Dopo avere deciso di arrampicarsi su un albero del giardino dichiarando di non volerne più scendere, il protagonista de “Il Barone Rampante” di Italo Calvino finisce per spostarsi deliberatamente solo attraverso boschi e foreste e costruirsi una propria dimensione esistenziale sugli alberi. Senza ovviamente spingersi ad un’idea parossistica di fuga e negazione della vita reale, questo rapporto non solo estatico-contemplativo in senso romantico ma anche profondamente funzionale e prosaico con la Natura è un leitmotiv che guida, nella storia recente, l’opera di molti celebri architetti che hanno inteso il paesaggio non come semplice “quinta scenica” ma come parte strutturante e fondativa della progettazione e del modo di vivere e di abitare.
Undici capolavori architettonici immersi nel verde
Tra boschi, colline e cascate, ma anche in città, la Natura è un elemento progettuale che si insinua potentemente nell’opera costruita divenendone parte integrante e principio ispiratore.
Foto di Peter Guthrie da CC
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Foto di Kevinq2000 da CC
Foto di Un rosarino en Vietnam da CC
Foto di OfHouses da CC
Foto di OfHouses da CC
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- Chiara Testoni
- 28 aprile 2022
Case tra gli alberi letteralmente “in punta di piedi” per ridurre l’impronta costruita (Mendes da Rocha, Butantã House; Perugini, Perugini, De Plaisant, Casa sperimentale; Lacaton & Vassal, Casa a Cap Ferret; Go Hasegawa & Associates, Pilotis in a Forest House); case che sono un “medium” per percorrere e sperimentare la natura (Glenn Murcutt, Simpson-Lee House; SANAA, Grace Farms River Building) e che sono concretamente integrate in questa (Frank Lloyd Wright, Fallingwater; Aires Mateus, Casa a Monsaraz); opere in cui il contesto sprigiona un’aura vagamente “animista” (Asplund e Lewerentz, Cimitero nel Bosco di Stoccolma) e in cui il costruito trae dalle forme e dall’energia dalla Natura nuova linfa vitale (Ricardo Bofill, Fàbrica) e strumenti di sostenibilità (Renzo Piano Building Workshop, California Academy of Science). A dimostrare forse, con il “barone rampante”, che tra il cinguettio degli uccelli e lo squittire degli scoiattoli tra le foglie, l’idea di un “nido” in cui trovare realmente pace e rifugio – e forse sé stessi – non è poi così folle.
Il complesso con crematorio, cappelle, collina della meditazione, campi inumatori si situa in una vasta area boschiva con pianure, boschi e radure e rappresenta un esempio di raffinato equilibrio tra artificio e natura. Qui corrono lepri, caprioli e scoiattoli ad accompagnare i visitatori al commiato, anche se la morte non è vissuta come una “fine” ma come una “transizione” verso un’altra dimensione, grazie al processo di rinascita che trova la sua conferma nei tempi di rigenerazione della Natura.
Wright diceva che “se ascolti il suono di Fallingwater ascolti la quiete della campagna”. E in effetti non c’è nulla di più pacificante del cogliere, comodamente adagiati nella protezione di un rifugio domestico, i suoni della foresta. Adagiata tra le colline di Mill Run sulla cascata naturale di Bear Run, la casa con i suoi dirompenti volumi a sbalzo rivestiti in pietra di cava è un’appassionata dichiarazione d’amore del progettista alla Natura e sottende una inesausta ricerca di un equilibrio tra Uomo, tecnologia e paesaggio.
Se per tutti gli architetti l’idea di una casa/studio su misura per sé stessi è la sfida più allettante, La Fàbrica è il luogo “del cuore” che l’architetto spagnolo ha scelto per ospitare la sua abitazione e il suo studio (oltre a luoghi espositivi, sale per concerti ed eventi culturali): un vecchio cementificio degli anni ‘20 riconsegnato alla vita grazie ad un processo di rigenerazione mai concluso, in un’atmosfera un pò surrealista immersa nel suggestivo paesaggio mediterraneo tra palme, ulivi ed eucalipti.
