Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1045, aprile 2020. Devono essere ben pochi gli uffici in una posizione più bella di quella dello studio genovese di Renzo Piano. Non devono essere nemmeno molti gli studi di architettura che trasmettono con così tanta forza il carattere e lo spirito dell’attività che ospitano. Situato appena a ovest di Genova, costruito su un terreno di proprietà della sua famiglia, l’edificio è organizzato come una serie di spazi a cascata sotto un tetto di vetro inclinato, affacciati sul Mar Ligure. Nonostante siano pochi i suoi progetti realizzati in Italia, Renzo Piano rimane legato alla sua città natale, dove mantiene la sua posizione di architetto più importante del Paese.
Renzo Piano: la flessibilità è una “questione morale” e non un fatto tecnico
Parlando dal suo studio pieno di vita che guarda sul Mar Ligure, Piano ci apre una prospettiva sulla sua passione per la costruzione e per la collaborazione leale, che sono tra le caratteristiche determinanti della sua professionalità senza tempo.
Foto Giovanni Del Brenna.
Foto Giovanni Del Brenna.
Foto Giovanni Del Brenna.
Foto Giovanni Del Brenna.
Foto Giovanni Del Brenna.
Foto Giovanni Del Brenna.
Foto Hickey & Robertson Photography/ © Fondazione Renzo Piano
Foto Hickey & Robertson Photography/ © Fondazione Renzo Piano
Immagine © Fondazione Renzo Piano
Immagine © Fondazione Renzo Piano
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- David Chipperfield
- 07 aprile 2020
Lo studio, raggiungibile solo con un ascensore di vetro futuristico quanto conviene, ha quell’atmosfera di grande concentrazione e intensità che deriva dalla combinazione della sua collocazione spettacolare e isolata e della sua sofisticata condizione internazionale. All’interno di questo edificio, dominato come molte delle costruzioni di Piano da un senso di leggerezza e trasparenza, gli architetti sono impegnati a lavorare su progetti in tutto il mondo. Organizzato in modo impeccabile e allo stesso tempo ingombro fino all’intasamento, lo studio è definito tanto dal lavoro esposto quanto dall’architettura e dalla sua straordinaria posizione. Osservando le migliaia di schizzi, disegni, modelli e prototipi sparsi ovunque – anche negli spazi espositivi, nei locali della Fondazione e nel vicino archivio – è chiaro che potremmo considerare tutto ciò come parte di un suo grande progetto: uno che pone al centro del processo di progettazione la ricerca su tecnologia, costruzione e realizzazione. L’atmosfera di sperimentazione e progresso è trasmessa non solo da modelli e schizzi, con la tangibilità o il senso di apertura che comunicano, ma anche dalla coerenza del lavoro stesso e dal senso di fiducia negli obiettivi che emanano dallo studio.
L’interesse di Renzo Piano per la sperimentazione su materiali e tecniche costruttive è ben noto. Il suo background di figlio di un impresario edile, il lavoro con Franco Albini e Marco Zanuso, il suo interesse per Jean Prouvé e i suoi primi anni da architetto dedicati alla ricerca nel settore delle costruzioni investono lo studio di una solidità e una gravitas quasi empiriche. Sebbene Piano abbia sempre prodotto più disegni rispetto alla maggior parte degli architetti, e parli sempre poeticamente del ruolo dell’architettura, rifiuta l’idea, cara a molti altri, che essa sia una forma d’arte. L’approccio deterministico delle sue prime ricerche non è mai stato abbandonato: l’architettura è soggetta a obiettivi e prestazioni. Lo studio è quindi un laboratorio di ricerca tanto quanto un atelier e il laboratorio modelli è collocato sia simbolicamente sia funzionalmente nel cuore visibile dell’ufficio. Mentre parliamo, Piano tira fuori il metro e ricorda come l’ingegner Peter Rice, suo grande amico e collaboratore, abbia sempre voluto misurare tutto, avendo cara l’idea di precisione. Piano mantiene ancora questa abitudine, una pratica che dimostra il suo interesse per il mondo reale e per il fare, più che per creare impressioni e immagini.
Lo studio è organizzato in modo impeccabile e allo stesso tempo è ingombro fino all’intasamento
L’interesse per le prestazioni, la tecnologia e la costruzione, tuttavia, non è fine a se stesso. Piano ha sempre considerato il ruolo sociale dell’architettura come sua ragione d’essere: un’idea di scopo rafforzata da considerazioni sulle prestazioni tecniche. La coerenza d’idee nel lavoro rappresentato dentro al suo studio, nelle pubblicazioni e nelle mostre sembra dipendere da due dispositivi d’ indagine: lo schizzo generativo che esamina un concetto, un’organizzazione e un gesto, e i modelli che sembrano esprimere sia l’indagine sia la soluzione. Mentre le pareti di molti studi di architettura sono dominate da immagini formalistiche sul linguaggio e sull’aspetto degli edifici, qui c’è una tonificante assenza di tale materiale, in particolare d’immagini generate al computer. La forma dell’edificio deriva da uno schizzo concettuale che determina l’ordine e la geometria, nonché da un approfondito interesse per il modo in cui l’edificio stesso viene assemblato. Pertanto, forma e identità si sviluppano dal processo di progettazione.
