Il ritratto dell'architettura e l'architettura del ritratto sono i due temi che danzano e si mescolano nelle opere fotografiche di Francisca Rivero-Lake Cortina e Carla Verea, duo di Città del Messico che dal 2005 traduce in immagini l'interpretazione emotiva degli spazi. Le tecniche e i formati fotografici che utilizzano, restituiscono al pubblico un punto di vista personale e intimo sugli edifici che immortalano; un modus operandi che ha trovato la sua massima espressione nella loro mostra più recente, Paparazza Moderna, al Vitra Design Museum tra febbraio e luglio 2019 – la prima volta che Lake Verea presentava in Europa il proprio lavoro.
Dieci film di architettura selezionati dal duo messicano Lake Verea
Le paparazze dell'architettura ci accompagnano lungo una lista che, strato dopo strato, rivela e disvela i significati di privacy e intimità.
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- Elisabetta Donati de Conti
- 16 maggio 2020
Per questa esposizione le grandi icone moderniste sono state fotografate nella loro semplicità quotidiana, senza “il trucco da shooting editoriale” – una tipologia di lavoro che stavano portando avanti anche lo scorso febbraio ritraendo con la luna piena la Glass House di Philip Johnson – e quindi non è una sorpresa che anche nei loro gusti cinematografici ci sia un occhio di riguardo per il voyeurismo architettonico. Anche nei film infatti, la casa si fa spesso strumento e veicolo di sguardi indiscreti di vicini, passanti e amanti, così come di abitudini morbose, di desideri inconfessabili e di utopie collettive.
Ambientato nel 2026, questo grandioso film tedesco racconta della condizione umana – quella di individui facilmente manipolabili - in una collettività dove il confine già labile tra lo spazio personale, intimo, privato e quello pubblico, scompare del tutto.
Parallelamente, anche questo cult di von Trier presenta uno scenario in cui è possibile osservare contemporaneamente il fuori e il dentro degli spazi, dal momento che non c'è alcuna differenza tra i due. Così come in Metropolis i personaggi si muovevano in accordo a qualsiasi cosa dicesse il leader, anche in Dogville l'individualità scompare in favore del gossip e dei comportamenti del gregge. Gli abitanti sono impoveriti e spaventati, raggruppati in una piccola comunità da cui non potranno mai andarsene – o che hanno paura ad abbandonare – perché a tutti gli effetti non c'è nessun “al di fuori”, proprio come sta accadendo a noi in questo periodo.
Uno dei più irriverenti e spiritosi film sui fantasmi, questo film unisce i vivi e i morti in una casa che qui ha un valore ancora più personale e soggettivo: quando i personaggi provano ad uscire trovano il vuoto, non esiste un fuori e tutto avviene all'interno delle mura domestiche. L'intera storia si svolge in un gioco di scale e piccoli modelli, che rafforzano la chiave comica di Beetlejuice; a un certo punto chi si trova dentro disegna persino una porta in un disperato tentativo di creare uno spazio per raggiungere un altrove immaginario.
La stessa dinamica si rintraccia in questa storia incredibile nella quale un gruppo di amici dell'alta borghesia messicana si ritrova a casa di uno di questi per una cena elegante, durante la quale tuttavia la servitù se ne va lasciando da solo il maggiordomo. Tutti gli altri personaggi rimangono bloccati all'interno del salone: nessuno può entrare e nessuno può uscire. In un susseguirsi di vicende, questa commedia nera porta pian piano a galla le sfaccettature della composizione della società costretta all'interno di uno stesso spazio così potente da non lasciar più immaginare un luogo al di fuori di esso.
Film biografico che si basa sul romanzo Flores Raras e Banalíssimas di Carmen Lucia de Oliveira, racconta di quando l'architetta Lota de Macedo Soares costruisce, nella proprietà che divide con la compagna, una depéndance per la poetessa americana Elizabeth Bishop. Un film stupendo che, da un lato racconta il punto di vista femminile nel creare di uno spazio intimo e personale, e dall'altro il tentativo di una donna nel raggiungere la propria indipendenza. La nostra parte preferita è quando Lota progetta lo studio dove la Bishop potrà scrivere, un momento in cui l'architettura diventa estensione del bisogno intimo di trovare il proprio luogo sicuro nel mondo – l'opposto di ciò che accade negli altri film “più maschili” della selezione, dove pubblico e privato si intrecciano e sovrappongono continuamente.
