Che cosa pensi della 'ricerca' in architettura come gesto performativo? Come definiresti in questo senso il metodo di RAD?
Pensiamo che la ricerca nel settore dell'architettura oggi non sia particolarmente rara. Tutti gli studi di progettazione, in un certo grado, fanno ricerca, in un modo o nell'altro. Ci piace pensare che la ricerca possa diventare un gesto creativo che ci porti a proporre nuovi modi di leggere la città e la società. In questo senso considerare la ricerca esclusivamente qualcosa che fornisce motivazioni a un progetto sarebbe uno spreco, mentre noi crediamo invece nella sua capacità di espandere le nostre idee sull'architettura, dandoci informazioni su una realtà di cui non ci eravamo accorti.
In particolare a RAD consideriamo la ricerca come un atto performativo che agisce sempre in collegamento con la prassi. Anche se talvolta può esserci un'analogia, non pensiamo che la ricerca sia un fatto accademico, né un passo preliminare per fare qualcosa d'altro. Ciò che importa è che sia induttiva, impegnata nel settore e probatoria.

Sono pochi i progetti che comprendano nuove costruzioni, mentre si sono moltiplicate le ristrutturazioni che utilizzano edifici preesistenti. Pensiamo che sia un bene. Il flusso finanziario proveniente dall'edilizia speculativa in fin dei conti non ha generato valore reale. Mentre il valore patrimoniale degli edifici di costruzione recente non fa che diminuire nel tempo, nel caso di vecchi edifici ben ristrutturati è possibile creare valore da qualcosa che ne veniva considerato privo. Naturalmente in Europa è una cosa che sanno tutti…
I territori provinciali, al paragone, sono economicamente impoveriti. Anche dal punto di vista della conservazione le condizioni sono dure. I Comuni che hanno intuito e spirito di iniziativa stanno rivolgendosi proattivamente al settore privato per chiedergli idee. Anche se forse non c'è la possibilità di progettare luoghi pubblici come prima, crediamo che la competenza professionale dell'architetto nell'identificare un problema e nel delineare una prospettiva per risolverlo sia necessaria sotto molti aspetti in materia di conservazione e di rivitalizzazione degli spazi della vita quotidiana. Inoltre l'atto di entrare a far parte delle comunità e delle reti locali offre anche l'occasione di accrescere la collaborazione tra settori disciplinari e di scoprire una nuova domanda sociale di architetti.

Osservando nelle opere o addirittura nel lavoro le varie prassi, e le persone che stanno dietro di esse, cerchiamo di coglierne il significato per definire i "luoghi dell'architettura". Ci siamo anche direttamente impegnati in luoghi di questo genere, quando è stato possibile, alla ricerca del modo di favorire le loro potenzialità. Cerchiamo di rendere plurale la definizione di 'architettura' e di identificare il territorio più ampio di questo 'luogo dell'architettura'. La nostra mostra intitolata "Rep — Radlab. Exhibition Project" si chiedeva se il pensiero architettonico (il nucleo ideativo che un architetto cerca di realizzare attraverso un edificio) potesse essere collegato a un veicolo diverso dalla 'costruzione'. Non ce lo chiedevamo sulla spinta della necessità di un'alternativa derivante dall'impossibilità di costruire. Il tema nasceva piuttosto da considerazioni preliminari su come si possa dar vita al pensiero architettonico con un linguaggio differente. Con il progetto di interviste "Town and Architect" abbiamo cercato di dare una definizione di 'località' ascoltando non solo gli architetti, ma anche un economista, un artista, un funzionario amministrativo e un consulente, a vario titolo coinvolti nella definizione formale delle loro località. Questo ci ha permesso di capire il concetto di 'località' in molti modi, come un'area definita da un 'obiettivo' comune, e come un collettivo di persone che condividono lo stesso territorio. Stiamo riflettendo su questi differenti modi in cui una 'località' può essere rappresentata e su come l'architettura possa contribuire a questo processo.
Osservando nelle opere o addirittura nel lavoro le varie prassi, e le persone che stanno dietro di esse, cerchiamo di coglierne il significato per definire i luoghi dell'architettura.

