è sempre in movimento. E anche io lo sono”.
- Fragile - A New Fluid Reality
- Spazio Nuovo, Roma
- Giuseppe Lo Schiavo
- Guillame Maitre, Paulo Pérez Mouriz
- Fino al 14 gennaio 2023