Lo scorso settembre un incontro del City Architecture Forum, organizzato dal Comune di Londra, è stato dedicato all’idea che l’arte e la cultura sono sempre più usate come strumenti per accrescere il valore della città e la qualità della vita dei residenti. Stephen Barrett dello studio Rogers Stirk Harbour + Partners ha affermato che una particolare combinazione di arte nello spazio pubblico può permettere a tutti di condividere una straordinaria esperienza del luogo.
In questa intervista Barrett suggerisce come l’arte possa migliorare la qualità degli spazi pubblici urbani e i modi in cui architettura, spazio pubblico urbano e arte possono favorire l’interazione sociale senza sopraffarla.
Perché credi che l’arte possa esercitare un influsso umanizzante su chi vive in città?
È un’affermazione che io e altri diamo per scontata. Si leggono parecchie cose sull’arte e sull’arte pubblica. Investire su quest’arte in una città implica che c’è qualcuno che presta attenzione all’ambiente in cui si vive. Qualcuno che tenta di far qualcosa per migliorare l’ambiente al di là dell’utilitario, il che implica un certo livello di sviluppo, di raffinatezza e di capacità di governo. Significa un livello di benessere che permette di andare oltre l’utilitario ma che, in questo caso, è anche pubblico e condiviso: il che, per realizzarsi, ha ramificazioni di ogni genere in rapporto al grado di civiltà, all’esistenza di strutture autorizzate e all’organizzazione dei luoghi in cui si vive.
Hai fatto una distinzione tra l’idea di oggetto nello spazio e il concetto di più oggetti in sequenza nello spazio. Molto spesso si pensa agli oggetti dell’arte pubblica in modo molto frammentario, non a come siano distribuiti in una rete nel loro insieme. Spiegaci meglio che cosa intendi dire.
Quando l’arte e il suo spazio sono in perfetta sincronia l’opera acquista una forza concreta. Quando lavoravamo a uno dei piani urbanistici di Parigi, il mio collega Mark Davis parlava della forza delle sequenze artistiche collegate da un corridoio, come il Corridoio Vasariano di Firenze. È un corridoio che si estende per un chilometro, partendo dagli Uffizi e attraversando il Ponte Vecchio. L’idea di un chilometro d’arte è potentissima, soprattutto grazie all’implicazione che qualcuno – in questo caso dei mecenati rinascimentali fiorentini – le abbia dato una struttura. Ma per mettere le cose in sequenza occorre una gran forza, in certo qual modo è questione di organizzazione. Come molte narrazioni che traggono forza dall’essere organizzate nel tempo e nello spazio in modo che si scoprano le cose in un certo modo. Parlando del nostro piano urbanistico di grande scala, c’è una serie di cose reciprocamente collegate, e a Londra la preminenza dello spazio pedonale percorribile è importante, perché con qualche eccezione l’arte si scopre a passo d’uomo o alla velocità della bicicletta.
Perché cultura e arte sono importanti per le città?
In un'intervista, Stephen Barrett di Rogers Stirk Harbour + Partners spiega come l'arte possa migliorare la qualità degli spazi pubblici e favorire l'interazione sociale.
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- Philippa Nicole Barr
- 26 marzo 2019
Prova a reinventare il modo in cui l’arte pubblica è distribuita in giro per Londra, in modo da collegare i vari luoghi.
“Londra come potrebbe essere”, all’epoca della Richard Rogers Partnership, era un progetto concettuale del nostro studio. A Londra erano predominanti gli spazi pubblici scollegati, e l’automobile regnava su tutto. Invece quel progetto immaginava una Trafalgar Square pedonalizzata, immaginava un Embankment pedonalizzato in riva al Tamigi. Cercare di concentrare il traffico veicolare in modo da permettere percorsi pedonali in tutto il cuore di Londra era un’idea molto radicale. Da allora Trafalgar Square è stata sostanzialmente pedonalizzata e nel centro di Londra i percorsi pedonali sono migliorati. È importante, perché essere isolati a casa e al lavoro, oppure in auto tra l’una e l’altro, non è come vedere altre persone, avere scambi con altre persone, fare incontri casuali a livello sociale. Lavoravamo a una specie di complesso aziendale per una grande società spagnola dell’energia che si chiamava Abengoa, a Siviglia, e tutto il progetto consisteva nel cercare di favorire la creatività che nasce dall’incontro casuale con i colleghi. In parecchi edifici è una cosa che càpita solo in ascensore o nell’atrio, oppure occasionalmente in bagno. Cercare di riuscirci a livello di un complesso voleva dire tentare di progettare uno spazio che riecheggiasse lo spazio pubblico spagnolo ma progettato con precisione molto maggiore, in modo da ottenere molta ombra e alberi lussureggianti. Nell’epoca dei complessi di Google, di Apple e di Facebook. dove si fa in modo che molte di queste cose si verifichino all’interno dell’edificio, credo sia scontato che gli incontri casuali abbiano un grande valore per un’azienda.
Mi pare curiosa l’idea che l’impegno e le aspettative relativi all’arte pubblica siano molto superficiali. C’è una chiara discrepanza rispetto all’idea che l’arte debba essere provocatoria e non solo uno spettacolo visivo: come gestisci questa tensione nei tuoi progetti?
Non c’è niente di male nelle belle icone e nei momenti di Instagram. Ma la buona arte acquista un ruolo più ampio e una forza maggiore quando propone una sfida, quando è provocatoria.
È stato detto che le differenti zone della città si sono omogeneizzate, per esempio in termini di accesso ai trasporti pubblici, che la gente comincia a pensare a cose diverse che non a rendere attraenti gli spazi come fa l’arte pubblica. Secondo te come un luogo può usare l’arte per essere più competitivo?
Per tornare al punto da cui è partito il discorso, il puro e semplice fatto che qualcuno abbia investito nell’arte, nell’arte pubblica, nell’arte condivisa, è un dichiarazione di fiducia, una professione di fede, la constatazione che qualcuno ha una prospettiva che va oltre la soddisfazione dei bisogni utilitaristici. Credo che con questa dichiarazione di fiducia, consapevole o meno, sia più probabile che qualcuno voglia condividere quest’arte e investire su essa, invece che su qualcosa che non ha lo stesso livello di interesse e di attenzione per il luogo dove si lavora. Il punto, in fatto d’arte, è che non si tratta semplicemente di un lusso, ma di qualcosa che va oltre il bisogno: valore aggiunto, qualità aggiunta, e credo che come cittadini dobbiamo farci attenzione.
Immagine d'apertura: St Helen's Square guardando verso la galleria Leadenhall e Lloyd’s of London. Foto Peter Shannon