Architettura brutalista a rischio: 10 progetti che potrebbero scomparire

Dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Tunisia al Giappone, raccontiamo la storia di opere brutaliste in stato di degrado e abbandono che languono in attesa di una nuova vita (o della demolizione).

Come Domus ha avuto modo di osservare, l’architettura brutalista ha lasciato un’eredità importante ma talvolta controversa. Sviluppatosi nel secondo dopoguerra a partire dall’Inghilterra come corrente architettonica in aperta contestazione dei principi e degli stilemi fino ad allora dominanti nel Movimento Moderno, per poi diffondersi in tutto il mondo, il Brutalismo presenta elementi ricorrenti, nonostante le variabili di contesto: il lessico scarnificato e “antigrazioso” fatto di volumi massivi e rigorosi, il funzionalismo schietto tradotto nell’impianto planivolumetrico chiaro ed efficiente e nella struttura rigorosamente a vista, l’uso entusiastico del cemento armato al grezzo come materiale preferenziale sia per le caratteristiche strutturali e di economicità sia per le valenze figurative.

Nonostante gli ardori dei sostenitori che leggono in questa architettura orgogliosamente anti-intellettuale, che parla alle masse dei cui bisogni si fa interprete, soprattutto nell’ambito delle architetture civiche e per la comunità, una “rozza” (come la definirono gli Smithson) ma potente poetica, non mancano i detrattori che vi rintracciano l’emblema delle disfunzioni della città moderna, per via del rapporto talvolta indifferente e non sempre risolto con il contesto ambientale e del degrado materiale che ha spesso minato la durevolezza delle opere. Dall’Italia agli Stati uniti, dalla Tunisia al Giappone, Domus ha selezionato 10 architetture brutaliste “a rischio” di sopravvivenza che oggi, vittime del decadimento, del cambio di vento del mercato, di un’assenza di visione programmatica da parte di enti pubblici e investitori, languono in attesa di capire se risorgere a nuova vita o cedere ai colpi del bulldozer. 

Immagine di apertura: Hilario Candela, Miami Marine Stadium, Miami, Stati Uniti. Foto Felix Mizioznikov da Adobe Stock

Vittoriano Viganò, Istituto Marchiondi, Baggio, Milano, Italia 1957 Foto Fondo Paolo Monti da Wikipedia

Complesso, considerato un capolavoro dell'architettura brutalista a livello internazionale e oggi in stato di degrado, è composto da quattro nuclei edilizi principali orientati secondo un asse est-ovest e immersi in un parco, che ospitano le diverse aree funzionali: uffici e direzione, convitto per gli studenti, il corpo per i docenti e un centro scolastico. L’impianto planivolumetrico è caratterizzato da una rigorosa scansione modulare, enfatizzata dalla struttura in cemento a vista a passo costante. Particolarmente innovativa la scelta compiuta dall’architetto, d’accordo con gli educatori dell'Istituto, di abolire le tradizionali camerate in favore di alloggi duplex. 

Hilario Candela, Miami Marine Stadium, Miami, Stati Uniti 1960 Foto Bumbiti da Wikimedia Commons

Lo storico complesso brutalista del Miami Marine Stadium fu originariamente costruito per le gare di motoscafi oltre che spettacoli culturali ed eventi. L’opera fu utilizzata fino alla sua chiusura nel 1992, in seguito alle devastazioni dell'uragano Andrew, rimanendo poi vuota per trent’anni. Diversi progetti di restauro, senza successo, si sono susseguiti nel tempo: considerato l’elevato impegno economico per il recupero della struttura, la città di Miami sta valutando se procedere con il restauro o con la demolizione.

Geddes, Brecher, Qualls & Cunningham, Roundhouse, Philadelphia, Stati Uniti 1962 Foto Ajay Suresh da Wikimedia Commons

Situato sulla storica Race Street di Philadelphia, Roundhouse è un corposo e riconoscibile volume curvilineo progettato per la Philadelphia Police Administration e uno dei primi edifici degli Stati Uniti a utilizzare la tecnologia del calcestruzzo prefabbricato. Utilizzato come quartier generale della polizia dal suo completamento fino al recente trasferimento dell’istituzione a nuova sede, da anni è in attesa di una nuova funzione potrà svolgere.

Giuseppe Davanzo, Foro Boario, Padova, Italia 1964 Foto Francalb89 da Wikimedia Commons 

Il progetto del mercato del bestiame si ispira al concept della tenda che caratterizza storicamente le feste paesane, le fiere boarie e il circo. La planimetria, impostata su una griglia modulare a maglia quadrata di 10x10m, è ruotata di 45° rispetto all'asse stradale permettendo la formazione di spazi scoperti di pertinenza dei fabbricati, in una continuità tra esterno e interno. La struttura puntiforme sostiene la copertura in laterocemento che sale progressivamente da un'altezza minima di 2,80 metri a una massima di 13,30 metri. Sono in corso riflessioni su come preservare e recuperare l’edificio, da anni abbandonato e fatiscente. 

