Sedici architetti da tutto il mondo, convocati dall’artista, progettista e curatore cinese Ai Wei Wei, hanno realizzato insieme a lui una microcittà, fatta di padiglioni disseminati lungo il fiume Yiwu, a sud di Shanghai. Intervista di Hans Ulrich Obrist. Fotografia di Iwan Baan. A cura di Rita Capezzuto, Joseph Grima
Parco architettonico di Jinhua
Jinhua è una città della provincia di Zhejiang, nell’area centro-orientale della Repubblica Popolare Cinese, ed è situata 130 km circa a sud di Hangzhou. Conta, comprendendo anche i distretti periferici, oltre 4.520.000 abitanti. Ha una storia millenaria e gode di un’economia avanzata, basata su industria, agricoltura e turismo. Nel 2002 il governo della città ha deciso la creazione del Jindong New District in una zona un tempo agricola, promossa a nuovo spazio urbano, con previsione di alti standard residenziali e di servizi.
Per questo nuovo insediamento, l’artista Ai Wei Wei – figlio di un famoso poeta di Jinhua e collaboratore dello studio Herzog & de Meuron in diverse opere in Cina – è stato invitato a disegnare la banchina del fiume Yiwu e un parco culturale a sud del corso d’acqua. Herzog & de Meuron, molto noti in Cina soprattutto per il progetto in fase di realizzazione dello stadio olimpico di Pechino, sono stati incaricati di elaborare il master plan di Jindong e un centro commerciale. Successivamente, Ai Wei Wei ha ricevuto dalla municipalità la proposta di sviluppare un parco con un piccolo museo, in un terreno stretto e lungo (circa 80 x 2.200 metri) a nord del fiume. L’artista ha pensato allora a un’opera collettiva, chiamando diversi architetti e designer – 5 cinesi e 11 internazionali – a portare un contributo in questa area verde. Sono così sorti, dislocati lungo la striscia del parco, 17 padiglioni a funzione pubblica, per i quali è stato privilegiato l’impiego di materiali locali: 17 follies, a budget contenuto, ciascuna con l’imprinting culturale del proprio autore. RC
Il progetto del parco è stato coordinato dallo studio FACE Design di Pechino
Herzog & de Meuron, Ascan Mergenthaler
The Reading Space Pavilion
Le forme di questa piccola unità – una sorta di roccia, con cavità percorribili e lunghe propaggini laterali lungo il terreno – sono il risultato di una laboriosa progressione, partita dal disegno del master plan del distretto di Jindong. Per il padiglione, i progettisti avevano inizialmente pensato di convertire tridimensionalmente il pattern geometrico del piano generale, che aveva garantito uno schema ordinato per gli edifici. La monotonia della figura che ne era scaturita – poco interessante dal punto di vista spaziale e concettuale – li ha spinti poi a continuare nel processo di sviluppo, focalizzando la ricerca sul grado di inclinazione delle linee intersecate, e sulle questioni di scala. Sono quindi arrivati a concepire delle forme ‘mutanti’, che potevano essere declinate in elementi topografici con precise funzioni (una panca, un tetto, una piattaforma etc). Sorpresi per la malleabilità di quanto avevano ottenuto, hanno deciso di sviluppare tre padiglioni per tre siti differenti: uno “a cubo” per Jinhua (in cemento colorato, costruito con metodi convenzionali); uno “ad albero” per il Berower Park della Fondazione Beyerle a Basilea; e un terzo ‘orizzontale’ per il centro di Genova, non realizzato. RC
Ai Wei Wei
huo: Nel corso degli anni tu hai realizzato opere d’arte, architetture, parecchie mostre e molte pubblicazioni. Nel tuo progetto più recente, il Parco architettonico di Jinhua, hai avuto il ruolo di curatore. Com’è nato questo progetto?
aww: Qualche anno fa il comune di Jinhua si rivolse a me per la costruzione di un parco da dedicare alla memoria di mio padre, celebre poeta e intellettuale. È stato esiliato dal Partito per motivi politici per oltre vent’anni, ma poi, dopo la morte, è tornato ad essere riconosciuto come uno dei protagonisti della cultura cinese. Quando il Comune mi chiese di sovrintendere alla sistemazione paesaggistica di questo parco, in un primo momento ho rifiutato: non ho mai avuto legami affettivi con la città di mio padre perché sono cresciuto altrove. Ma poi mia madre ha fatto una osservazione giusta: “Se non lo fai tu lo farà qualcun altro”. E così sono andato a dare un’occhiata. Il terreno era una fascia di vegetazione incolta lunga due chilometri, sulla riva del fiume Yiwu, ma sono rimasto affascinato dalla sua posizione in rapporto alla città. Alla fine ho deciso di accettare l’incarico.