Adagiata nello spettacolare scenario delle Blue Mountains a ovest di Sydney tra rocce, foreste e antichi tracciati aborigeni, un’abitazione dal carattere “monastico” (come richiesto dai committenti), fatta di materiali semplici e resistenti (cemento, acciaio e lamiera ondulata) incarna la profonda attenzione del progettista all’idea di “casa” come rifugio essenziale e accogliente e alla fusione con il contesto naturale con cui l’edificio si rapporta quasi come “varco” per accedere alla vallata.
Se incontri un albero non lo abbatti ma lo inviti a fare parte integrante della costruzione: è questo l’approccio del duo di progettisti francesi, Pritzker Prize nel 2021, che nella casa a Cap Ferret hanno concepito l’architettura in totale subordine del paesaggio del bacino di Arcachon in cui si sita. L’abitazione, sopraelevata di qualche metro rispetto al livello del suolo e realizzata con materiali schietti e naturali (legno e metallo) esalta il concetto di un abitare semplice letteralmente “tra gli alberi”, un po’ a evocare lo spirito simbiotico del Padiglione Nordico alla Biennale di Venezia di Sverre Fehn.
Situata all’interno del Golden Gate Park, la sede della California Academy of Sciences, istituto di ricerca e museo di scienze e storia naturale di San Francisco, è un’opera all’insegna della sostenibilità più convinta, dall’utilizzo di materiali di riciclo all’impiego di una forte componente vegetazionale, simbolicamente rappresentata dall’avvolgente copertura verde con andamento concavo e convesso che favorisce il recupero dell’acqua piovana, l’isolamento termico e l’incremento della biodiversità.
A tre ore da Tokyo, una casa per vacanze all’insegna della leggerezza: un volume etereo in legno e metallo sospeso a 6,5 metri su pilotis sembra letteralmente fluttuare tra gli alberi, offrendo dalla piazza al piano terra e dagli ambienti abitativi caldi e accoglienti al piano primo un’interazione continua e totalizzante con la foresta.
Questo luogo non particolarmente noto al di fuori dagli States ospita due tra le architetture più iconiche del Nord America: la Glass House di Philip Johnson e il Grace Farms River Building di SANAA. Sede di una fondazione filantropica, l’edificio progettato dallo studio giapponese è parte integrante del paesaggio: una costruzione trasparente e leggera che si srotola morbidamente tra le linee ondulate delle colline e dove tutte le aree funzionali (auditorium, biblioteca, spazi per l’accoglienza, ristorante e spazi culturali e multifunzionali) si susseguono sotto un’unica avvolgente copertura.
Una casa mimetica immersa nel paesaggio lacustre sulle sponde del lago Alqueva, coperta da una morbida cupola verde “bucata” da aperture zenitali, con le sue accentuate linee curve e i suoi volumi plastici e scultorei in cemento a vista evoca un linguaggio in bilico tra il brutalista e l’organico, suggerendo una forma zoomorfa appena guizzata fuori dall’acqua.
In Brasile, dove la natura pulsa con tutta la sua selvaggia energia, la casa disegnata per sé e per la propria famiglia da Paulo Mendes da Rocha, Pritzker Prize nel 2006, è un imponente volume brutalista sospeso sul suolo e sorretto da possenti pilastri in cemento armato, che evoca un rifugio introverso in bilico tra solidità e accoglienza e a cui una coltre di vegetazione rigogliosa fa da protezione.
Una famiglia di architetti (madre, padre e figlio) ha trasformato la propria casa di vacanze in un’occasione di sperimentazione tecnica, riflessione sul tema dell’abitare e dialogo con il contesto naturale in cui si situa: una costruzione brutalista in calcestruzzo a vista, caratterizzata da un sistema modulare di telai e piastre appoggiate o a sbalzo, sospesa sul sito quasi a sfidare la forza di gravità, fluttua nella pineta come un “nido” tra gli alberi: forse l’idea di “casa”, a dispetto delle forme spigolose, più tenera che ci sia.