El Paso/Juarez è un agglomerato urbano con tre milioni di abitanti circondato dal deserto di Chihuahua. Far, far, away in the nothingness something happened ("lontano, lontanissimo, in mezzo al nulla è successo qualcosa"), si leggeva in un romanzo ambientato in queste terre. La Signora Nothingness, l'ineludibile vuotezza tra una comunitas e l'altra, che influenza ogni rapporto umano, la produzione culturale, la letteratura.
Quando al terzo giorno di viaggio noi caravanisti facciamo tappa al Mercado Mayapan – un immenso magazzino trasformato in centro culturale dall'associazione Mujer Obrera, che da trent'anni difende i diritti delle operaie messicane di El Paso – resto sorpreso dall'incredibile vivacità del luogo, a dispetto del suo relativo isolamento: il Mercado straborda di famiglie, studenti, operatori culturali, venuti da ogni angolo della contea per accogliere i librotraficantes e la loro causa.
Tony Diaz arringa il pubblico: "Quando i legislatori di Tucson hanno deciso di cancellare la storia chicana dalle scuole, noi abbiamo deciso di scriverne una nuova". E lancia l'idea di presentare liste autonome di latinos alle prossime elezioni scolastiche nel Southwest, dove si decideranno gli organigrammi di licei e scuole medie. "Il nostro è un network informale che si sta creando di città in città, unendo territorio e associazioni".
La 22enne Zelene Suchilt, attivista e poetessa newyorkese che a El Paso ha organizzato diverse manifestazioni contro le razzistissime leggi locali sull'immigrazione, è tra i caravanisti che salgono sul palco a leggere alcuni tra gli autori censurati in Arizona: Gloria E. Anzaldua, Rudolfo Anaya, Dagoberto Gilb e la più celebre di tutte, Sandra Cisneros.
In viaggio con i librotraficantes #2
Seconda puntata del diario di viaggio al seguito dei contrabbandieri di libri: da El Paso al deserto di Chihuahua, da Mesilla ad Albuquerque, per promuovere e difendere i capolavori della letteratura chicana in uno scenario da western post-nucleare.
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- Paolo Mossetti
- 10 aprile 2012
- El Paso
Diaz, animatore di tutto il gruppo, passa ore al telefono intervistato da giornalisti che per motivi logistici non possono raggiungerci. Ma sull'autobus ci sono anche un paio di freelance di Houston e una reporter del Texas Observer che inviano dispacci giornalieri tramite Twitter e Facebook. Il progetto librotraficantes come "manifestazione viaggiante", dunque: una fiesta mobile dove si discute, si scherza, ci si confronta e ci si conosce senza chiedere a quale "chiesa" ognuno appartenga. Sindacalisti venuti dall'Ohio incontrano pacifisti da Chicago, mentre insegnanti di Houston e San Antonio visitano l'angolo più estremo a Ovest del Texas con lo stupore di chi visita un altro Paese. Molti dei miei compagni di viaggio sono discendenti di braccianti messicani immigrati negli Stati Uniti durante il Bracero Program (1942-1965), probabilmente la più vasta violazione di diritti umani mai compiuta in tempo di pace. Questi schiavi – centinaia di migliaia di stagionali ogni anno – vivevano in condizioni talmente disperate e umilianti che s'è dovuto aspettare l'inizio dei Sessanta affinché i figli si liberassero del senso di vergogna dei padri e si presentassero come soggetto politico autonomo. L'orgoglio dei librotraficantes viene anche da qui.
Il quarto giorno superiamo il confine con il New Mexico e arriviamo a Mesilla per una breve pausa, dove la compagnia dei book smugglers viene ricevuta nella casa-bookshop di Denise Chavez, altro nome importante della letteratura locale. Mesilla è una cittadina polverosa e ordinata, dalla pianta a scacchiera, le sue tipiche case basse in stile adobe, tinte di un bianco che quasi acceca. L'adobe è una tecnica di costruzione diffusa nei villaggi tormentati dal sole, in Messico come in Iran, e qui ne hanno preso ispirazione per tirar su abitazioni a misura di giovani famiglie progressiste venute a svernare con la prole. Sono case senza spigoli vivi né pilastri in cemento armato, condite con vistosi fasci di chilies a decorare le porte, e nei giardini decorativi i cactus giganti, le yucca, le piante di mesquite. Ai tempi del "Wild West" Mesilla era famosa per le sue cantinas e i suoi festival, vi sostarono Pancho Villa e e Billy the Kid. Ora chi vi abita ha l'aria di trovarsi felicemente fuori dalla Storia. Ad Albuquerque, seconda città dello Stato, veniamo accolti nella casa di Rudolfo Anaya, grande vecchio della cultura chicana, che vive tranquillo su una collina in periferia di Albuquerque: dato che qui il costo della terra è pressocché nullo, e le tasse ridicolmente basse, tutti cercano di costruire lontano dal centro. Qui come altrove veniamo accolti da cibo messicano strepitoso: tra tortillas, guacamole e un assaggio di tequila discutiamo con l'autore di Bless me, Ultima della situazione politica nel Southwest, mentre dalle pareti in vetro che danno sul cortile si possono scorgere le Sandia Mountains e l'America più profonda, giù a valle.
Il New Mexico è una località che sembra il teatro perfetto per la fine-dei-tempi: qui ci sono le grandi riserve Navajo e Hopi, da sempre flagellate da alcolismo e prostituzione, le comunità di bianchi isolati tra le foreste con i loro fucili, le tonnellate di cartucce per videogiochi Atari seppellite ad Alamogordo nel 1983. Uno scenario da western post-nucleare che sarebbe piaciuto a Jodorowski. Suolo imbrattato del sangue degli oppressi, e deserto-rifugio per quelle "zone temporaneamente autonome" di cui scriveva Hakim Bey. Da queste parti, dove micro-tribù di intellettuali e artisti cercano la propria diserzione, si dice spesso: "you can tell how fascist a country is, by looking at how people is scared by police" (puoi capire quanto un Paese è fascista, osservando quanto le persone siano spaventate alla vista della polizia). Ma la regola vale soprattutto per quelli che non possono fuggire, ad esempio i disoccupati ipnotizzati dalle slot machines, disseminate un po' ovunque da uno Stato senza più un soldo.