La galleria della Woodbury University Hollywood (WUHO) è situata vicino all'Hollywood Walk of Fame, una via la cui peggiore colpa sta forse nell'iconicità. Una parola che ha finito per assimilarsi a un'altra che ha la stessa iniziale: 'ignorare'. È così: i turisti la invadono in massa per farcisi fotografare, ma chi ci vive (con certe eccezioni) non nota più i capisaldi 'iconici' della città: anzi, qualche volta li evita di proposito, buttando là definizioni derisorie come "trappola per turisti". Altre volte i locali semplicemente non riescono a riconoscere le loro 'icone': e forse è giusto che sia così perché, dopo tutto, quando stai facendo tardi al lavoro le esigenze pratiche prendono il sopravvento, l'iconico è lì tutti i giorni e solo le novità effimere possono sperare di entrare in gara.
Detto ciò, un certo valore si sviluppa intorno all'anti-iconico: ciò che viene sottovalutato, il bar all'angolo, il "visto e dimenticato", quel che si decompone in bellezza. Di fronte alle glorie cittadine, i simboli di anonimato, ovvero il rustico contrapposto al lucido, possono inalberare un certo orgoglioso romanticismo. Ma quando l'anti-iconico sta sulle stesse copertine e sugli stessi piedestalli dell'iconico diventa un paradosso e un luogo comune esso stesso: si pensi al fenomeno delle 'pornorovine' (e alla relativa reazione), in cui città in disarmo come Detroit vengono fotografate per i loro resti abbandonati e depressi. È corretto celebrare l'anti-iconico? E a che punto (se mai succede) la documentazione del luogo ne controbilancia lo sfruttamento?
Un-Privileged Views
Fino al 25 marzo alla WUHO Gallery, una mostra presenta la città come una forma assolutamente unica e perfino, in certi casi, come narrazione.
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- Katya Tylevich
- 16 marzo 2012
- Los Angeles
Un-Privileged Views, aperta al WUHO il 3 marzo, affronta questi problemi direttamente e acutamente. In una prima presentazione la mostra veniva etichettata come un'indagine fatta di "vedute inconsuete di luoghi familiari, con lo scopo di cambiare il nostro modo di pensarle e di rappresentarle, e una ricerca sul modo di realizzare prospettive alternative di costruzione dell'immagine". Sotto questo aspetto, la mostra evita ogni apoteosi del miserabile, così come evita di limitarsi a rimasticature dell'iconico da differenti punti di vista, mostrando forse i segni dell'usura e del tempo, ma comunque mostrandoci cose che abbiamo già visto. Al contrario, la mostra presenta la città come una forma assolutamente unica e perfino, in certi casi, come narrazione: all'inaugurazione dalle pareti, e perfino dal pavimento, saltavano fuori rappresentazioni inattese e sorprendenti dello spazio urbano, si impilavano l'una sull'altra come scatole, cambiavano forma, si nascondevano dietro spioncini e interagivano con gli spettatori.
Un pezzo particolarmente pensoso, benché formalmente sommesso a paragone di quelli che gli stanno accanto – Paris Je t'M di Mireille Roddier – sta appeso come un mosaico di fotografie in cui alle targhe stradali parigine dedicate agli eroi della storia francese si affiancano segni e marchi del consumismo mondiale. E così per esempio Guy Môquet (1924-1941), che la didascalia definisce "giovane militante comunista e tipico eroe della Resistenza, arrestato e giustiziato nel 1940 insieme con altri 26 prigionieri comunisti" si ritrova in compagnia di American Apparel; oppure Nicolas de Condorcet (1743-1794) "filosofo illuminista e matematico, difensore dei diritti dell'uomo, rivoluzionario. Sostenitore della pubblica istruzione gratuita, del suffragio femminile e dell'abolizione della schiavitù" si ritrova fianco a fianco con United Colors of Benetton. In maniera nettissima e concisa Paris Je t'M mette in luce qualcosa di "non visibile" benché sia sotto gli occhi di tutti: la città di Parigi, con le sue architetture inconfondibili e con le sue storie e le sue contraddizioni, non dette benché pronunciate.
La mostra evita ogni apoteosi del miserabile, così come evita di limitarsi a rimasticature dell'iconico da differenti punti di vista, mostrando forse i segni dell'usura e del tempo, ma comunque mostrandoci cose che abbiamo già visto
Analogamente un'opera intitolata Welcome to Albuquerque, di Geneviève Baudoin e Bruce Johnson, mostra una veduta della città citata nel titolo per la quale un'occhiata o uno scatto fotografico non bastano: la veduta delle residenze suburbane di Albuquerque come apparivano nelle foto originali delle agenzie immobiliari (cioè la fantasia dei quartieri residenziali suburbani) sotto strati fisici di realtà: immagini delle case come sono cambiate nel tempo attraverso ristrutturazioni, addizioni, riparazioni e cattive riparazioni. Invece di un netto "prima e dopo" quest'opera mostra un pragmatico 'ora', inevitabilmente mosso e complicato, in una costante tensione tra passato e presente, impossibile da schematizzare o 'catturare' come una fotografia inevitabilmente fa.
Con la collaborazione curatoriale di Eric Olsen, professore associato presso la Woodbury University School of Architecture, e di Keith Mitnick, professore associato di Architettura all'Università del Michigan, Un-Privileged Views è fatta di contributi provenienti da ogni parte del mondo e scelti da una commissione di sei studiosi d'architettura delle più importanti università degli Stati Uniti. Il testo che accompagna ciascuna delle opere esposte è scritto dall'autore, con minimi interventi redazionali da parte dei curatori. Vale a dire che le voci di questa mostra sono varie quanto le vedute. Passando da un'opera all'altra, da una descrizione all'altra (una densa, l'altra elementare; una accademica, l'altra personale e narrativa) il visitatore capisce con quale serietà i curatori abbiano promesso di offrire "punti di vista alternativi": e in realtà la mostra è coerente nella sua concezione, non nella presentazione; qui sta il punto. Parlando con Olsen il giorno dopo la serata inaugurale, gli ho chiesto da che cosa fosse nata la mostra. "Da una conversazione tra Keith e me a proposito delle immagini: ci aveva preso un po' di nostalgia per un tipo diverso di rappresentazione", mi ha risposto. "Volevamo vedere più immagini di città che suscitassero idee nuove, e non che si limitassero a comunicare quelle esistenti." Katya Tylevich
Fino al 25 marzo 2012
Un-Privileged Views
WUHO Gallery
6518 Hollywood Blvd., Los Angeles