Le prime battute di questa 19° Biennale d’Arte di Sydney, dal titolo “You Imagine What You Desire”, sono state colorite dalle contestazioni che alcuni artisti invitati hanno mosso nei confronti della Transfield Holdings, main sponsor della manifestazione.
Biennale d'Arte di Sydney
La 19° Biennale d’Arte di Sydney “You Imagine What You Desire” a cura di Juliana Engberg, che si è aperta fra le polemiche, segue il filone tracciato dalle manifestazioni precedenti.
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- Andrea Angeli
- 16 aprile 2014
- Sydney
Questa compagnia avrebbe una piccola partecipazione, attraverso la Transfield Services, nella gestione delle infrastrutture dei Centri di Detenzione per Immigrati che il governo australiano possiede sull’isola-stato di Nauru e in Papua Nuova Guinea. Questo ha causato alcune difficoltà nell’organizzazione dell’evento, tanto da interrompere i rapporti con la Transfield e portare Luca Belgiorno-Nettis (figlio del fondatore di questa manifestazione e Direttore Esecutivo della Transfield) a lasciare la sua poltrona di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Biennale di Sydney. Ciò non ha scoraggiato però la curatrice Juliana Engberg, che alla fine ha dovuto rinunciare solo a Gabriele de Vetri e Charlie Sofo, gli unici due artisti che si sono ritirati dall’evento.
La cinquantacinquenne Engberg, già Direttrice dell’Australian Centre of Contemporary Art di Melbourne, ha pianificato un evento globale che segue il filone tracciato dalle manifestazioni precedenti. Il palinsesto di happening, incontri e performance che abbraccia la Biennale, offre a chiunque l’opportunità di assaggiarne anche solo una piccola fetta. I grossi bocconi si trovano però in cinque punti diversi della città: Cockatoo Island, Museum of Contemporary Art Australia, Art Gallery of New South Wales, Cariageworks e Artspace. Luoghi molto diversi tra loro che sono stati sfruttati al massimo delle loro potenzialità espositive per offrire un’esperienza coinvolgente anche al visitatore meno preparato.
Sicuramente la cornice più suggestiva è quella di Cockatoo Island, che per la sua posizione strategica nel mezzo della baia di Sydney, è stata prima colonia penale e poi dimora di un enorme cantiere navale. Le tracce del suo passato sono oggi usate come scenografia per eventi culturali e per accogliere il turista mordi e fuggi che può alloggiare nel piccolo campeggio attrezzato dell’isola. Per la sua particolare natura, Cockatoo Island, si presta più facilmente a installazioni video, a volte anche site specific, come l’opera di Zilla Leutenegger (Zilla’s House, 2014) che attraverso la proiezione di ombre e la diffusione di suoni, materializza nelle stanze di una decadente casa in stile coloniale, dei malinconici spettri intenti in gesti ripetitivi. Un’altra nota di struggente contrasto è rappresenta del delicato movimento delle sculture d’aria di Mikala Dweyer (The Hollows, 2014) che accarezzate dal vento ondeggiano nella staticità di un arrugginito magazzino del cantiere navale.
Gli altri luoghi che ospitano la Biennale di Sydney sono più formali e più abituati a ricevere il grande pubblico. Questo lascia spazio ad altro tipo di opere, come quella di Jim Lambie che riveste il pavimento di una sala del Museum of Contemporary Art Australia di nastro adesivo colorato (Zobop, 2014), stravolgendone così la percezione geometrica. Oppure come l’opera Nine Liquid Incidents (2010-2012), di Roni Horn, composta da 10 fragilissimi bacili in vetro colato, colmi fino all’orlo d’acqua. Accedendo allo spazio che li ospita si è invitati a muoversi con cautela, suggerimento non necessario, perché il confronto con queste masse immobili, nelle quali riflettersi e riflettere, infonde profonda quiete e rispetto.
“You Imagine What You Desire”, tuttavia, non è una vera e propria mostra a tema. La strategia curatoriale ha prediletto un raggruppamento di opere non strettamente connesse tra loro, optando spesso per un tipo di arte più ludica, facilmente digeribile, non troppo pretenziosa dal punto di vista concettuale, che dà occasione anche alle famiglie di fare un tuffo nel mondo dell’arte. In più la maggioranza dei 90 artisti ospitati presenta video e cortometraggi. E a volte, dopo essere passati attraverso una martellante sequenza di proiezioni, ci si stupisce quasi di trovare opere d’arte figurativa. Come nel caso di Anna Tuori, con le sue diafane raffigurazioni di paesaggi immaginifici (come Nobody Knew My Rose, 2013), che dopo un vorticoso oscuro percorso attraverso gli stages della Cariageworks, appaiono come una necessaria pausa di riflessione che lascia prendere fiato al visitatore.
La preponderanza di questo media – il video –, perciò, indirizza verso un intrattenimento di massa, piuttosto che offrire una visione dell’arte contemporanea globale e legata da un unico filo logico. In questa 19° Biennale di Sydney si nota l’assenza di un tema, che lascia solo emergere alcune opere su altre, non caricando l’assunto You Imagine What You Desire oltre il suo più semplice significato. Viene lasciato a ciascun visitatore il compito di orientarsi in questo raggruppamento di opere e mostre e di trovare un proprio trait d’union.