“Non inizio mai con una forma”, afferma Piano, descrivendo invece come cerchi le possibilità nel programma e le sfide nell’idea di costruzione. “Non so mai quale dovrebbe essere l’aspetto di un edificio”. L’importanza data ai disegni e ai modelli che esaminiamo non si basa su un particolare interesse per la presentazione. Sono frammenti di progetto che sembrano dimostrare ricerca e soluzione allo stesso tempo, un tentativo di avvicinarsi alla costruzione stessa, una compensazione per la distanza che il processo di progettazione tende spesso a creare, ruolo che ci viene sempre più spesso imposto dal processo contrattuale e dalle tendenze del settore delle costruzioni. In un momento in cui gli architetti sembrano perdere l’autorità esecutiva sulla costruzione e quindi hanno imparato a essere meno interessati a questa dimensione, è bello vedere come Piano da oltre 50 anni sia profondamente affascinato dal modo in cui un edificio è concepito e costruito.
Collaborazioni e partnership sembrano essere fondamentali per la sua carriera e il suo approccio. La più famosa è quella con Richard Rogers, che rimane il suo migliore amico. Oltre al legame personale, il loro rapporto dimostra una comune fiducia nella natura collettiva della professione. Il frutto della loro collaborazione è identificato soprattutto con il Centre Georges Pompidou di Parigi, un progetto veramente visionario in cui costruzione, innovazione tecnica e funzione sociale hanno creato una delle architetture più radicali del XX secolo. Forse più di ogni altro edificio, rappresenta un’attestazione non solo riguardo alla struttura e ai servizi come parte fondamentale e stimolante dell’architettura, ma anche all’importanza più generale della tecnica nel processo di progettazione. Offrire agli ingegneri e ad altri consulenti tecnici un posto di rilievo al tavolo ha rappresentato un passo in avanti per la professione. La loro presenza nel gruppo di lavoro era funzionale alla generazione d’idee, riuniva intelligenza critica ed esperienza da diversi punti di vista. Ciò è possibile solo se si ritiene che la costruzione, il modo in cui la struttura e i sistemi s’integrano, siano fondamentali per il progetto architettonico.
La visibilità della tecnologia è sempre stata un tema dominante del lavoro di Renzo Piano, che la considera parte di una visione più ampia di un’architettura legata a leggerezza, efficienza, trasparenza e flessibilità. “Prima d’iniziare a lavorare con Richard pensavo che la flessibilità fosse un problema tecnico, ma poi ho capito che si trattava di una questione di etica”, afferma. La flessibilità, quindi, non è solo la capacità di cambiare e adattarsi, ma fornisce anche una distinzione tra gli elementi costruttivi fondamentali dell’edificio e quelli che potrebbero essere visti come elementi funzionali. Il contrasto tra gli elementi che lavorano per l’edificio e quelli che lavorano per il programma non è solo uno strumento di pianificazione e processo, ma anche un dispositivo che conferisce grande chiarezza visiva all’architettura. In questo modo, il concetto di flessibilità abbraccia sia l’idea di cambiamento sia l’espressione architettonica.
Mentre parliamo, Piano tira fuori il metro e ricorda come l’ingegner Peter Rice abbia sempre voluto misurare tutto
L’entusiasmo pervade lo studio genovese di Piano in un momento in cui molti architetti tendono a definirsi attraverso conflitto e resistenza, vedendo invariabilmente la nostra professione come una pratica di sovversione e complicità, impegnata nella lotta per valori e ideali che altrimenti verrebbero trascurati. Questo può spesso determinare il nostro tono, che varia dalla diffidenza alla rassegnazione e alla complicità, fino all’indignazione. Piano si colloca ben al di sopra di tali posizioni, mantenendo invece un senso dello scopo gentile e fiducioso. Soprattutto, porta con leggerezza le cicatrici e le ferite che deve aver subito durante la sua lunga campagna. “Penso di essere molto testardo”, dice in una rara concessione all’idea di lotta professionale. Anche in questa fase della sua carriera, come il suo studio e tutti e tutto ciò che lo circonda, Piano esprime una visione positiva e una curiosità irresistibile sulla costruzione di edifici e sull’importante ruolo che l’architettura riveste nella società e nella comunità. Il lavoro di Renzo Piano appare senza tempo e moderno come sempre, condotto felicemente in questo straordinario spazio. Mi dispiace molto lasciare questa vista sul mare e su tutto il resto.
Renzo Piano al suo tavolo di lavoro revisiona un progetto con alcuni dei suoi collaboratori.
Renzo Piano e David Chipperfield in un momento dell’intervista, nella sala riunioni, al piano basso.
Renzo Piano (1937) al suo tavolo di lavoro a Genova. Alle sue spalle, schizzi di progetti in corso che l’architetto tiene sempre a portata di mano e porta con sé quando si sposta nello studio di Parigi.
Vista di due livelli dell’open space dello studio, dominato dalla trasparenza e dalla leggerezza dei progetti di Piano.
La facciata ovest da cui si accede allo studio, al tramonto.
Dettaglio della facciata della Menil Collection a Houston, Texas, 1986.
Dettaglio della facciata della Menil Collection a Houston, Texas, 1986.
Schizzo della Menil Collection a Houston, Texas, 1986.
Sezione della Menil Collection a Houston, Texas, 1986.
Dettaglio della Menil Collection a Houston, Texas, 1986.