Il radlab., il piccolo spazio alternativo per l'architettura che gestiamo, ha un suo doppio con il nome di LABORATORY. Invitando persone che conosciamo in settori diversi come l'arte e la musica ad assumerne il ruolo di direttore lo spazio può assumere identità completamente differenti e noi siamo in grado di costituire reti a molteplici livelli. È interessante quando queste reti conducono alla creazione di nuovi punti di vista da cui affrontare strade e città. Kyoto è un luogo fantastico per costituire queste reti.

Quando abbiamo creato RAD non esistevano spazi d'architettura a gestione indipendente. Questi spazi venivano per lo più gestiti da società fornitrici di materiali per l'edilizia, da imprese di costruzioni e da università. Erano spazi dedicati alla ricerca e alle attività promozionali, e quindi non potevano includere la sperimentazione e il lavoro dei giovani architetti. Per gli studenti e per gli studi di progettazione era anche difficile accedere a questi spazi. Noi perciò intendiamo costituire un luogo che offra maggiore libertà per ospitare il lavoro di sperimentazione in architettura. Stiamo anche pensando che sarebbe bello rimanere senza definizioni, per così dire, o essere qualcosa di indefinibile. Ciò perché il mondo non farà che continuare a creare cose che non si possono classificare e definire, e a noi piacerebbe essere sempre in contatto attivo con queste cose, perché pensiamo a come il pensiero architettonico possa coesistere con esse.

L'architettura non coincide necessariamente con il costruire. Esiste come una specie di idea o di mentalità, che si realizza sotto forma di edificio e di varie attività professionali. Nelle mostre ciò che importa è che i pensieri e le idee dell'architetto siano espressi con immediatezza. Poiché in definitiva non è possibile ricostruire un'opera d'architettura in uno spazio espositivo, occorre adottare un diverso linguaggio espressivo. Il processo concettuale relativo alla varietà di questi linguaggi e al modo di esporli e rappresentarli offre a un architetto una buona occasione di ripensare a quel che vuol fare con la sua architettura. In Giappone è radicata l'idea che l'architettura coincida con il costruire, e perciò speriamo di scardinare questo luogo comune allestendo mostre d'architettura deliberatamente prive di immagini di edifici.

Il recente disastro ha messo gli architetti di fronte alla sfida di dimostrare come svolgono il loro ruolo sociale. I tentativi in atto sono molti, ma non si può decidere in fretta. È una sfida di respiro particolarmente ampio. Mentre stiamo parlando numerosi architetti sono impegnati nello sforzo della ricostruzione nei loro singoli siti. A lungo gli architetti giapponesi si sono occupati di singoli edifici e il dibattito sulla forma della città in generale non ha avuto grande rilievo. Ma la situazione nella regione di Tohoku solleva il problema di quale forma dare alla città. Tutti sono convinti che l'urbanistica moderna non sia una soluzione, ma teorie e metodologie alternative restano ancora da formulare. Moti architetti si sono rivolti ai residenti e ascoltano quel che hanno da dire. Tuttavia rimane il problema del modo in cui alla fine queste esigenze saranno tradotte in un 'piano regolatore', o forse se la ricostruzione della città sarà raggiunta attraverso un paradigma completamente nuovo che sostituirà quel piano. Basta considerare per un momento la località in cui viviamo per scoprire una gamma di problemi sociali analoghi a quelli delle aree disastrate. Le province sono afflitte da una quantità di problemi particolarmente rilevanti come l'invecchiamento della popolazione, lo spopolamento, la stagnazione economica. La questione da chiarire perciò è come gli architetti possano risolvere questi problemi locali che si pongono non solo a Tohoku, ma in tutto il paese. Quanto all'attività professionale di sostegno, riteniamo che sia importante interagire con le persone secondo modalità architettoniche che le valorizzino. Invece che costruire o dar ordine alle cose l'architetto dovrebbe lavorare a realizzare spazi, strutture di formazione e sistemi che permettano alle persone una partecipazione diretta nel dar forma al proprio ambiente di vita in modo da raggiungere uno stile di vita soddisfacente. Benché chi vive in un edificio di valore storico abbia uno stile di vita molto ricco, l'architettura non fa che permettere alle persone di realizzarlo. Non è l'architettura in sé e per sé, ma sono le persone stesse a creare la propria ricchezza di vita. Pelin Tan / The Japan Foundation research fellow – Osaka Urban Research Plaza



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