Che il concetto di forma sia fondamentale nell’opera dell’artista polacco Pawel Althamer (classe 1967), lo conferma lui stesso, aggiungendo un nuovo e inaspettato significato alle sue idee spesso visionarie e altrettanto pregne di un certo misticismo e mistero. Se da un lato, infatti, Althamer si fa portavoce dei desideri e delle paure della società contemporanea, dall’altro non rinuncia alle rappresentazioni, a volte teatrali, del suo lavoro, che restituiscono un’immagine di un artista attento alla resa formale delle sue sculture – oggetti fisici che si traducono, attraverso l’interazione del pubblico, in storie personali.
Il segreto del disco di Festo
Su invito di Dakis Joannou, l’artista polacco Pawel Althamer ha trasformato l’ex mattatoio dell’isola di Hydra in uno spazio interattivo che ha come punto centrale la famiglia.
View Article details
- Tommaso Speretta
- 16 luglio 2014
- Hydra
L’abbiamo incontrato in occasione dell’apertura del suo nuovo progetto “The Secret of the Phaistos Disc”, commissionato dalla Deste Foundation di Atene per la Slaughterhouse nell’isola di Hydra, un antico mattatoio acquistato nel 2008 dal collezionista greco Dakis Joannou e riconvertito nel 2009 in project space.
Su invito di Joannou, padrone di casa generoso e appassionato, Althamer ha trasformato il mattatoio in uno spazio interattivo: l’artista ha combinato l’aspetto scultoreo e quello performativo del suo lavoro con una serie di esperimenti sociali in cui comunicazione e creatività si fondono a costruire un groviglio di relazioni che, nella loro intimità, ricordano quelle che si instaurano all’interno di un nucleo familiare. Perché è proprio la famiglia il punto centrale di questo nuovo progetto: il pubblico, interagendo e giocando, letteralmente, con un gruppo di marionette alle quali Althamer ha dato il volto dei suoi familiari, può ripensare i propri rapporti personali, abbandonandosi in un contesto in cui la figura dell’artista piano piano scompare e lascia spazio alle storie personali e allo scambio reciproco tra i partecipanti. Ancora una volta, Althamer forza i confini del suo lavoro al punto in cui la natura dei suoi oggetti acquista un’essenza umana.
A questo proposito, c’è chi potrebbe affermare che Pawel Altahmer ha trovato un buon rifugio dentro il mondo dell’arte – e in parte non sarebbe del tutto poi così sbagliato pensarlo. Se molti sono gli artisti che utilizzano gli strumenti dell’arte a fini sociali o politici, Althamer da parte sua si serve dell’universo artistico per dare risonanza agli aspetti più marcatamente sociali, o comunicativi, del suo lavoro. Non è un caso, infatti, che spesso la sua sia definita una “scultura sociale”: le sue installazioni sono territori inesplorati in cui individui diversi possono dar forma alle proprie personalità e scavare le basi per la nascita di una nuova comunità.
È per questo che nel suo offrirsi pubblicamente come una figura di un moderno sciamano (espressione che lui stesso usa frequentemente) piuttosto che come un artista figurativo, c’è una certa dose di verità. Quando incontra il pubblico di Hydra usa spesso la parola costellazione, quasi a voler dare un senso al sistema solare in miniatura che pende al centro della stanza in cui ha riunito i visitatori. Con altrettanta enfasi e frequenza parla di esperienza, iniziazione, stato mentale, combinazione, rituale, universo, intuizione, spirito, energia, forse anche per non deludere le aspettative di tutti quelli che già conoscono i suoi lavori precedenti. Ma seppure nella difficoltà di cogliere fino in fondo il senso delle sue parole, e un’interpretazione univoca del suo lavoro, interpretazione alla quale l’artista volontariamente sfugge, l’opera di Pawel Althamer prende una direzione assai precisa. La partecipazione è uno dei suoi obiettivi principali: l’artista sa che, nel farsi veicolo dei sogni e delle insicurezze altrui, può attivare quel senso di comunità e condivisione che, come afferma lui stesso, può portare alla “guarigione”.
“Considero Oskar Hansen le radici della mia conoscenza e della mia educazione”, spiega Althamer. “Così come Grzegorz Kowalski, ex studente di Hansen, che fu mio insegnante. Devo a loro l’idea che comunicare è il modo più semplice e immediato per riconoscere un problema, anche il più serio dei problemi. Quando capisci quest’idea, e cominci a praticarla, allora puoi finalmente chiederti chi sei e cominciare a ‘giocare’ con il resto del mondo. In maniera del tutto naturale”. Oskar Hansen (1922-2005) fu un architetto visionario e un insegnante modello per un’intera generazione di artisti della Polonia del Dopoguerra. Nel 1959 formulò l’idea della “forma aperta”, alla quale dedicò la sua intera vita e carriera. La “forma aperta” di Hansen è basata sul processo, l’interazione e la rottura della classica gerarchia artista-pubblico che spesso nega la soggettività dell’osservatore a favore dell’univocità dell’interpretazione, e dunque impedisce l’emergere di qualsiasi significato ambiguo. Per Hansen, la forma deve essere socialmente circoscritta e lo spazio il risultato delle attività umane che in definitiva lo costruiscono. L’attività umana diventa, nella prospettiva di Hansen, una “forma spaziale”.
