Era il 1984 quando Carlo, all’epoca principe del Galles, tenne il celebre discorso al Royal Institute of British Architects nel quale criticava l'architettura moderna e sosteneva la necessità di tornare a costruire edifici più tradizionali. Il discorso era una reazione diretta al progetto di Peter Ahrends vincitore del concorso per l’ampliamento della National Gallery. Un progetto in seguito caduto nell’oblio e poi sostituito dalla più accomodante proposta di Venturi-Scott Brown.
L’architetto Carlo III e il villaggio ideale di Poundbury
Il nuovo re non ha mai nascosto idee anti-moderniste sull’architettura e visioni ambientaliste, che hanno trovato una realizzazione in un villaggio rurale in stile neo-tradizionale, realizzato con la collaborazione di Leon Krier.
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- Stefano Tornieri, Roberto Zancan
- 17 settembre 2022
La critica all’esito del concorso del 1984 ha fatto conoscere le idee architettoniche di Carlo III e la loro vicinanza a quelle di Leon Krier, suo collaboratore dalla metà degli anni Ottanta. Krier in gioventù aveva contribuito a far evolvere il pensiero di uno dei maestri del tardo modernismo e del brutalismo, James Stirling, ma fu rapidamente etichettato come un semplice postmodernista.
Krier rappresentava l’alleato giusto per concretizzare l’idea di un neo tradizionalismo tardo settecentesco, sia nell’aspetto degli edifici sia negli impianti urbani. L’occasione si presenta con la costruzione della città di Poundbury, il villaggio “ideale” costruito vicino a Dorchester, nel Dorset, nel sud dell'Inghilterra.
L’architettura di Poundbury è stata costruita nel tempo da un eterogeneo entourage di fedeli architetti, è un pout pourri di stili ed elementi giocosamente giustapposti, fatto di cottage rivestiti di selce e dimore baronali scozzesi, di ville palladiane e castelli gotici rosa in miniatura, in cui domina un ricco apparato di portici, pilastri e modanature. Vari ampliamenti dagli anni ’90 in poi includono una piazza in stile greco-romano e palazzi neoclassici che hanno contribuito alla generale derisione dei critici di architettura di tutto il mondo: una Disneyland per un principe che gioca a fare l’architetto e l’urbanista, un pastiche neomedievale molto simile a certi outlet in stile mediterraneo e al Rodeo Drive di Beverly Hills.
A distanza di quasi trent’anni dall'inizio dei lavori, però, inizia il completamento del piano, sostenuto dalla crescente domanda delle famiglie e della comunità di oltre 3.000 residenti, con circa 1.500 abitazioni e 2.000 posti di lavoro in 185 aziende. Un mix urbano di industria, negozi e piccole imprese mescolato a villette a schiera, condomini e piazze, organizzato con l’idea che siano i blocchi edilizi a definire lo schema stradale e non viceversa. Il piano di Krier regge e la sua efficacia è dovuta al fattore densità e al senso di comunità. A quest’ultimo ha contribuito sicuramente anche l’uniformità estetica del pittoresco: un concetto prima teorizzato dallo storico Nicholas Pevsner in Visual Planning and the Picturesque, poi assunta dal townscape di Gordon Cullen e dalla rivista The Architectural Review, e infine ripresa nel new urbanism degli anni Ottanta e Novanta. E di cui Poundbury è dunque un esempio.
Il parziale successo di Poundbury sta rivalutando oggi la figura di re Carlo soprattutto agli occhi della sinistra ecologica. Al di fuori di questioni puramente teoriche, Poundbury risulta essere un’espansione urbana con i caratteri di un investimento privato, che sorge sui terreni di proprietà del principe e che utilizza nuovi suoli agricoli. Le aree comuni sono gestite da una società alla quale appartengono tutti i residenti. Il 35% di Poundbury è costituito da alloggi sociali.
Tutto questo ha un rapporto ambiguo con le idee ambientaliste esposte dallo stesso Carlo in varie occasioni, dai discorsi pubblici, nel suo libro Architecture and Environment e nei 10 principi della progettazione urbana pubblicato su The Architectural Review. Con questo ultimo saggio, Carlo afferma di concentrarsi sulla creazione di un futuro sostenibile per il pianeta e non sullo stile architettonico: “Dobbiamo capire ora come creare ambienti urbani resilienti, veramente sostenibili e a misura d’uomo che siano efficienti dal punto di vista territoriale, utilizzino materiali a basse emissioni di carbonio e non dipendano così completamente dall’auto. (...) Dobbiamo riconnetterci con quegli approcci e tecniche tradizionali affinati in millenni che, già nel XX secolo, erano visti come ‘antiquati’ e inutili in un’età moderna progressista. È tempo di assumere una visione più matura”. Parole che delineano una figura quindi determinata a sostenere la causa ambientalista, come testimoniano azioni concrete come la rinaturalizzazione delle sue proprietà nel Ducato di Cornovaglia, o la creazione di coltivazioni biologiche nella sua Duchy Home Farm.
Scenografie, facciate, tradizioni, tutto concatenato come un modello formale e visivo di pacifica rappresentazione della società da parte di Re Carlo III, come nel Castello di Balmoral che fa da sfondo a molte foto ufficiali della famiglia reale. Una scenografia in stile baronale scozzese da revival gotico, tanto illusoria e programmatica quanto un progetto Venturi-Scott Brown. Il principe Alberto acquistò il castello e demolendo il precedente edificio lo ricostruì completamente nel 1856. La sostituzione è opera degli architetti padre-figlio John e William Smith (entrambi scozzesi). La scenografia di Balmoral è ancora una volta un sistema visivo pensato per veicolare una tradizione abbellita e per lo più inventata, come descrivono Hobsbawn e Ranger nell’Invenzione della tradizione, riferendosi alla tradizione scozzese dei kilt, del tartan e delle cornamuse.