huo: Se non sbaglio, l’idea di base del parco consiste nel realizzare un’esposizione di padiglioni, realizzati da architetti selezionati da te... Ma questa è in qualche modo una mostra permanente perché i padiglioni sono permanenti, giusto?
aww: Sì, i padiglioni sono permanenti. In quel periodo stavo lavorando allo stadio nazionale olimpico di Pechino con Herzog & de Meuron. Ho chiesto al Comune se fossero interessati a coinvolgerli nell’operazione Jinhua. L’assessorato all’Urbanistica ha risposto con entusiasmo: ha deciso di affidare loro la realizzazione di un piano regolatore e di un centro commerciale per il nuovo quartiere di Jindong. In più ho chiesto a Herzog & de Meuron di lavorare a stretto contatto con me nei progetti per il parco. Abbiamo deciso di distribuire i requisiti funzionali del parco (case da tè, libreria, servizi igienici ecc.) in vari padiglioni sparsi lungo il fiume, e di affidarne il progetto a una selezione di architetti cinesi e stranieri. Herzog & de Meuron si sono assunti il compito di progettare un padiglione e io un secondo e in seguito insieme abbiamo fatto una selezione di studi d’architettura emergenti che potessero creare una collezione eterogenea di progetti di qualità, una cosa abbastanza unica in Cina.
huo: Insomma è stato un lavoro collettivo.
aww: Sì. Ho pensato che fosse importante far entrare in questo progetto il maggior numero possibile di buoni progettisti. Oggi la Cina ha un bisogno disperato di nuove idee, di esempi di creatività sia interni che esterni, di un nuovo sangue architettonico. D’altro canto, molti architetti occidentali hanno grande familiarità con la teoria dell’architettura ma non hanno molte occasioni di costruire, e quindi questa poteva essere l’occasione auspicata per sperimentare architettura costruita senza la preoccupazione di troppi vincoli. Alla fine abbiamo invitato cinque studi cinesi e undici studi internazionali. In certi casi ci sono stati problemi di controllo di qualità, perché i costruttori cinesi non sono abituati a questo tipo di lavoro, ma nel complesso la piccola scala dei progetti ha reso possibile controllare la qualità con cura. E comunque, sai, ci rendiamo conto ora che il progetto è molto più complesso di quel che pensavamo, perché quando è iniziato eravamo molto ingenui e abbiamo semplicemente pensato: “È un’idea semplicissima”. In generale però è stata un’occasione unica di un esperimento architettonico collettivo, che potrebbe avere un effetto positivo sulla qualità della vita urbana di Jinhua.
huo: Dove hai studiato architettura? Negli ultimi anni la tua attività architettonica, specie a Pechino, è stata abbastanza prolifica, e sembra inseguire una ricerca sulle sovrapposizioni fra Oriente e Occidente.
aww: In realtà non ho mai studiato architettura, anche se ho fatto un po’ di pratica durante il servizio civile. È stato uno sviluppo successivo della mia carriera, in parallelo col lavoro artistico.
huo: Come hai distribuito le differenti funzioni del programma tra i vari architetti?
aww: Nel corso della prima visita, la prima volta che ci siamo incontrati tutti a Jinhua, abbiamo organizzato una lotteria con la quale è stata distribuita a ciascuno studio una parte differente del programma. In effetti, fin da principio gli incontri sono stati molto cordiali, quasi delle feste… Tutti si stupivano della libertà di progettare qualunque cosa volessero, ma dovevamo fare molta attenzione al bilancio perché il Comune non aveva molti soldi. Il fatto che fossero coinvolti anche Herzog & de Meuron in certo qual modo dava agli architetti molta fiducia e molto entusiasmo. Alla fine, la strategia del Comune si è rivelata molto intelligente, perché, permettendo a questa collaborazione di proseguire, ha attirato parecchia attenzione nazionale e internazionale sulla città. Il prezzo dei terreni intorno al parco, che fino a pochi anni prima erano a destinazione agricola, è cresciuto molto. Anche perché molti professori e studenti universitari, molti giornalisti e molti architetti sono già venuti a visitare il sito.
huo: Mi parli del tuo padiglione e del tuo concetto di archivio? In certo qual modo si tratta dell’estensione di alcune delle tue opere d’arte precedenti, che avevano a che fare con la ceramica… Se ricordo bene avevi dipinto con colori sgargianti una serie di vasi molto antichi, rendendo così indistinguibile vecchio e nuovo, cancellandone tutte le differenze.
aww: Sì, è vero. Si tratta, in realtà, di un concetto centrale del mio lavoro. Mi chiedo perché vengono fatte sempre le stesse domande: nuovo o antico? Vero o finto? È un tema di cui mi occupo spesso. Comunque, il mio padiglione in realtà è un “archivio archeologico”. L’incarico comunale originale riguardava un piccolo museo, ma a me interessava di più il concetto di archivio perché sono un esperto di ceramica neolitica. Così questo è un archivio che può essere visitato, ma non un semplice contenitore destinato alla conservazione, perché alcuni di questi vasi finiscono con essere parte delle mie opere d’arte.