“Il modello di Kowalski” – prosegue Althamer – “dovrebbe essere esportato. Ogni anno Kowalski invita gruppi di studenti alle sue classi all’Academy of Fine Arts di Varsavia a esprimersi liberamente attraverso l’uso di qualsiasi strumento e forma, siano essi il corpo, la pittura o la scultura. Questo rituale, in cui lo spazio individuale si mescola con lo spazio collettivo, deve diventare un modello internazionale da seguire, non solo nelle scuole d’arte”.
E questo è proprio ciò che accade nell’opera di Pawel Althamer che, in maniera aprioristica, delude un’interpretazione univoca in favore di una costruzione collettiva dello spazio. Per “The Secret of the Phaistos Disc”, Althamer sceglie un elemento tipico della storia e della cultura ellenica, come simbolo della possibilità di costruire significati condivisi, e invita il pubblico a interagire con la forma. L’ambiguità del disco di Festo, che ancora non è stato decifrato, e i cui segni impressi sulla terracotta non corrispondono a quelli di ciascuna altra scrittura a oggi conosciuta, è funzionale a innescare quel processo di comunicazione e collaborazione che sempre Althamer insegue nei suoi lavori. È chiaro, dunque, il perché nel vecchio mattatoio abbandonato sull’isola di Hydra, Althamer ancora una volta restituisce il visitatore alle sue radici primordiali, in un vortice di conoscenze che lo riportano a un’interpretazione “primitiva” della realtà e della sua stessa identità. Le quattro stanze della Slaughterhouse sono infatti luogo di esperienze comunemente condivise, che invitano lo spettatore a lasciare una traccia della sua presenza. L’artista allestisce un laboratorio dove mette a disposizione strumenti basilari: pennelli, colori, fogli. Nella sala adiacente è allestita una piccola biblioteca, dove ai misteriosi simboli iscritti sul disco di Festo, si sostituiscono i titoli di alcuni libri altrettanto misteriosi, quasi a dire che nella ricerca – e conoscenza – personale è nascosta la chiave di lettura dell’antico disco in terracotta.
Ma è nella sala centrale che il rituale si compie nella sua interezza. Un gruppo di bambole giace a terra a disposizione dei visitatori: miniature della famiglia allargata di Althamer, disegnate, come è già accaduto in altre occasioni, dal figlio Bruno e la fidanzata Diana Grabowska, entrambi artisti, e prodotte con una stampante 3D dal cognato della prima moglie dell’artista. Tra i personaggi che popolano questa comunità, ci sono Dakis Joannou e la moglie Lietta, insieme a uno strano personaggio, l’uomo più anziano dell’intera Grecia, che presta il suo volto alla figura di Hermes Trismegistus, supposto padre dell’ermetismo e autore della “Tavola Smeraldina”, un antico testo sapienziale che conterrebbe il segreto per ottenere la pietra filosofale.
“Ho imparato”, confessa Althamer, “mentre osservavo i miei figli giocare, che i bambini, soprattutto i più piccoli, sono straordinari insegnanti della “forma aperta”. E da qui ho avuto l’intuizione di realizzare dei burattini. Credo, molto spontaneamente, che abbandonarsi al rituale di giocare con queste bambole, possa ispiraci a ridisegnare il modo in cui consideriamo il mondo in cui viviamo. È un processo importante che nella sua semplicità ci permette di essere attori e, ridefinendo il ruolo di questi oggetti, di ripensare a chi siamo e che cosa vogliamo”. Nella sua franchezza, dunque, Althamer riafferma se stesso e il suo lavoro come uno strumento di “iniziazione”, un pretesto per costruire una comunità di individui che interagendo e condividendo paure o aspirazioni, possono ritrovare se stessi e imparare a conoscere gli altri. “Dobbiamo guardare al lato pratico della nostra conoscenza”, prosegue Althamer, “per capire in quale modo alimentare e supportare questo processo di integrazione. Possiamo, collettivamente, attivare un potere, e, grazie a questa collettività, ispirarci a vicenda e riconoscere chi siamo”. Nel caso di “The Secret of the Phaistos Disc”, i burattini sono la traduzione dei simboli iscritti nel disco di terracotta, elementi con i quali noi, come visitatori, possiamo interagire e così facendo cambiare il significato e le interpretazioni culturali di questo misterioso oggetto, e dare alla storia una nuova e diversa direzione.
Se quello di costruire una comunità e innescare processi di integrazione – sociali, politici ma spesso anche psicologici – appare più come un obiettivo politico che puramente artistico, rimane però un dettaglio fondamentale che tiene Althamer ancorato al mondo dell’arte, ossia la dimensione figurativa del suo lavoro. “Sono corpi”, confessa l’artista, parlando dei suoi burattini. “Le antiche civiltà usavano l’arte e la scultura figurativa in maniera molto saggia. Il corpo nasconde un segreto. Nella profondità della nostra conoscenza, sappiamo che il corpo è il luogo in cui ritrovare noi stessi, in cui sono conservate le nostre aspirazioni. Il corpo è quello strumento che ci permette di conoscere chi siamo. Come nel caso di Grzegorz Kowalski, che insegna ai suoi studenti a utilizzare il corpo come lo strumento basilare per raggiungere la conoscenza di se stessi. Perché, prima o poi, dobbiamo porci una domanda: chi vive realmente all’interno del mio corpo?”
© riproduzione riservata
23 giugno – 29 settembre 2014
Pawel Althamer: The secret of the Phaistos Disc
DESTE Foundation Project Space
Slaughterhouse, Hydra