Low Form. In mostra al MAXXI di Roma le relazioni tra arte e tecnologia
La mostra curata da Bartolomeo Pietromarchi propone 16 lavori che sovvertono e ridefiniscono codici estetici e formali, senza mai scadere nella spettacolarizzazione.
Nel volume New Dark Age: Technology and the End of the Future, James Bridle, artista e teorico inglese, afferma che l’accelerazione tecnologica ha trasformato il nostro pianeta, le nostre societàe noi stessi, ma non è riuscita a trasformare la nostra comprensione di questo fenomeno.
Le ragioni sono complesse e anche le risposte sono altrettanto complicate. S’inserisce in questo indeterminato e ampio recinto teorico e operativo la mostra al MAXXI curata da Bartolomeo Pietromarchi.
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
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“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
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“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence", a cura di Bartolomeo Pietromarchi, vista della mostra, MAXXI, Roma, 2018
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence” indaga le implicazioni artistiche della deriva tecnologica contemporanea attivando un processo di confronto con tematiche che sfiorano ambiti disciplinari differenti come il computational design, lo statuto dell’immagine e la filosofia.
A rendere maggiormente evidente questo impegno dialettico è un’interessante pubblicazione di supporto alla lettura delle opere in mostra che propone una raccolta antologica di saggi di artisti e teorici attivi su questo fronte: il compianto Mark Fisher, Hito Steyerl, Matteo Pasquinelli, Lucia Parisi, Benjamin Bratton e altri.
La mostra è composta da 16 lavori che restituiscono e alimentano immaginari e visioni attraverso una pluralità di linguaggicomplessi, intersezionali, nei quali contestazione politica, sperimentazione sessuale ed espressione artistica si sovrappongono, intessendo con il fruitore legami mobili e aperti.
È l’invenzione di esperienze a rendere vorticanti e molteplici le opere che, attraverso pratiche di manipolazione e dispersione tecnologica, sono in grado di sovvertire e ridefinire codici estetici e formali senza mai scadere nella spettacolarizzazione dell’inquieta relazione tra arte e tecnologia. Il titolo “Low Form”è un invito a relazionarsi con i limiti della tecnologia in termini sia di strumento sia di contenuto.
Un avatar 3D di nome Tay è il protagonista di I’m here to learn so :)))))) di Zach Blase Jemina Wyman. Un video multi-canale generato dalle tecniche diapprendimento automaticopermette a Tay di pensare, parlare e ballare su una campitura di colore acceso. Sospeso in una dimensione onirica e psichedelica, l’avatar si interroga su questioni esistenziali di un’epoca e di una generazione che appare ormai ibrida e dove i confini tra tecnologia e umano sono persi del tutto.
Riflettono sugli stessi temi, sul senso della realtàe della loro vita non-umana i due robot protagonisti delle Test Cards di Cécile B. Evans. A Plot e B Plot si scambiano opinioni sull’imprescindibilità del rapporto che ci lega alle macchine nella nostra quotidianitàe sullo sconfinamento di queste in territori finora appartenenti solo agli esseri umani.
Do You Like Cyber? di Emilio Vavarella affronta il tema dell’interazione tra persone e macchine e sull’autodeterminazione anarchica di quest’ultima. Giunti al punto in cui gli algoritmi ottimizzano le applicazioni di appuntamenti online e i robotagiscono senza alcun intervento da parte del programmatore, quali sono le caratteristiche e i comportamenti umani che vogliamo assegnare alle macchine e soprattutto qual è il confine che vogliamo tracciar loro? O forse è ormai troppo tardi? Le macchine sono giàautocoscienti? Prova a rispondere Hito Steyerl sottolineando come il concetto di animismo sia efficientemente performato dalsoftware di Google, DeepDream che rivela la possibilitàdi configurazioni estetiche e percezioni autonome, generate da reti neurali.
Strizzano l’occhio alle teorie di Timothy Morton, filosofo e autore di Iperoggettiche vede nell’intreccio tra macchine e naturale una delle caratteristiche del nostro tempo, i due lavori di Luca Trevisani Caldo (Giorgio Manganelli) e Wireless Fidelity. La prima è un assemblaggio di elementi naturali cotti al sole e la seconda una scultura di piume di pavone stampate sotto lampade UV.
Ibridismo della materia e della forma, frutto di esperimenti su naturale e artificiale, le opere di Trevisani sono segnate da qualcosa di disturbante. Gli Emissaries di Ian Cheng sono storie filmatecreate da un insieme di videogiochi, mettendoin discussione il concetto di autorialitàartistica nella loro sfuggente narrazione: sequenze atemporali di caos controllato, evoluzione e mutazione. Con un finale sempre aperto, le simulazioni di Cheng si evolvono in modo casuale, seguendo modelli multipli di intelligenza artificiale, tra costruzione e distruzione, progresso e regresso, all’interno di un ecosistema autosufficiente e in perenne trasformazione.
Un mondo post-Antropocene è quello sviluppato da Agnieszka Polka nel video animatoWhat the Sun Has Seen. Una banale emoticon sorridente prende la forma di un sole realizzato digitalmente con la tecnica del riconoscimento facciale. Il little sun osserva e commenta i tempi tumultuosi nei quali si trova oggi la Terra. Questo occhio luminoso è testimone, un sole come contemporaneo angelo che guarda e ironizza sull’umanità.
È un suono tagliente e profondamente digitale quello che anima il bel lavoro di Lorenzo Senni, Pointillistic Trance. Una polifonia di visioni, suoni e laser che proiettano immagini patinate in 3D, amplificatori che rimandano una musica dance destrutturata fatta di frammenti isolati e ripetuti. È un mondo digitale che si compiace e diverte con le enormi potenzialità delle macchine senza farsi fagocitare e rubare l’anima.
Completano la densa esperienza di “Low Form" i lavori di: Carola Bonfili, Pakui Hardware, Jamian Juliano-Villani, Nathaniel Mellors e Erkka Nissinen, Trevor Paglen, Jon Rafman, Avery K. Singer, Cheyney Thompson, Anna Uddenberg.
Mostra:
“Low form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence"
Curatore:
Bartolomeo Pietromarchi
Luogo:
MAXXI
Indirizzo:
Via Guido Reni, 4/A, Roma
Date di apertura:
20 ottobre 2018 - 24 febbraio 2019