Nel 2016, Park Books pubblica il secondo, raffinatissimo volume della serie Italo Modern. Architecture in Northern Italy 1946-1976. Tra i tanti nomi dell’architettura italiana del Dopoguerra e del boom che sono qui riscoperti, elegantemente fotografati, e spesso tradotti per la prima volta in inglese e in tedesco, spicca anche quello decisamente poco conosciuto di Carlo Moretti (1931).
Eppure, Domus nel 1966 non aveva dubbi. Alla sua prima comparsa sulla rivista (Domus 436, marzo 1966), Moretti è descritto senza esitazioni come “una giovane promessa italiana nell’architettura”. Le bellissime immagini a tutta pagina della sua scuola elementare a Gallarate e di una casa per abitazione nei pressi della stessa città avvalorano le tesi del redattore.
Distese nell’alta pianura lombarda, le due architetture derivano da un approccio audacemente “organico”, che non si traduce in un ammorbidimento delle forme (affilatissime), ma più sostanzialmente in un rapporto d’immediata compenetrazione con il paesaggio (periurbano, coltivato, non selvaggio). In merito alla villa, Domus commenta: “la casa è un continuo seguito di trasparenze, di fughe prospettiche, un invito ai percorsi (in piano, in salita, in discesa), un succedersi di spazi trasparenti, ora espansi ora compressi, dove il ‘fuori’ e il ‘dentro’ si fondono e si confondono”.
Pochi anni dopo, nel luglio del 1971, Moretti è addirittura promosso a cover architect per Domus 500. Un’antica vetrata policroma inquadra di squincio l’esuberante edificio per abitazioni di via Mazzini, ancora a Gallarate. Il relativo servizio, che presenta anche il progetto di un secondo complesso residenziale, in piazza Guenzati, incuriosisce i lettori con un titolo ad effetto: “Meteoriti a Gallarate”. Se Moretti s’integrava nella campagna urbanizzata, replicandone la tipica composizione per accostamento di ampi piani orizzontali, nel centro storico sembra rinunciare a qualsiasi tentativo di contestualizzazione.
In netto contrasto con la sobrietà cromatica e gli ammiccamenti vernacolari di certi professionisti milanesi di una generazione appena precedente (Ignazio Gardella e Luigi Caccia Dominioni, su tutti), Moretti costruisce bianchissimi e futuristici “meteoriti”, che svettano, appariscenti e per nulla minimalisti, sugli uniformi tetti di coppi. La complessità (e a tratti il compiacimento) della loro composizione volumetrica li avvicina alle ricerche di Guido Canella e Giuseppe Gambirasio.
Il redattore osserva: “Accettate le due costruzioni al di fuori di qualsiasi considerazione di adattamento ambientale, non rimane che riceverle e giudicarle, fin dove possibile, come opere in sé compiute, come mondi isolati e perfino indifferenti, che rifiutano il colloquio con il vicinato, per costituirsi come centri autonomi, come affermazioni affatto indipendenti”. Anche la scuola materna di Cassano Magnano (su Domus 553, dicembre 1975) appartiene alla stessa genealogia di architetture fortemente “espressive”.
Sempre negli anni ’70, una breve sequenza di articoli su Domus testimonia dell’evoluzione della riflessione di Moretti, che trasla progressivamente dalle forme dell’architettura al suo territorio (inteso in senso gregottiano). Nel maggio del 1976 (Domus 558) è pubblicata la sua proposta per una serie di colossali, prototipiche torri di abitazione alte 250 metri, spirali che una mappa a grande scala colloca ipoteticamente nei pressi di Cassano Magnago. L’articolo s’intitola “Il fascino discreto dell’utopia” e accosta le visioni di Moretti alle celeberrime sezioni della Lower Manhattan Expressway di New York, di Paul Rudolph (1972).
Domus trascrive le riflessioni dell’architetto lombardo, che afferma: “Per ‘salto di scala’ s’intende: progettare la residenza su scala territoriale e ripudiare la dimensione edilizia (…). Il Piano Territoriale deve sostituire i Piani Regolatori Generali. La maglia territoriale (autostrade + nuclei insediativi puntiformi + centro decisionale democratico) si sovrappone alla vecchia maglia urbana e comincia a sostituirla”. La proposta per la nuova “City” di Milano (sempre su Domus 558) e “Abitare sopra. Rispondono alla stessa ambizione pianificatoria il progetto per i centri-storici nella città regione” (su Domus 567, febbraio 1977), per molti versi una declinazione lombarda della Paris spatiale di Yona Friedman (1959).
Dopo il 1977 Moretti, che pure prosegue la sua carriera per molti decenni a venire, scompare dalle pagine di Domus. È un cold case di una relazione misteriosamente interrotta (forse a causa di una diminuzione quantitativa o qualitativa della sua produzione, forse per un cambiamento di linea editoriale della rivista) che meriterebbe certamente un’indagine più approfondita.