In Squid Game, la serie più vista su Netflix, (ne abbiamo già parlato qui) la scenografia è co-protagonista della narrazione: tra le atmosfere cupe di un Panopticon o di un carcere piranesiano e suggestioni zuccherose di un asilo stereotipato, gli spazi vengono disegnati – e deformati – per incidere in modo sottile e insidioso sulla psicologia dei personaggi. Il tema costante è la discrasia tra lo spazio evocato – spesso legato ai ricordi infantili – e la violenza delle attività che vi si svolgono: la perdita dell’aura di innocenza dall’infanzia al mondo adulto, con le sue esacerbate perversioni.
Il dormitorio, la scala, la sala d’attesa
Spiazzante ad esempio è il dormitorio, dove i letti a castello sono affastellati attorno allo spazio centrale: la suggestione è quella di un luogo in cui le persone, sotto i colpi della massificazione, perdono la loro identità e si riducono ad oggetti accatastati sugli scaffali di un magazzino.
Altro ambiente disturbante è la scala che i partecipanti attraversano per accedere alle arene: con la sua conformazione labirintica ispirata alla litografia di Escher provoca un senso di disorientamento nonostante le melliflue tinte pastello che citano la Muralla Roja di Bofill.
A differenza dell’esplosione cromatica di altri luoghi, la sala d’attesa è di un bianco abbacinante: con il suo minimalismo spinto, le sue pareti curvilinee e l’atmosfera onirica, è concepita per creare un senso di inquietante attesa in vista di un non ben chiaro sviluppo degli eventi.
Le arene di gioco
Poi ci sono le arene da combattimento dove regna lo smarrimento in contrapposizione alla pacificante rievocazione di emozioni che appartengono a un’età, forse felice, di purezza e candore. La prima arena è un spazio fintamente bucolico a cui si accede da architetture semplificate e rivestito ai lati da quinte di cielo azzurro. Elemento perturbante è la maxi bambola con telecamere al posto degli occhi che interpreta il ruolo intimidatorio di un Grande Fratello: il sovradimensionamento del giocattolo inverte perversamente le parti, facendo degli adulti patetici giocattoli nelle mani di una forza superiore.
Nel campo giochi dove si svolge il Gioco 2 atmosfere contraffatte con nuvole e sole da cartone animato e scivoli e altalene totalmente fuori scala sottendono, come nell’arena precedente, la nullità dell’individuo concepito alla stregua di una pedina.
Nell’arena per il Gioco 3, gigantesche piattaforme sospese su cavalletti di un giallo squillante in contrasto con l’oscuro spazio circostante sono il piano d’appoggio su cui le squadre si sfidano al tiro alla fune: le strutture macroscopiche ancora una volta evocano l’annichilimento della persona schiacciata dal peso del potere che la governa.
Il campo per il Gioco 4 è uno pseudo villaggio coreano fatto di vicoli e case con sfondo rosso che fa da scenario a un gioco di biglie mortale in stridente contrasto con il ricordo dei partecipanti di luoghi tradizionalmente cari.
Infine, il Gioco 5 si svolge su un ponte di vetro che presenta l’insidia di lastre non temperate che se calpestate fanno inevitabilmente cadere nel buio il malcapitato: un cammino che ha il sapore di una performance grottesca, illuminata da luci lampeggianti che evocano un’atmosfera circense tra ridicolizzazione di chi si esibisce e spettacolo a buon mercato.
Una critica feroce della contemporaneità di cui la serie è metafora.
Immagini gentilmente fornite da Netflix