Questo articolo è stato pubblicato su Domus 969 maggio 2013
Nutrimento sociale
Disegnato dall’Atelier Bow-Wow, il Koisuru-Buta Laboratory offre lavoro stabile a persone disabili, ospita un ristorante aperto al pubblico. Yoshimura Yasutaka riflette su un nuovo modello di fabbrica, progettato a partire dal suo programma sociale.
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- Yoshimura Yasutaka
- 24 giugno 2013
- Katori, Chiba, JP
Il Koisuru-Buta Laboratory fa parte della fattoria di un suinicoltore, e combina spazi per la lavorazione dei prodotti dell’azienda con un ristorante aperto al pubblico.
In Giappone, la produzione di cibo derivato dall’agricoltura e dalla pesca—attività che, secondo la classificazione di Colin Clark, sono riconducibili al settore primario—ha conosciuto un declino considerevole, e ciò, insieme con la scarsa autosufficienza alimentare della società in generale, rappresenta un fattore sempre più problematico. Il fatto che questa azienda metta in atto un’ibridazione tra i processi primari, secondari e terziari—questi ultimi rappresentati dall’attività del ristorante—, definita “sesto settore” [1], consente di affermare che, nella situazione corrente, essa diventa un lume di speranza.
Il laboratorio offre impiego a lungo termine a persone affette da disabilità fisiche e da disturbi mentali, fattore che aggiunge al progetto un ulteriore elemento d’importanza. L’introduzione del “sesto settore” permette non solo di ridurre le spese d’intermediazione, ma consente anche un completo controllo sui prodotti—dalla creazione di un catalogo fino al design delle confezioni dei prodotti stessi—, traducendosi in un’ottimizzazione della struttura economica complessiva. Questo, nonostante il personale riceva la stessa retribuzione delle persone non disabili, mentre per molto tempo lavori di questa natura potevano offrire solo paghe estremamente contenute, ed erano fortemente dipendenti dai fondi pubblici anche per livelli minimi di produttività. Ecco, allora, che di fronte alla possibilità di generare addirittura dei profitti, il Koisuru-Buta Laboratory diventa un progetto assai ambizioso.
L’edificio, che in questo contesto gioca un ruolo molto importante, è stato progettato da Atelier Bow-Wow e presenta una disposizione “a girandola”di quattro tetti a spioventi di varie forme. Sul lato che si affaccia sulla strada adiacente, la galleria del primo piano si stacca dal volume del corpo principale. Il piano terra ospita gli ambienti per la lavorazione dei cibi, non accessibili ai visitatori e sigillati per impedire l’ingresso di batteri. La galleria superiore non solo distribuisce il ristorante e gli uffici, ma offre anche uno spazio pubblico parzialmente coperto, da cui si gode una bellissima vista sul paesaggio circostante. Questa struttura così leggera, che sembra cercare delicatamente un punto in cui toccare il suolo, non è quindi soltanto una soluzione per far accedere il visitatore al livello superiore, ma è in sé un ampio engawa, o terrazzo giapponese. E potrebbe anche essere, per usare un termine prediletto da Bow-Wow, una loggia, una sorta di spazio per uso collettivo. Dato che l’istituto ambisce a diventare un perno per la rigenerazione rurale del territorio, e vista la presenza all’interno dell’edificio di un mercatino di verdure coltivate nella zona, è chiaro che la galleria ha una funzione centrale. Sia per il fatto che essa ricorda un porticato, sia perché il complesso è un luogo di ricerca e produzione, sia per l’esistenza di ambienti di ‘clausura’ (i locali non accessibili al pubblico), in qualche modo il progetto evoca il ricordo del monastero romanico [2].
Per quanto il personale che vive nell’edificio non sia soggetto ad alcuna forma di convivenza organizzata, sembra tuttavia evidente che voglia essere promossa un’impressione di questo genere. La chiara presenza di una Gesellschaft (società) e la forte dipendenza di questo particolare tipo di programma da una Gemeinschaft (comunità) di rapporti umani fanno infatti assomigliare l’organizzazione a una comunità monastica—e ciò, nonostante la forma del complesso sia quella di un’abitazione di grandi dimensioni.
Il sito si trova nei pressi dell’aeroporto internazionale di Narita, punto di accesso principale per la città di Tokyo. La zona di Narita ha una lunga storia di rivendicazioni contro l’intervento dell’uomo sull’ambiente, un’opposizione che continua anche oggi. I motivi di questa resistenza risalgono ai tempi dell’acquisizione forzata dei terreni per destinarli a campagna imperiale, e al fatto che, quando sono stati avviati i piani per la costruzione dell’aeroporto, nel dopoguerra, molti coloni di ritorno dalla Manciuria si erano appena stabiliti nell’area. Oltre a questo complesso intreccio di fattori, l’espandersi di violente lotte dovute al convergere di attivisti di sinistra nella regione ha gettato una lunga ombra su tutta la gestione dei trasporti nella Prefettura di Chiba. Di conseguenza, alla luce di un tale carico di storia, la forma tradizionale del paesaggio rurale in questa zona genera un senso di ironia. Ci sono ancora numerose fattorie circondate da siepi di felci, e anche la galleria dell’istituto è costeggiata dallo stesso tipo di vegetazione che, al suo crescere, forse renderà il rapporto dell’edificio con i dintorni più stretto. Per quanto fortemente collegato al retaggio culturale del territorio e nonostante una nota che rimanda a una dimensione ascetica, il complesso sembra incarnare la particolare essenza che l’architettura giapponese ha fatto sua dopo il disastroso terremoto del 2011, il Great East Japan Earthquake, localizzato nella zona di Tohoku.
Portando l’attenzione sulla condizione delle persone svantaggiate—e facendolo senza dover dipendere solamente dai fondi pubblici—, il progetto diventa una risposta chiara e dignitosa alle problematiche proposte e, nella sua veste di operazione collettiva, oltrepassa i limiti dell’individualità di Atelier Bow-Wow. Rispetto all’area di Tohoku, in cui il dibattito su come constrastare il minaccioso potere della natura è ancora acceso, questo progetto afferma una fede nella razionalità umana, nella geometria e nella storia; ma, come un sassolino rivoltato, è solamente un piccolo esempio di architettura. Nella sua posizione, per quanto non in opposizione alla natura, il manufatto lascia percepire una forma di pathos nei confronti di un certo concetto di vita e di morte—non solo morte di esseri umani, ma anche di animali e di città.
L’architettura di Atelier Bow-Wow, che fino a oggi è sempre stata al servizio del piacere della vita, sembra essere cambiata in coincidenza con il cataclisma che ha colpito il Giappone due anni fa. Detto questo, se tale cambiamento sia avvenuto in loro oppure in noi, spettatori della loro opera, lo dirà il tempo. Se è possibile ricollegare la costruzione di molti monasteri romanici al terremoto che colpì l’Italia settentrionale nel 1117, è nostro compito osservare attentamente se questo progetto di Atelier Bow-Wow diventi indicativo dell’essenza dell’architettura del post-terremoto di Tohoku. Yoshimura Yasutaka. Architetto e professore dell’I-AUD (International Program in Architecture and Urban Design), Meiji University
Note:
1. Secondo Naraomi Imamura, economista dell’agricoltura, il “sesto settore” rappresenta un’ibridazione: un’aggiunta ai tre settori, capace di sottolinearne l’importanza
2. Questo rapporto diretto può essere osservato nelle ville palladiane, soprattutto nelle residenze suburbane a corpi laterali, caratterizzate da un profondo rapporto con l’agricoltura, come Villa Emo