Quando Nietzsche arrivò a Torino, nell’aprile 1888, estasiato dal rigoroso impianto urbanistico della città, esclamò: “Quali serie e splendide piazze!”.
Come una falena alla fiamma, un puzzle di artisti a Torino
Il collezionismo è il tema dell’ambiziosa mostra torinese alle rinate OGR e alla Fondazione Sandretto: ossessione ma anche progetto, racconto, identità. Un “puzzle di artisti” per annusare, farsi incuriosire e a volte sorprendere, un po’ come leggere tante frasi estrapolate da libri diversi.
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- Marta Galli
- 17 novembre 2017
- Torino
Ci volevano forse occhi stranieri per riconoscere le peculiarità di una città che, in accordo con il proverbiale riserbo sabaudo, tiene segreti i suoi tesori. Ci volevano forse tre curatori stranieri – Tom Eccles (direttore del Center for Curatorial Studies del Bard College di New York), Mark Rappolt (caporedattore di Art Review), Liam Gillick (artista concettuale britannico) – per stanare la ricchezza che giace pacifica nei musei storici del capoluogo piemontese e allestirla in un cortocircuito con il contemporaneo per una mostra dal titolo enigmatico. “Come una falena alla fiamma”, inaugurata durante la settimana di Artissima, a inizio novembre, nelle rinate OGR (Officine Grandi Riparazioni) e alla Fondazione Sandretto, assembra reperti egizi inediti e le iconiche farfalle di Damien Hirst, una Santa Caterina lignea d’alta epoca e l’impudica Sarah Lucas, l’imperturbabile scultura del Buddha e i ritratti in foggia di vaso che Tobias Rehberger ha fatto di una decina di artisti suoi colleghi. Imbattersi nell’orso di piume gialle di Paola Pivi, accasciato con il didietro all’aria, nell’area nord delle Officine, è probabilmente il momento più rarefatto del percorso.
Il monumentale lavoro di Hans-Peter Feldmann dedicato all’11 settembre, alla Fondazione Sandretto, è al contrario l’episodio che più ci ancora al quotidiano e politico. Le opere provengono dalla Fondazione Sandretto, dalla Fondazione CRT, dal museo Egizio, da Palazzo Madama, dal MAO, dalla GAM e dal Castello di Rivoli. Tra i corsi e ricorsi della mostra, ci si trova a un certo punto davanti un assortimento di vasi in maiolica e di preziosi orologi da tavola. E a una teca, magnifica, disegnata da Gio Ponti, che custodisce il saggio dell’eccentrica raccolta di costume jewelry che Patrizia Sandretto in persona indossa sulle sue mise per il resto minimaliste. Pietre colorate grandi come palline da ping-pong: è bigiotteria realizzata con le tecniche dell’alta gioielleria negli anni Trenta, in America, durante la crisi della Grande Depressione. È lei, la signora dell’arte, a riassumere icastica: “Torino città di collezionisti”. E perciò di collezioni. La sua, iniziata nel 1992 – quando non era ancora “alla moda” darsi al contemporaneo – festeggia quest’anno il venticinquesimo anniversario.
D’altra parte, è proprio il collezionismo il tema che dipana i fili dell’ambiziosa mostra torinese in cui c’è di tutto e il suo contrario. “I curatori hanno costruito un puzzle di artisti in un progetto che ragiona sull’esercizio stesso del collezionare” spiega Nicola Ricciardi, direttore artistico di OGR. “Ecco allora la serialità, l’accumulo, il desiderio di sopravvivere a se stessi. Come già ai tempi dell’antico Egitto, quando il faraone veniva tumulato con tutto un apparato materiale che doveva testimoniare chi era stato in vita”. Il titolo è la prima traccia che instrada verso la lettura della mostra e risponde all’indovinello in forma di frase palindroma che pende scolpita nel neon di Ceryth Win Evans appeso sulla soglia: “In girum imus nocte et consumimur igni”. Cosa va in giro di notte ed è consumato dalle fiamme? Per i curatori il collezionista è proprio come la farfalla notturna che si affanna con sbatter d’ali compulsivo attorno alla fonte di luce. Quella di Evans è a sua volta una citazione dell’ultimo film di Guy Debord, padre fondatore del Situazionismo, video che apre la rassegna da Sandretto. Situazionismo che torna alle OGR, nel ciclo di dipinti dell’albese Pinot Gallizio. È tutt’un inseguirsi di rimandi che i curatori disseminano in mostra costruendo un viaggio virtuale per la città di Torino e attraverso i secoli.
E certo “Come una falena alla fiamma” ha il merito di mettere in evidenza il sontuoso patrimonio della città – tanto nella retroguardia quanto nell’avanguardia – ma racconta cosa significa collezionare? Una volta, durante una conferenza, Julia Peyton-Jones, ex direttore della Serpentine Gallery di Londra, disse che il collezionismo è un gene. O ce l’hai o non ce l’hai. Torino questo gene ce l’ha da sempre, è d’altra parte il punto di partenza della mostra che si evidenzia nell’eclettismo dei materiali, ma viene il dubbio che per scoprire davvero cosa significhi valga la pena addentrarsi e perdersi in luoghi che forse non hanno la fama che meritano – e che molti di noi probabilmente non hanno mai visitato – come Palazzo Madama, che Ricciardi descrive né più né meno quale versione nostrana del prestigioso Victoria & Albert Museum. Lo stesso dicasi per le altre istituzioni museali, pubbliche e private, della città. Perché una collezione è ossessione però è anche progetto, racconto, identità. Attraversare questo “puzzle” di collezioni è l’occasione giusta per annusare, farsi incuriosire e a volte sorprendere, ma infondo è un po’ come leggere tante frasi estrapolate da libri diversi. Ce ne sono di bellissime, e magari ci verrà voglia di leggere tutto il libro.
- Come una falena alla fiamma
- 4 novembre 2017 – 14 gennaio 2018
- Tom Eccles, Mark Rappolt e Liam Gillick
- OGR – Officine Grandi Riparazioni
- corso Castelfidardo 22, Torino
- Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
- via Modane 16, Torino