La villa urbana, tra speculazione edilizia e common housing

Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara, fondatori dello studio Dogma, raccontano a Domus la genesi e le contraddizioni di una tipologia che ha fatto la storia dell'abitare.

Lo scorso autunno ha inaugurato ad Anversa la mostra Urban Villa – From Speculation to Collaboration, curata dallo studio Dogma. L’esposizione è stata recentemente raccontata nell’omonima pubblicazione, per la quale abbiamo avuto l’occasione di parlare con i fondatori dello studio, Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara. “La mostra è nata quando il VAi – Flanders Architecture Institute – ci ha chiesto di fare una mostra sul tema del commoning” ci racconta Aureli. “Noi abbiamo deciso di sfruttare l’occasione portando avanti la nostra ricerca sullo spazio domestico, focalizzandoci questa volta sulla villa urbana. L’intento della mostra e della pubblicazione è dimostrare come questa tipologia, nata come strettamente speculativa, possa essere in realtà modello di un nuovo progetto di abitare”.  

Dogma, Urban Villa – From Speculation to Collaboration, Flanders Architecture Institute, Antwerp, Belgium, 2024. Photo Robbrecht Desmet, 2024

La pubblicazione si divide in due parti. La prima parte rivisita la storia della villa urbana attraverso quarantadue casi di studio che ripercorrono le sue origini, dalla villa suburbana dell'antichità fino alla sua moderna implementazione come tipologia speculativa multifamiliare distinta. La seconda parte presenta una serie di progetti che affrontano la villa urbana come una forma di abitazione a prezzi accessibili, e come una tipologia che può essere utilizzata per la densificazione di Anversa.
“La parte di analisi storica è un aspetto metodologico del nostro lavoro molto importante, dove non cerchiamo soltanto di far vedere riferimenti progettuali. Il corpus della ricerca deve conservare la sua autonomia e spiegare qual è la storia di una tipologia o di una forma architettonica. Spesso i nostri progetti sono anche un’antitesi alla parte storica”.  

Raccolti cronologicamente, i casi studio raccontano attraverso pianta e assonometria l’evoluzione della tipologia a partire dall’epoca romana. Che si tratti di ville romane, di palazzi rinascimentali, di case borghesi medievali, di residenze borghesi ottocentesche, di condomìni milanesi o di case popolari contemporanee, ognuno di essi conserva un'immagine e un linguaggio architettonico identificabili. “Anche in questa sequenza temporale, il nostro intento era far vedere come l’Urban Villa è passata da essere una villa a soluzioni più piccole ed economiche, mantenendo comunque alcuni aspetti tipologici. Per esempio il fatto di avere sempre affacci molto generosi. La loggia è considerabile la quintessenza della villa”.

Le ville avevano da una parte l’aspirazione all’isolamento ma – poichè erano abitate da persone che spesso avevano comunque una relazione molto forte con la città – dovevano contemporaneamente risultare facilmente raggiungibili. Questo paradosso diventa poi nella villa urbana ancora più stringente. “La cosa molto interessante delle ville urbane è lo spazio pubblico che si crea tra di esse, che spesso risulta molto stretto” continua sul tema Tattara. “Visitandoli, questi luoghi si dimostrano spazi quasi pittoreschi. Nonostante la villa sia un edificio di medie dimensioni, in realtà è capace di costruire condizioni urbane molto diverse, sia quando è un elemento unico, sia quando in realtà diverse ville iniziano a costruire parti di città.”

“Un aspetto importante di tutti i nostri progetti è il paesaggio” ci spiega poi Aureli. “Il paesaggio non inteso come piante, ma come rapporto tra costruito e non costruito, cioè tra pieno e vuoto. Per noi lo spazio vuoto è quasi più importante dello spazio pieno. Una volta che elimini dalla superficie stradale tutte le recinzioni che separano le proprietà, non solo guadagni tantissimo spazio, ma rimuovi moltissima superficie impermeabile”. Durante la mostra questi elementi visuali dell’architettura sono stati anche raccontati attraverso la proiezione di filmati, girati dalla collaboratrice dello studio Annalisa Massari.

Dogma, Urban Villa – From Speculation to Collaboration, Flanders Architecture Institute, Antwerp, Belgium, 2024. Photo Robbrecht Desmet, 2024

Nonostante il carattere fortemente teorico, la ricerca afferma comunque la volontà di indagare le problematiche e le sfide dell’unità abitativa contemporanea. “Il vivere collettivo, quindi l’aspetto più esistenziale di condividere lo spazio domestico, sfida l’idea di famiglia nucleare”.
Come affermato dai progettisti, infatti, tra i riferimenti bibliografici usati per la ricerca, quelli che hanno esercitato su di loro una maggio influenza provengono dalla tradizione del femminismo materialista, focalizzato nella riforma dello spazio domestico. “Una cosa che è stata sempre molto forte è che le forme di co-housing spesso sono forme che rimuovono il lavoro domestico dalla sfera privata, lo socializzano contro la logica del privatizzare il lavoro domestico che ancora oggi ne fa un lavoro femminile”.

“Noi volevamo capire quali sono gli spiragli, quali sono le possibilità di avanzare un progetto del genere, sia dal punto di vista più esistenziale, ma anche da un punto di vista più burocratico, normativo o politico. Perché, per esempio oggi è difficile mettere in discussione la proprietà privata della casa, e non è soltanto un aspetto tecnico-normativo, è anche un aspetto politico, perché lo Stato non dà molti incentivi in questa direzione” conclude Aureli. “Bisogna capire che spesso dietro queste norme – queste limitazioni normative – c’è anche una tacita volontà politica di favorire o scoraggiare delle forme di abitazione alternative”.

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