di Andrea Daniele Signorelli
Sembrava un gioco tutto sommato innocuo, il cui pregio principale, come si è ironizzato più volte, era quello di convincere persino i nerd più accaniti a uscire di casa. E invece, Pokémon Go – il videogioco lanciato da Niantic nel 2016, che grazie alla realtà aumentata permette di individuare nel mondo fisico le versioni digitali di Pikachu e degli altri mostriciattoli, inquadrandoli con la fotocamera dello smartphone – si è rivelato un'innovazione cruciale sotto molti punti di vista.
Milioni di persone iniziarono a vagare ovunque per catturare i mostriciattoli protagonisti del gioco. Tra i vari luoghi c’erano anche McDonald’s e Starbucks. Non erano lì per caso.
Prima di tutto, Pokémon Go ha dimostrato le potenzialità della realtà aumentata, una tecnologia che sovrappone elementi digitali all’ambiente fisico che ci circonda, quando ancora pochi erano pronti a scommettere su di essa. Il gioco ci ha offerto un’anteprima di come potrebbero evolvere i videogiochi, soprattutto quando i visori AR (augmented reality) – attualmente al centro di un nuovo tentativo di diffusione commerciale dopo anni di flop (come quelli dei Google Glass e del Magic Leap One) – diventeranno di uso comune.
I Pokemon e il capitalismo della sorveglianza
Il successo di Pokémon Go, le cui potenzialità sono ovviamente molto maggiori se giocato tramite visori invece che attraverso lo schermo dello smartphone, ha per molti versi rovesciato quanto di solito avviene nel mondo della tecnologia, creando cioè una killer app per un’innovazione ancora non pronta alla grande diffusione commerciale (di solito avviene semmai il contrario). Non solo: Pokémon Go ha anche dimostrato quali saranno i prossimi passi del capitalismo della sorveglianza, portando in questo controverso campo delle innovazioni estremamente importanti (e inquietanti).
Quando esplose la moda di Pokémon Go, milioni di persone iniziarono a vagare ovunque – compresi cimiteri e stazioni di polizia – per catturare i mostriciattoli protagonisti del gioco. Tra i vari luoghi in cui i giocatori si riversarono c’erano anche alcuni specifici negozi, tra cui McDonald’s e Starbucks, in cui improvvisamente comparivano dei Pokémon. Non erano lì per caso: Niantic aveva infatti stretto una partnership con parecchi esercizi commerciali, che pagavano circa 50 centesimi di dollaro per ogni giocatore che giungeva giocando a Pokémon Go.
Un anno dopo, la società dichiarò di aver inviato qualcosa come 500 milioni di visitatori nelle varie “postazioni sponsorizzate”. Milioni di persone in tutto il mondo erano quindi state incentivate a mangiare hamburger, consumare caffè o magari comprare vestiti o accessori attraverso un videogioco che portava gli utenti là dove si voleva che fossero. Niente di illegale. Eppure, un tale potere di eterodirigere i comportamenti delle persone solleva qualche interrogativo: fino a che punto è moralmente accettabile che le nostre scelte siano così pesantemente influenzate?
Il passaggio di proprietà
Questa capacità di sfruttare le dinamiche del gioco per orientare le masse non è sfuggita agli investitori. E potrebbe anche essere una delle ragioni che ha portato alla vendita della divisione gaming – oltre a Pokémon Go comprende titoli come Campfire and Wayfarer – di Niantic a Scopely, azienda controllata dal fondo sovrano dell'Arabia Saudita, per 3,5 miliardi di dollari.

Niantic non ha quindi creato un database di milioni di immagini geolocalizzate, ma anche addestrato un’intelligenza artificiale a prevedere come potrebbe essere l’ambiente ancora assente nelle immagini raccolte.
Questo passaggio di proprietà, causato anche dalle difficoltà economiche di Niantic in seguito alla pandemia, solleva nuove domande sulla gestione dei dati raccolti da Pokémon Go e sugli obiettivi futuri del gioco, adesso sotto il controllo di nuovi attori con strategie economiche differenti, e che devono rispondere delle loro azioni a uno stato che non garantisce nessuna tutela democratica.
Con la vendita della sua divisione gaming, Niantic si concentrerà invece esclusivamente sullo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale geospaziale, attraverso una nuova azienda chiamata Niantic Spatial. Al di là del futuro ruolo della società saudita, è infatti noto – com’è stato rivelato in un comunicato della stessa Niantic – che la software house californiana sta invece continuando a sfruttare i dati raccolti dai suoi milioni di giocatori per addestrare un modello di intelligenza artificiale in grado di navigare il mondo.
Allenatori di Pokemon e di Intelligenze Artificiali
Non è una novità che gli esseri umani si trovino, spesso inconsapevolmente, a svolgere un ruolo cruciale nell’addestramento delle intelligenze artificiali. Ogni volta che indichiamo in un Captcha (quei test che dobbiamo spesso superare prima di accedere a un sito) che cos’è presente nelle fotografie che ci vengono mostrate, non stiamo facendo altro che aiutare l’intelligenza artificiale a diventare sempre più brava a riconoscere gli oggetti che la circondano, un sistema noto come image recognition. Nel deep learning, infatti, la macchina viene addestrata utilizzando una quantità immensa di fotografie che sono già state etichettate indicando cosa si trovi al loro interno. A furia di analizzarle, l’algoritmo impara a riconoscere autonomamente alcuni oggetti e può in seguito eseguire quel compito in autonomia.
Allo stesso modo, gli hashtag sui social network vengono sfruttati come “etichette” delle immagini che postiamo e poi impiegati per addestrare algoritmi a comprendere il contenuto delle immagini associate (etichette come #sunset o #beach vengono per esempio utilizzate per addestrare gli algoritmi a distinguere tramonti o spiagge). Qualcosa di simile avviene anche con le interazioni vocali con gli assistenti virtuali (come Alexa o Siri). Persino i robot aspirapolvere come i Roomba si affidano all’uso quotidiano da parte degli utenti per imparare a navigare autonomamente nello spazio.
Pokémon Go sfrutta la partecipazione di milioni di giocatori per costruire un modello di intelligenza artificiale geospaziale. Chiamato Large Geospatial Model (LGM, un chiaro riferimento ai Large Language Model come ChatGPT), questo sistema ha l’obiettivo di fare per il mondo fisico ciò che gli LLM fanno per il linguaggio, permettendo ai computer – come si legge nel comunicato – “non solo di percepire e comprendere lo spazio fisico, ma anche di interagire con esso in nuovi modi, diventando una componente critica dei visori AR e di altri settori, compresa la robotica, la creazione di contenuti e i sistemi autonomi. Mano a mano che ci spostiamo dagli smartphone verso la tecnologia indossabile collegata al mondo reale, l’intelligenza spaziale diventerà il sistema operativo del futuro”.

