In tempi di crisi possiamo comunque parlare di bravura o la bravura è appannaggio di tempi migliori?
Bravoure
Il padiglione del Belgio alla Biennale Architettura celebra un saper fare fiammingo che ha radici lontane ma non non è la nouvelle vague dell’architettura ha detto Jan De Vylder, uno dei curatori.
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- Annamaria Prandi
- 14 luglio 2016
- Venezia
Al Padiglione del Belgio il team Bravoure (architecten de vylder vinck taillieu, doorzon interieur e il fotografo Filip Dujardin) mostra che nelle Fiandre è ancora possibile, nonostante le risorse siano sempre più scarse, fare un’ottima architettura e per mostrarlo porta a Venezia tredici progetti di altrettanti studi fiamminghi. Sono trittici, composti da repliche in scala reale di un dettaglio significativo, da una fotografia che ritrae quel frammento nel contesto dell’edificio e da un’immagine elaborata da Dujardin che rilegge in modo personale quel frammento.
De Smet Vermeulen architecten, Philippe Vander Maren e Richard Venlet, Wim Goes Architectuur, architecten Els Claessens en Tania Vandenbussche, Eagles of Architecture, Jo Van Den Berghe architect, BURO II & ARCHI+I, Robbrecht en Daem architecten i.s.m. Arch & Teco, OFFICE Kersten Geers David Van Severen, Laura Muyldermans + Atelier Starzak Strebicki, Gijs Van Vaerenbergh, Stéphane Beel Architects, Architectenbureau Bart Dehaene e Sileghem & Partners in collaborazione con Ante Timmermans. Entusiasmo, personalità, immaginazione, esecuzioni impeccabili sono evidenti in ognuno di essi. Interventi pubblici e privati mostrano come la maestria elevi la qualità artigianale a un livello eccellente. Una maestria generalizzata quella fiamminga, celebrata negli ultimi anni da tante pubblicazioni ultima, solo in ordine di tempo, Tailored Architecture del Flanders Architecture Institute, che accompagna il catalogo della mostra Bravoure Scarcity Beauty.
Annamaria Prandi: I tredici progetti in mostra al padiglione del Belgio mostrano come la bravura sia una qualità diffusa nelle Fiandre. Siamo di fronte a una nouvelle vague? Jan De Vylder: Non parlerei di “vague”. Il termine onda mi ricorda il vento, che va e viene, mentre l’architettura fiamminga non si trova ora a un punto più alto di quello al quale si trovava negli anni passati. La questione è che a un certo punto si sono accesi i riflettori sul nostro lavoro, e questo ci onora e ci fa piacere, ma questi riflettori un giorno si spegneranno, e noi continueremo a fare quello che facciamo ora e che abbiamo sempre fatto. Quello che mi auguro del lavoro fatto qui a Venezia è di aver allargato la scena fiamminga invitando qualche nome ancora sconosciuto.
Annamaria Prandi: Dove sono le radici di questa maestria?
Jan De Vylder: Credo che la caratteristica peculiare della architettura fiamminga sia il suo essere estremamente vicina all’uomo e ai suoi bisogni. Questo la rende unica, seppur nella diversità di accezioni che l’uomo inevitabilmente porta con sé e che si riflettono nel lavoro dei singoli studi. È il legame con le persone che genera una grande diversità e insieme una certa riconoscibilità. Un edificio da noi è da sempre un’istanza molto personale.
Annamaria Prandi: Qual è il ruolo dei clienti in questo scenario?
Jan De Vylder: Il ruolo dei clienti è fondamentale. Quando si lavora per il pubblico si ha a che fare con i Baumeister, figure preparatissime, di grande spessore e sensibilità. In generale comunque, anche lavorando per i privati, l’architetto ha la sensazione di avere il cliente al proprio fianco. È indubbio che ciò garantisca agli architetti di agire con la libertà di essere compresi e con la profondità di un dialogo proficuo. La Bravoure senza di loro non sarebbe possibile.
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