In occasione del festival “expo 1: New York”, il cortile del MoMA PS1 è stato occupato da una serie di roulotte, ‘trasportate’ a Long Island City dallo studio di architettura argentino a77, come prime componenti strutturali del progetto Colony. Nel contesto generale di un festival che esplora gli effetti devastanti dei disastri naturali e dell’instabilità economica, Colony è stato interpretato dal curatore Pedro Gadanho come un esperimento aperto: un’occasione per riflettere sulla funzione politica e sociale dell’architettura.
Un’azione costruttiva
Nel cortile del MoMA PS1, architetti, artisti e altri attori culturali sono invitati a vivere e lavorare all’interno di una colonia. Il progetto Colony, curato da Pedro Gadanho e realizzato dallo studio argentino a77, sarà implementato per tutta l’estate.
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- Fabrizia Vecchione
- 26 giugno 2013
- New York
All’interno della mostra "Dark Optimism", allestita sempre negli spazi del PS1, altri progetti, come School proposto dal collettivo Triple Canopy, pongono l’accento sull’approccio partecipativo di quest’edizione di “expo 1: New Yok”. Una cupola geodetica montata lungo la spiaggia di Rockaway coinvolge la comunità e vari enti locali del Queens in una riflessione sugli effetti dell’uragano Sandy (ottobe 2012), ripensando con artisti, designer e architetti la ricostruzione e il rinnovamento del lungomare. Al MoMA, l’installazione Rain Room di rAndom International si esprime ancora attraverso l’interazione, che questa volta lega la pioggia ai corpi dei visitatori, immobili o in movimento.
Incarnando un approccio di tipo performativo—sia nell’occupazione sia nell’autocostruzione dello spazio—, Gustavo Diéguez e Lucas Gilardi di a77 hanno testato su un suolo non argentino la propria architettura: temporanea, low tech e, soprattutto, generata dall’apporto individuale dei singoli attori coinvolti.
Su una parete accanto alla bianca cupola geodetica che si staglia nel cortile maggiore del PS1, un collage memore delle visioni urbane degli Archigram marca l’ingresso al territorio gestito dagli a77. Qui, quattro veicoli Serro Scotty Sportsman, originari degli anni Sessanta, annunciano l’avvento imminente degli artisti, designer, architetti e creativi, invitati a costruire una colonia temporanea, che animerà il cortile per tutta la durata del festival. Ne risulta un paesaggio indefinito, in cui materiali di recupero, piante e una piccola vasca di acqua fitodepurata attendono impazienti gli effetti di un’azione ‘costruttiva’. “Il progetto è in questo senso autarchico”, spiega Pedro Gadanho, “ma è, allo stesso tempo, connesso con l’esterno e, più nello specifico, con il quartiere, da cui provengono i materiali di recupero qui riadattati”.
La dedizione fisica alla costruzione e la volontà di dimostrare che esiste un’alternativa reale ai modelli di vita tradizionali sono alla base di questo scenario distopico, sintatticamente anticipatore e allarmante. “Se c’è qualcosa di futuristico riguardo a Colony”, continua Gadanho, “lo è alla maniera di Mad Max, figurando un mondo in cui le risorse sono scarse, e in cui proprio attraverso tecnologie accessibili si concepiscono nuove tecniche di sopravvivenza”. Come già accaduto in altri lavori precedenti—vedi il Centro Cultural Nomade (2012) o We Can Xalant (2009) —, lo studio a77 si è trovato a dover comporre elementi comuni, facendoli coesistere in maniera tutt’altro che ordinaria. I trailer possono diventare capsule abitative sospese, gli orti essere integrati a una struttura effimera e mutevole, senza un ordine predeterminato, ma inaspettatamente in equilibrio.
L’attenzione nella fase iniziale è così rivolta al processo e non al prodotto finale: attori provenienti da discipline e condizioni geografiche differenti ne saranno gli artefici
Questo bizzarro microcosmo non vuole, però, essere oggetto di nostalgia, ammiccando univocamente allo spirito mobile e universale degli anni Sessanta, ma piuttosto suggerisce sistemi altri per fondare comunità abitative. In quest’ottica, le roulotte s'inseriscono nell’attuale cronaca americana: sono lì a ricordare il loro fondamentale ruolo nella vita di migliaia di persone che hanno perso la propria casa. “Anche se spesso sono invisibili, i trailer sono parte del territorio e ci parlano, più che di un atteggiamento nomadico, di un inevitabile senso di adattamento”, denuncia Gadanho. “Non c’è nulla di nostalgico in questo”.
Considerando l’Argentina pioniera della crisi, il lavoro degli a77 è qui presentato come esempio di reazione a uno specifico contesto di crisi, non così distante da quello che ora tocca gli Stati Uniti e l’Europa. Portare a New York questo tipo di lavoro non è, però, da interpretare in un’ottica pessimistica, ma in una visione pratica, in grado di avvicinare la coscienza collettiva ad approcci progettuali realisticamente applicabili.
Nell’assistere all’evoluzione di quest’opera, figlia della manualità più che della progettazione, il pubblico è invitato ad assorbirne gli intenti e a viverla come una forma di domanda, non come una risposta. L’attenzione nella fase iniziale è così rivolta al processo e non al prodotto finale: attori provenienti da discipline e condizioni geografiche differenti ne saranno gli artefici.
Per tutta l’estate la colonia sarà abitata e trasformata dai suoi ospiti, tra cui Sou Fujimoto, David Graeber, Ragnar Kjartansson, Rebecca Lamarche-Vadel, Glenn O'Brien, Ben Rivers, Ben Russell, Georgia Sagri e Mårten Spångberg. Non mi meraviglierei se in questo periodo, Colony si spingesse anche oltre le mura solide del PS1.
Fabrizia Vecchione (@fbrz_vecchione)
Colony
Architetti: a77
Curatori: Pedro Gadanho (Curatore del dipartimento di architettura e design del MoMA) e Jenny Shlenzka (curatrice associata del MoMA PS1) con la consultazione di Niklas Maak (scrittore e teorico dell'architettura tedesco)
Partner: Wolkswagen
Location: MoMA PS1, Queens, New York
dal 27 giugno al 3 settembre