In sintesi, sfruttando le immagini del mondo prodotte dalle decine di milioni di persone che ogni mese giocano a Pokémon Go, il modello è in grado di prevedere la forma dell’ambiente circostante nello stesso modo in cui un LLM prevede quale parola abbia le maggiori probabilità di essere coerente con quelle che l’hanno preceduta.
Niantic non ha quindi creato un database di milioni di immagini geolocalizzate, ma anche addestrato un’intelligenza artificiale a prevedere – attraverso le stesse immagini raccolte dai giocatori – come potrebbe essere l’ambiente ancora assente nelle immagini raccolte.
L'obiettivo è quello di vendere alle aziende interessate il suo database di immagini geolocalizzate, assieme al modello di intelligenza artificiale in grado di “unire i puntini”, creando una mappa navigabile del mondo.
Facciamo un esempio: avendo raccolto milioni di immagini relative alle stazioni ferroviarie di tutto il mondo, il LGM potrebbe essere in grado di prevedere la forma di una specifica stazione anche senza avere a disposizione fotografie scattate da ogni prospettiva. Questo perché, anche se sono tutte diverse l’una dall’altra, le stazioni ferroviarie hanno sempre delle caratteristiche comuni, che possono aiutare il software a prevedere – con un margine di errore – quale sarà la forma completa della stazione in questione, e di conseguenza aiutare, per esempio, un robot a navigarla in autonomia e senza errori.
Ovviamente, l’obiettivo non è quello di creare dei robot in grado di fare concorrenza ai giocatori di Pokémon Go, ma semmai di vendere alle aziende interessate il suo database di immagini geolocalizzate, assieme al modello di intelligenza artificiale in grado di “unire i puntini” (diciamo così) tra un’immagine e l’altra, creando una mappa navigabile del mondo.
È un passo successivo rispetto a Google Maps e sistemi simili (da notare come il responsabile di questo sistema di Niantic abbia lavorato in passato proprio allo sviluppo di Google Maps, Google Earth e non solo), perché permette di avere una mappa digitale del mondo creata a partire dalla prospettiva dei pedoni (invece che da quella delle macchine o dei satelliti) e potenzialmente anche degli interni di un luogo.

A chi può essere utile un sistema di questo tipo? Prima di tutto, a noi esseri umani: se un domani davvero ci muoveremo indossando dei visori in realtà aumentata, poter attingere a una mappa del mondo creata dalla visuale di un pedone e sfruttare un’intelligenza artificiale in grado di prevedere che forma ha l’ambiente verso il quale ci stiamo recando, potrebbe avere delle innegabili potenzialità commerciali (permettendoci, per esempio, di orientarci all’interno di una stazione ferroviaria, ottenendo indicazioni stradali digitali sovrapposte direttamente all’ambiente fisico).
Ma il pensiero corre inevitabilmente anche ai vari robot per la consegna casalinga, già in funzione in alcune città statunitensi, cinesi e non solo, che si muovono principalmente sui marciapiedi e quindi si avvantaggerebbero enormemente del sistema progettato da Niantic.
Dalla navigazione alle armi autonome
Ci sono altri robot che potrebbero trovare utile questo sistema geospaziale basato su intelligenza artificiale? Certo che sì: il LGM creato da Niantic potrebbe infatti rivelarsi incredibilmente utile anche per robot (e non solo) che hanno la necessità di navigare ambienti sconosciuti e comprendere rapidamente ciò che li circonda. In poche parole, Niantic potrebbe avere creato un sistema incredibilmente funzionale per il mondo delle armi autonome: droni, robot e veicoli di ogni tipo che hanno la necessità di orientarsi in autonomia in territorio nemico.

Interrogato sulla questione durante il festival di giornalismo investigativo Bellingfest, il responsabile ingegneristico di Niantic Brian McClendon ha ammesso di “comprendere assolutamente” le potenzialità militari del sistema progettato grazie ai dati di Pokémon Go. “Penso che la questione sia, in generale, se si possa fare con esso qualcosa che gli utenti non vorrebbero venisse fatto. Ed è chiaro che, se questo sistema verrà usato specificamente a livello militare e per ingrandire ulteriormente i teatri bellici, allora è sicuramente un problema”.
Da notare come, in ogni caso, Niantic non avesse escluso l’utilizzo del suo software – ancora molto distante dalla commercializzazione – in ambito militare, ma soltanto che, nel caso, si tratterebbe di un problema da affrontare. Che però, forse, andrebbe affrontato prima che i vecchi utenti di Pokémon Go scoprano di aver addestrato a loro insaputa un software impiegato anche a scopo bellico.
Immagine di apertura: Pokémon Go