La pena è adeguata al crimine?
Con oltre otto milioni di individui detenuti in prigione,
la popolazione carceraria è una delle comunità
in maggiore espansione nel mondo. Gli Stati Uniti
d'America, che rappresentano il 5% della
popolazione mondiale, vanta il 25% della
popolazione carceraria totale. I due milioni di persone
che negli Stati Uniti stanno dietro le sbarre
rappresentano la più alta percentuale procapite di
incarcerazione nella storia dell'umanità, e hanno fatto
delle prigioni americane la categoria di edifici abitativi
che si è sviluppata maggiormente in tutto il Paese.
In ogni caso, ripensare le singole celle, senza mettere
in discussione le gravi carenze del sistema
penale, significherebbe avallare in modo implicito le
politiche esistenti. Per questo motivo, per la
mostra "YOUprison" (dal 12 giugno alla Fondazione
Sandretto Re Rebaudengo di Torino, n.d.r.)
utilizzeremo il contesto di una cella-galleria per
indagare in una prospettiva più ampia il concetto di
spazio come strumento punitivo. L'intenzione
non è quella di migliorare la cella, ma riflettere su un
sistema che considera la cella come lo strumento
punitivo più piccolo. Al di là del riconoscimento del
ruolo riformatore svolto dall'architettura nei confronti
dei complessi problemi sociali delle prigioni,
l'incarcerazione è senza alcun dubbio una questione
che riguarda lo spazio: la prigione isola il criminale
tenendolo a distanza di sicurezza dallo spazio fluido
condiviso dalla gente e lo confina nello spazio minimo
considerato accettabile per vivere. La pena viene
calcolata applicando una matrice spazio-temporale:
più grave è il crimine commesso, più punitivo sarà lo
spazio di reclusione e più lunga sarà la detenzione.
La formula della pena viene messa in discussione in
caso di atti criminali eticamente ambigui.
Consideriamo, per esempio, un personaggio
pubblico accusato di un crimine 'amministrativo',
che, attraverso i media, viene processato "nel
tribunale dell'opinione pubblica", poi condannato e
rinchiuso in un istituto carcerario a basso livello di
sicurezza (Club Fed). Che cosa dovrebbe significare
l'isolamento in termini di spazio, comunicazione e
sospensione dei rapporti sociali per qualcuno che
non costituisce un rischio per la società? All'estremo
opposto, c'è invece il "nemico combattente" – una
figura prodotta dal clima politico che è seguito al
Patriot Act – che viene percepito come una minaccia
della sicurezza nazionale e quindi detenuto a oltranza
in isolamento in strutture militari ad alta sicurezza,
dove non sono riconosciute le leggi internazionali sui
diritti umani. Come definire questo limbo spaziale?
E che dire della stragrande maggioranza dei detenuti
puniti due volte perché costretti a stare in penitenziari
sovraffollati, privi di un'assistenza sanitaria adeguata
e che sono diventati vittime di un sistema giudiziario
penale criminale, che ha rinunciato alla vocazione
riabilitativa dell'incarcerazione, rendendola fine a se
stessa? Come definiamo la massima e la minima
sicurezza, le limitazioni della libertà e termini come
controllore/controllato? Ricollegando in modo chiaro
la logica attuale che regola le pratiche carcerarie con
la promessa utopica di riabilitazione e rieducazione,
noi proponiamo un nuovo metodo di calcolo dello
spazio in cui un detenuto è confinato: uno spazio che
riconosca la diversità della popolazione carceraria e
possa essere adattato al singolo individuo, ma che al
tempo stesso garantisca a tutti i detenuti un ambiente
sicuro, umano e dal quale sia possibile comunicare
(sebbene sotto controllo) con un mondo esterno in
rapida evoluzione. Le nuove tecnologie rendono
possibile slegare il ruolo punitivo della cella dalle
esigenze di sicurezza e quindi produrre un vasto
spettro di livelli di condizioni detentive, reclusione,
sorveglianza e permeabilità.
Questo nuovo calcolo permetterebbe al progetto
della singola cella di prevedere una serie di elementi
variabili che si sistemano in una struttura "a taglia
unica", che può essere ampliata grazie a una serie di
accessori che consentono anche di soddisfare altre
esigenze quali l'isolamento o il bisogno di privacy, le
opportunità di vita sociale, ingresso di luce e aria
fresca, il controllo della temperatura ambientale, la
vista, l'informazione e le comunicazioni. Questo
sistema di variabili farà parte di un progetto digitale.
La galleria-cella pensata per la Fondazione Sandretto
Re Rebaudengo avrà uno sfondo bianco e vuoto con
solo un monitor touch screen montato su una
colonna centrale dotata di due bracci girevoli ed
estendibili. Lo schermo sarà l'interfaccia di
videogame interattivi di vario tipo, complessi e densi
di contenuti politici. Al pubblico verrà chiesto di
contribuire a ripensare le linee guida della sentenza e
la loro traduzione nello spazio, coinvolgendolo così in
una matrice di crimini che stimolano la riflessione
sulla morale e i costumi: uso di droghe, perversioni
sessuali, insider trading, cospirazione, disturbo della
quiete pubblica, comportamenti illegali, immigrazione
clandestina, ecc. Il pubblico valuterà le circostanze
attenuanti e aggravanti, emettendo una sentenza
potenziale. Lo schermo mostrerà il progetto della
cella risultante in Quicktime VR. Girando lo schermo
in tutte le direzioni, destra-sinistra-su-giù, si vedrà il
progetto come se lo schermo fosse trasparente: oltre
al vetro verrà rappresentato lo spazio virtuale del
progetto. L'immagine della cella cambierà seguendo
il variare degli elementi che mettono in discussione i
temi attuali di isolamento e detenzione che
costituiscono la base del modello carcerario.
YOUPrison
Dodici riflessioni sulla limitazione di spazio e libertà. Dodici celle in scala reale realizzate da altrettanti studi di architettura alla Fondazione Sandretto di Torino. Per far percepire sulla propria pelle i temi scottanti connessi a uno spazio tra i più difficili e coinvolgenti. Testo Diller Scofidio + Renfro con David Allin, Hayley Eber, Eric Rothfeder.
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- 20 marzo 2008