In occasione di questa Biennale, Rem Koolhaas ha sollecitato i partecipanti a riflettere su cosa sia stato il Modernismo e sulle forme che ha preso, soprattutto negli anni Sessanta.
Fittja Pavilion
Partendo da un quartiere della periferia sud di Stoccolma, il Fittja Pavilion s’interroga sulla possibilità di rivalutare l’approccio, tipicamente modernista, improntato alla progettazione urbana su larga scala.
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- Gabi Scardi
- 03 luglio 2014
- Venezia
Il “Fittja Pavilion”, organizzato dalla Botkyrka konsthall di Stoccolma nella Serra dei Giardini e all’interno dell’Istituto Navale Cini-Venier, aggiunge il proprio contributo a quelli dei padiglioni nazionali. Il nome Fittja deriva dalla denominazione di una fermata di metro situata a Botkyrka, nella periferia sud dell’area metropolitana di Stoccolma. L’area si caratterizza per la presenza di un complesso abitativo nato nell’ambito del “Million Programme”: un programma di edilizia sociale varato dal governo svedese e destinato a creare 1.000.000 di unità abitative negli anni 1965–75. Oggi, a Botkyrka, circa il 64% degli abitanti dell’area è non svedese di origine. Qui si trova, tra l’altro, il più alto minareto d’Europa.
Il “Fittja Pavilion”s’interroga sulla possibilità di rivalutare questo approccio, tipicamente modernista, improntato alla progettazione su larga scala e a spazi pubblici poco definiti. Le stesse questioni che da anni si pone la Botkyrka Konsthall, che proprio per questo motivo, nell’ambito di una programmazione artistica sperimentale, ha intrapreso un programma di residenza decisamente internazionale. La curatrice, Joanna Sandell ha infatti invitato artisti, architetti, attivisti provenienti da Svezia, Sud Africa, Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone a risiedere nella konsthall e a riflettere sul senso e sul valore dell’approccio modernista all’edilizia sociale.
Il risultato di questo impegno è consistito in una serie di opere e d’interventi, alcuni dei quali prendono ora forma nel Serrone e nell’Istituto Nautico sotto forma di installazioni dimostrative, sostenibili: situazioni sonore, come quella di Derek Gripper e Lindy Roy, sedute da utilizzare, coltivazioni e la conviviale cucina di OPENrestaurant e Ayhan Aydin; ma anche video, come I’m Gonna Live Anyhow until I Die che la videoartista svedese Johanna Billing espone nell’aula dedicata alle lezioni dell’Istituto Cini-Venier; il video è stato girato a Roma, nell’area di Testaccio e di Ostia, per le strade e in una scuola. Vi si vedono cinque bambini sottrarsi a un ozioso pranzo familiare al ristorante e intraprendere una lunga corsa per il parco dell'acquedotto romano; fare quindi una sosta in un cortile del quartiere di Testaccio e una a Ostia, e raggiungere infine una scuola vuota nel centro di Roma.
Qui, nelle aule e nei corridoi, il tempo sembra essersi fermato. I bambini iniziano a confrontarsi con l’ambiente, a osservare con stupore e a sperimentare gli oggetti e gli strumenti pedagogici obsoleti che sono stati ammassati nell'aula principale trasformata in deposito. Trovano della tempera nera con cui disegnare, e realizzano una serie di figure simili a quelle di Rorschach, un tempo utilizzate come solipsistico test per verificare le pulsioni dei ragazzi. Il video è dunque la narrazione di un viaggio intimo, di scoperta e di conoscenza. Nell’aula deserta dell’Istituto risuona a sua volta profondamente, generando una sensazione di sospensione e di profondità che diverge sorprendentemente dall’atmosfera generale di questa biennale; e innesca una riflessione in cui i concetti di tessuto urbano, di educazione, di crescita e di completamento personale si saldano.
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Fino al 7 settembre 2014
Fittja Pavilion Venice
Serra dei Giardini, Venezia
Cini-Venier Naval Institute, Venezia