huo: Sì, è una specie di paradosso: conservi i vasi nel museo ma poi improvvisamente decidi di dipingerli... Una specie di museo d’arte in progress.
aww: Un giorno potrei essere tentato di dipingere anche il museo, come i vasi… In ogni caso, per tornare al parco, quando si vara un progetto come questo naturalmente tutti gli architetti vogliono fare qualcosa di molto spettacolare e di straordinario. Posso capirlo perché spesso devono subire tante frustrazioni nei loro progetti, e questa è l’occasione di sfidare le convenzioni. Ma personalmente, forse perché non sono soltanto architetto, sono sempre più attratto dalle forme dell’architettura essenziale, ordinaria, semplice. Le forme che definiscono il mio “archivio archeologico” sono in gran parte derivate dalla tradizione locale, forse ancor più semplificate e trasposte in materiali e tecniche costruttive di oggi. Insomma l’idea è che metà del volume sia in superficie: da questa angolazione sembra infatti una normale abitazione con il tetto a doppia falda. Dall’altro lato invece si vede che in realtà metà della costruzione è sotterranea: in sezione l’edificio è esagonale. Anche i percorsi del cortile d’ingresso sono esagonali, in realtà. L’edificio è un singolo blocco allungato di calcestruzzo armato.
huo: Anche il padiglione di Herzog & de Meuron è realizzato in calcestruzzo, no?
aww: Il loro si chiama “Sala di lettura” ed è composto da una serie di piani ripiegati che si intersecano e si tagliano reciprocamente. Tecnicamente è stato molto difficile ottenere la forma che avevano progettato per la complessità delle casseforme. In realtà hanno approfittato del fatto che lavoravano in Cina, dove il costo del lavoro è così basso, perché il tempo occorso per ottenere quella forma in Europa avrebbe certamente sforato di molto il budget. Per di più non molti costruttori sono in grado oggi di creare una sequenza di gettate così complessa ma precisa. Il solo che poteva farlo a Jinhua era un vecchio capomastro, già in pensione. Abbiamo dovuto convincerlo a ricominciare a lavorare, ma alla fine credo che si sia divertito. Va molto fiero di aver fatto una cosa così complicata.
huo: Tutti i padiglioni sono stati realizzati oppure ce ne sono anche di incompiuti?
aww: Sono stati tutti realizzati, alla fine… Oggi sono terminati circa al 95%. Ci occorre ancora circa un mese per finire gli interni. Ma il denaro scarseggia sempre. Per questo per completare l’intero progetto ci è voluto più di un anno e mezzo.
huo: È abbastanza poco, un anno e mezzo… Per i nostri parametri europei...
aww: Per la Cina un anno e mezzo è un’eternità. Avevamo previsto di terminare in quattro mesi. Ma anche se si è trattato di un progetto molto rapido penso che avrà grande incidenza sul Paese. Credo che l’architettura possa avere un grande valore educativo: indica alla gente le possibilità, le strade per cambiare le cose e come possono cambiare; è una cosa che ho sempre in mente. È molto importante che il governo, che ha finanziato questo progetto, abbia fatto qualcosa per dimostrare che la società non deve essere sempre la stessa.
huo: Quali programmi hai per il futuro? Ritornerai all’arte?
aww: No, niente arte. Forse mi limiterò a leggere dei libri. Sto pensando di scrivere io stesso altri libri. Sai, in passato ho fatto molta attività editoriale. Avevo l’idea di un libro di documentazione sull’arte cinese contemporanea nella sua prima fase, all’inizio degli anni Novanta. I miei primi libri si sono rivelati molto importanti e sono stati cruciali nella promozione dell’arte concettuale e sperimentale, e quindi penso che forse sia il momento di rifare qualcosa di simile.
Ai Wei Wei (Pechino, 1957) è un artista concettuale, curatore e architetto. Ha studiato al Beijing Film Academy e alla Parsons School of Design. Ha partecipato alla prima mostra collettiva del gruppo Stars nel 1979. Con i suoi progetti curatoriali, editoriali e progettuali, e il sostegno offerto alle nuove generazioni di artisti, ha influenzato fortemente l’arte cinese in un periodo cruciale di sviluppo e apertura al mondo internazionale.
Jinhua Architecture Park
da Domus 894 luglio/agosto 2006Sedici architetti da tutto il mondo, convocati dall’artista, progettista e curatore cinese Ai Wei Wei, hanno realizzato insieme a lui una microcittà, fatta di padiglioni disseminati lungo il fiume Yiwu, a sud di Shanghai. Intervista di Hans Ulrich Obrist. Fotografia di Iwan Baan. A cura di Rita Capezzuto, Joseph Grima
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- 01 agosto 2006