Paul Rudolph, Boston Government Services Center, Boston, Stati Uniti 1971 Foto Naqib Hossain da wikimedia commons

Il monumentale complesso per uffici governativi del Boston Government Service Center, composto da una serie di edifici interconnessi e una piazza, non è mai stato portato a termine come da progetto originario e negli anni ha sofferto di ritardi e inefficienze nella manutenzione e della de-qualificazione degli spazi pubblici convertiti a parcheggio. Il governo ha intrapreso un processo di riqualificazione, prefigurando un ampliamento del comparto con nuove cubature residenziali e di laboratorio scientifico. Il progetto è ora in fase di revisione normativa e lo stato mira a iniziare i lavori nel 2025.

Raffaele Contigiani, Hotel Du Lac, Tunisi, Algeria 1973 Foto Jerzystrzelecki da wikimedia commons

Il complesso in cemento a vista e struttura in acciaio con la sua sagoma a piramide rovesciata è una presenza dirompente nello skyline di Tunisi. L’hotel fu privatizzato negli anni '90 ma cadde in rovina e chiuse i battenti nel 2000. Acquisito nel 2011 da una società di sviluppo immobiliare che ne propose la demolizione, si salvò dalle ruspe per la forte contrarietà degli oppositori che riconoscono nell’edificio uno dei pochi esempi di architettura brutalista nel Nord Africa e il simbolo della modernizzazione della Tunisia. Nel 2019 fu lanciata una petizione per salvare la struttura ma l’edificio versa oggi ancora in pessime condizioni.

Kenzo Tange, Ambasciata del Kuwait, Tokyo, Giappone 1970 Foto S23725 da Wikipedia

L’edificio, uno dei pochi rimasti a firma di Tange a Tokyo, si sviluppa su sette piani e due seminterrati e ospita gli uffici e la residenza dell’ambasciatore. Ispirandosi al tema del cortile arabo, il progetto presenta patii, piccole aree verdi e giardini pensili. Nonostante sia stato scartato il piano per la sua demolizione sembra che un processo di rinnovamento dell’edificio, segnato dal passaggio del tempo, non sia ancora stato intrapreso. 

Giuseppe Perugini, Uga De Plaisant, Raynaldo Perugini, Casa Sperimentale, Fregene, Roma, Italia 1971 Foto fotographicrome da AdobeStock

Ridurre la cosiddetta Casa Albero a semplice residenza estiva sarebbe riduttivo, perché l’opera progettata da una famiglia di architetti (padre, madre e figlio) per sé stessi non è soltanto una casa al mare ma un esempio di sperimentazione di un nuovo linguaggio architettonico in ambito abitativo. L’opera è stata concepita come work in progress continuamente trasformabile, fermo restando il dialogo costante con la natura. Il complesso è formato da tre edifici di tipologia diversa: la casa, con struttura modulare ripetibile, in calcestruzzo grezzo, vetro e acciaio tinto di rosso; la palla, una sfera di 5 metri di diametro concepita come appendice esterna alla casa; i tre cubetti, moduli spaziali cubici intervallati da semi-moduli contenenti i servizi, camera da letto, soggiorno e cucina, in meno di 40 metri quadrati. Oggi disabitata e in attesa di restauro, si anima occasionalmente grazie a visite guidate.

Rinaldo Olivieri, La Pyramide, Abidjan, Costa D’Avorio 1973 Foto Célin da Wikipedia

L’edificio è stato concepito come manifesto di un entusiasmo post-indipendentista che vedeva la capitale trasformarsi in una città moderna e cosmopolita. Incastonato nel Plateau, la zona di Abidjan che voleva diventare una Manhattan ivoriana, era concepito come un edificio polifunzionale su modello occidentale, con un centro commerciale, uffici, ristorante panoramico, un nightclub e un supermercato. Il riferimento alla tradizione costruttiva locale rivive nella sagoma complessiva a spiovente, in risposta delle forti piogge, e nei frangisole che proteggono dal clima equatoriale. L’edificio è rimasto in gran parte vuoto dagli anni '80 ed è caduto in rovina a causa degli elevati costi di manutenzione, delle controversie sulla proprietà e dei problemi di sicurezza. Una proposta di recupero è stata esplorata dal progetto Pyramide des arts modernes et de l'histoire d'Abidjan (PAMH'A)" dell'architetto Francis Sossah con l'intenzione di trasformare l'edificio in uno spazio culturale multifunzionale. La demolizione non è quindi attualmente all'ordine del giorno ma il futuro della piramide è ancora incerto.

Jacques Binoux, Damiers de Dauphiné, Parigi, Francia 1976 Foto Etienne Baudon da Flickr

Il mastodontico complesso de Les Damiers du Dauphiné, disposto su 23 piani e alto 77 metri per 224 appartamenti, rientra nel comparto Damiers, che comprende 640 abitazioni in quattro edifici (Damiers d'Anjou, Damiers de Bretagne, Damiers de Champagne e Damiers de Dauphiné). La disposizione a gradoni e la forma piramidale favoriscono una illuminazione naturale fino ai livelli inferiori riservati ai negozi locali. Le facciate sono decorate con pannelli prefabbricati in calcestruzzo di avvallamenti e rilievi. Nel 2011 il complesso è stato evacuato e venduto per essere demolito e sostituito con un complesso ad uso misto, senza che però l’acquirente finalizzasse l’operazione per mancanza di risorse. Da allora il complesso è per lo più disabitato e ancora a rischio di demolizione.