Si tratta di una pellicola argentina che usa l'architettura come causa di un conflitto tra un sofisticato architetto che abita nella casa Curutchet progettata da Le Corbusier, e il suo vicino di casa, più rozzo venditore di auto usate che desidera aprire una finestra nella sua abitazione per ricevere più luce. Ma questa nuova apertura permetterebbe di guardare direttamente dentro la Curutchet, già oggetto di visite di curiosi e indiscreti. Un film che ci tocca da vicino proprio per questo tema “paparazzo”: ogni volta che il proprietario di casa apre la porta, si trova davanti a qualcuno con in mano una macchina fotografica – proprio come noi.
Nathaniel Kahn compie con questo film un viaggio attraverso le opere di Louis Khan per conoscere meglio il padre che non lo riconobbe mai in seguito ad una relazione extraconiugale. Un documentario che utilizza gli edifici per decifrare l'architetto e l'uomo che si nasconde dietro ad esse – con i suoi sogni, le difficoltà e le ostinazioni. E per grandi fan di Kahn, come anche noi, è uno shock ripercorrere questa strada con il regista, scoprire la personalità di un architetto che con le sue opere perde il contatto con le persone, che scombina continuamente il budget e i tempi per inseguire le proprie visioni, ma che alla fine dà tutto sé stesso per poter dar vita ai suoi capolavori.
Per noi Parasite è stato una sorpresa quando ci siamo accorte del fatto che il fulcro del film sia il modo intenso in cui entrambe le famiglie protagoniste desiderano vivere nella casa dove si svolgono quasi tutte le scene. Una casa perfetta, con uno spazio living da copertina, una cucina connessa con tutte le altre zone, la luce che penetra delicatamente e la natura che quasi entra negli interni. Nessuno in questo film desidera arricchirsi, ma semplicemente vivere lì dentro, perseguendo un ideale di bellezza e libertà che va oltre qualsiasi altro spazio di cui abbiano fatto esperienza. Un'architettura così sublime da continuare ad esserlo anche mentre è così infestata.
Gli interni della Hatfield House, dove è stata girata questa pellicola pluripremiata, rispecchiano gli aspetti più personali della regina Anna, protagonista del film e al centro di una trama che è un vortice di sotterfugi, segreti e tradimenti. Spesso le scene si svolgono in un lungo corridoio, che rappresenta il passaggio verso l'intimità, un'intimità che si nasconde dietro la porta della camera da letto della regina, unico luogo in cui si può comportare irragionevolmente. La grande camera, la zona della servitù, gli appartamenti reali e le zone pubbliche sono tutte interconnesse grazie a questi lunghi corridoi. Un altro aspetto per noi affascinante de La Favorita è l'utilizzo del fish-eye, un tipo di lente che permette di vedere tutto quello che accade in una stanza ma che contemporaneamente ne distorce completamente l'architettura; questo espediente ci ha fatto pensare a Luis Barragàn che teneva una sfera di vetro nell'angolo di ogni stanza per poterla osservare riflessa nella sua interezza.
In un futuro buio e affollato (novembre 2019) che non assomiglia affatto al presente, l'architettura è manipolata per aderire ad una distopia immaginata tra architetture Maya, la Ennis-Brown House di Frank Lloyd Wright e un appartamento minuscolo in una Los Angeles idealizzata. Ma in questo futuro nessuno ha un dispositivo elettronico personale, le tv sono ancora a forma di cubo e la tecnologia è lentissima. Ci sentiamo ragazze analogiche, cresciute con in mente le immagini di questo futuro, ma questo film ci dà modo di capire come i diversi periodi storici possano proporre idee diverse rispetto a come saranno le nostre città: oggi nessuno sta costruendo piramidi e tantomeno nessuno avrebbe mai immaginato che il futuro del 2020 sarebbe stato un revival della natura.