Tessere e vagare: ha questo doppio significato la parola albanese “endje”. Anila Rubiku, nel suo lavoro, li mette in gioco entrambi, intrecciando l’atto fisico della tessitura con quello dinamico del vagabondaggio, della ricerca e dell’esplorazione. Origini albanesi, classe 1970, Anila giunge in Italia nel 1994, assieme a migliaia e migliaia di suoi compatrioti che cercano di emigrare dopo la caduta di un regime feroce che li ha oppressi per più di mezzo secolo. “Mi sentivo ignorante –ha detto a Domus – sapevo tutto ciò che riguardava il passato, nella letteratura, nella musica, nell’arte… ma nulla che riguardasse il presente, nulla del tempo in cui io vivevo, nulla di contemporaneo.” Presa dalla smania di recuperare, Anila si iscrive a Brera e si mantiene agli studi da sola.
“Avendo pochi soldi – racconta – mi sono sempre mossa in bici e ho scoperto una Milano che pochi conoscono, attraversando strade e stradine, imbattendomi negli androni, nei cortili. Ho scoperto i grigi e le nebbie di Milano. E la città ha cominciato a ispirare il mio lavoro”.
“Endje: Wander-Weaving”, la sua mostra visitabile fino al 24 gennaio 2025 presso Assab One (lo spazio espositivo ricavato negli ex stabilimenti GEA in via Assab, in zona Cimiano), è di fatto anche un omaggio a Milano e alle sue bellezze nascoste, a quella Milano che lei ha imparato a conoscere e a comprendere in tutti questi anni.
Si vedano ad esempio le tele di varie dimensioni, ricamate con fili di seta di differenti colori, che compongono la serie The Inner Door: a prima vista richiamano i dipinti di Paul Klee, ma in realtà la vera fonte di ispirazione sono le porte interne degli edifici residenziali milanesi progettati da architetti, fabbri, maestranze dalla mano intelligente. “Ho sempre pensato che Milano abbia qualcosa di scozzese, o di arabo – ci dice Anila – perché non ostenta nulla davanti agli occhi, è come nascosta, segreta, è piena di veli, e va scoperta, disvelata. I palazzi milanesi in genere hanno doppie porte: il portone esterno che chiude tutto e poi una seconda porta che dà l’accesso ai cortili, ai giardini, e sono porte piene di colori, di vetri, sono quasi sempre attraversate dal sole, dalla luce, e sono lì solo per gli occhi di chi vive in quello stabile”.
Per anni Anila ha fotografato le seconde porte dei palazzi di Milano, e ha fatto di quelle immagini il suo taccuino, i suoi appunti di viaggio. Da quelle fotografie che ritraggono porte importanti, non solo per la grandezza (ci sono porte di 7metri x 5, o di 9 x7), Anila Rubiku ha ricavato 135 disegni che poi sono diventati le tele intrecciate con fili di seta che sono esposte in mostra. In queste tele – come scrive il curatore della mostra Edi Muka – “i confini fra architettura ed emozione si fondono in delicati ricami di ricordi ed esperienze e il progetto diventa una sorta di lettera d’amore alla città, scritta non con le parole ma intessuta con fili e colori”. E’ un mondo filiforme quello di Anila Rubiku, dove design, decorazione e ricamo confluiscono in sorprendenti arazzi tessili di rara eleganza e bellezza.
Mi sono sempre mossa in bici e ho scoperto una Milano che pochi conoscono, attraversando strade e stradine, imbattendomi negli androni, nei cortili. Ho scoperto i grigi e le nebbie di Milano. E la città ha cominciato a ispirare il mio lavoro.
Anila Rubiku
Ma il mondo dell’artista/designer non si ferma qui: Anila proietta sul suo lavoro, sul suo vagare e intrecciare, anche esplicite intenzionalità politico-sociali. Sempre nella mostra milanese si può apprezzare ad esempio il progetto Ain’t I a Woman? che attraverso la collaborazione con un gruppo di donne della comunità rom di Durazzo, in Albania (un gruppo molto vulnerabile, che soffre di povertà, razzismo e discriminazione) mette in luce le lotte condivise dalle donne di generazione in generazione. Come per un atto di restituzione e riconoscimento, Anila ha chiesto alle donne rom di ricamare su 100 fazzoletti i nomi di donne che hanno dato il loro contributo, spesso trascurato, alla lotta per l’emancipazione e la liberazione femminile (da Miriam Makeba a Shirin Ebadi). Poi ha ricamato lei stessa su altri fazzoletti i nomi delle donne rom che avevano realizzato i precedenti ricami. Nella mostra i fazzoletti di seta bianca sono sospesi nell’aria, come dice il curatore sembrano quasi “uno stormo di uccelli o una nuvola sognante”, mentre il pavimento è coperto di fagioli (“in 50 anni di comunismo – dice Anila – erano l’unico alimento per saziare la pancia”), quasi a rendere il movimento difficile, costringendo il visitatore a trovare un equilibrio a ogni passo.
Nello spazio espositivo è esposto infine un ultimo lavoro, Defiants’ Portraits #1-12, frutto di un workshop che Anila ha organizzato con un gruppo di donne carcerate che hanno usato l’arte per denunciare il loro destino, la mancanza di protezione per i gruppi vulnerabili di donne e l’assenza di tutela legale. In Albania le aggressioni domestiche contro le donne sono considerate una questione familiare personale e i mariti violenti non vengono quasi mai portati in tribunale. In alcuni casi, mogli disperate uccidono i loro mariti violenti e, poiché i tribunali non riconoscono in genere le circostanze giustificative, vengono di conseguenza condannate al carcere. Con queste donne Anila Rubiku ha creato una serie di opere in ferro, poi ha voluto ripercorrere questo lavoro attraverso l’acquerello, perché è una tecnica che sfugge dalle mani e scappa via, un po’ come la vita di queste donne, e infine – ancora una volta – attraverso il ricamo. Sono opere raffiguranti finestre sbarrate, ognuna delle quali rappresenta, in modo astratto, la sua visione sulla personalità di ciascuna donna, ricavata dalle opere e dalle narrazioni provenienti dalle donne stesse. Continuando a tessere e a vagabondare, Anila Rubiku ha creato un suo mondo: uno di quelli che riescono a dar luce e voce anche al nostro mondo, e a rendere più evidenti per tutti le ingiustizie e le storture che ancora feriscono e violentano tante storie e tante vite.
- Mostra:
- Endje: Wander-Weaving
- Dove:
- Assab One, Milano
- Date:
- Dal 20 novembre 2024 al 24 gennaio 2025