Ho letto con attenzione e interesse l'appello di Matteo D'Ambros sulla vicenda del progetto di Rem Koolhaas per il Fontego dei Tedeschi a Venezia. "Bene!", mi sono detto, "fortunatamente se ne parla. La posta in gioco è più alta di quanto non sembri". Non si può che condividere il testo, tuttavia dopo averlo riletto mi è sorto un forte dubbio sull'efficacia dei codici che oggi usiamo noi architetti per dibattere e comunicare; provo quindi a percorre una via alternativa.
Coraggio, sporchiamoci le mani anche se siamo intellettuali dello spazio: entriamo nel merito!
Perché quando scriviamo non abbiamo più coraggio di esprimerci nel merito dei progetti e rilanciamo sempre su concetti generali e astratti?
Nel caso del Fontego, è vero, "Vi è una proprietà e vi sono delle procedure che impongono delle regole" e la Soprintendeza ha bloccato il progetto. Nel merito però c'è un luogo centralissimo e molti milioni di euro – di questi tempi difficili da trovare – che vengono investiti in un progetto di trasformazione di un edificio storico che sta degradandosi irrimediabilmente e, in precedenza, aveva una funzione pubblica. Un grande magazzine Rinascente da insediare a due passi da Rialto al posto dell'ex palazzo delle Poste. Ci sono, poi, un'amministrazione progressista, uno tra i massimi architetti viventi che progetta e un imprenditore come Benetton, da sempre attento alle tematiche sociali e distintosi per i contenuti innovativi. Il risultato che abbiamo sotto gli occhi, il progetto presentato, però non ci soddisfa pienamente. Perché non dirlo?
Rem Koolhaas parte da un assunto: "Venezia è una città disabitata e consumata dai turisti, il consumo è la sua linfa vitale". Con molta lucidità parla di department store, come dispositivo di produzione culturale attraverso i canali della diffusione commerciale, e di pubblico, in forma di turista consumatore. Sviluppa poi un ragionamento che ci rivela l'atteggiamento dogmatico – e, per certi versi conservatore – che abbiamo nei confronti del tema della conservazione delle città. A queste posizioni, gli architetti e gli urbanisti italiani presenti al dibattito ribattono rincararando la dose e scagliandosi contro la città, che – secondo loro – vive di rendita e approfitta del passato senza avere il coraggio di vivere in maniera progettuale la propria dimensione contemporanea. Lo scritto di Matteo D'Ambros rilancia con un appello la responsabilità degli investitori, i "clienti", a fare un progetto di contenuto innovativo in termini di funzioni (creative economy) e tener conto della sfera pubblica in cui viene realizzato.
In un mondo recente, in cui il capitalismo e il mercato ci regalavano benessere e crescita in ogni dove, la perdita di Venezia, intesa come città "reale" e autentica, era un prezzo che si poteva pagare. Un punto di vista "laico" e pragmatico sulle dinamiche in atto, come quello di Koolhaas, era giocoforza obbligatorio. Ci avevano riempito la testa di metafore, di visioni di economie immateriali, di progettualità culturali e urbane possibili e speravamo che l'erosione della città "reale" fosse un fenomeno passeggero fino a quando una classe dirigente illuminata non avrebbe rimesso le cose a posto. Niente di più sbagliato. Le città si evolvono e non tornano indietro. Il progetto di Koolhaas prende una posizione precisa quando si rivolge ai cittadini futuri come se questi fossero i turisti: questa è la criticità fondamentale del progetto.
Venezia è un luogo di "resistenza" urbana di molti cittadini che la abitano sforzandosi di essere dei cittadini normali in una città diversa, affermando il diritto di esistere nelle differenze.
In questo contesto emerge il limite del progetto del Fondaco: manca un contenuto che aiuti la dimensione autentica della città di Venezia controbilanciando le forze erosive del turismo di massa e del mercato speculativo. Si tratta proprio di quella "battaglia" che a Venezia si sta svolgendo, da un po' di anni, sulla sopravvivenza della città stessa. Il progetto di Koolhaas come s'inserisce in questa "battaglia"? Non è forse di questo che dovremmo discutere?
La battaglia di Venezia
Chi ci ha preceduto negli anni e nei secoli ha articolato pensieri e riflessioni elaborate e cruciali per la cultura dei propri tempi proprio a partire dalla città lagunare.
In epoca moderna, nonostante Venezia sia considerata il prototipo sul quale si testano e si scontrano una moltitudine di teorie e forze della contemporaneità, si è accettata la museificazione della città: i cittadini sono diventati sempre meno numerosi e più deboli, i mecenati più numerosi e generosi, i turisti più pressanti e onnivori. Sempre più, la città è cristallizzata nella sua bellezza. Per conservarla, si sono spesi e si stanno spendendo, oltre 4 miliardi di euro per il solo sistema di difesa dalle acque alte.
Ma era il mondo pre-crisi della continua crescita: oggi le condizioni sono cambiate.
Non è un contesto di felice decrescita quello che si sta affermando. È un campo di battaglia che oggi è arrivato al cuore delle città europee.
Cittadini che non possono permettersi i prezzi delle case nel centro, giovani coppie espulse perché non possono pagarsi il mutuo, investimenti della finanza che preferiscono tenere vuoti palazzi di uffici per garanzia bancaria piuttosto che riconvertirli a residenze, corporation che colonizzano e brandizzano luoghi identitari dei centri storici, middle class sempre più povera che scompare, ricchezze concentrate che comprano porzioni di città o di patrimonio pubblico in dismissione.
Tutto quello che avviene oggi nelle città europee, con straordinaria rapidità, a Venezia sta accadendo da almeno trent'anni. Ancora oggi, la città lagunare, seppur quasi "svuotata", ma ancora vitale, anticipa i modelli che si vogliono imporre nelle città europee. Mentre si dibatte per mesi sull'opportunità di aprire la terrazza di Koolhaas, a pochi chilometri di distanza, a Marghera, il noto stilista Pierre Cardin (88 anni, veneto di origine e nato come Pietro Cardin), sta proponendo una fantasmagorica torre in stile Dubai che assomiglia più a un mausoleo di se stesso che a un pezzo di città. Per il solo fatto di proporre un miliardo e mezzo di euro di investimenti (ce li avrà davvero?) sindaco, governatore della Regione e della Provincia sostengono il progetto a spada tratta, la popolazione non capisce come in epoca di ristrettezze si propongano simili investimenti e persino il Presidente della Repubblica Napolitano ha chiesto un'informativa. Per ora, il progetto è stato bloccato dall'ente aereo Italiano (ENAC) che non permette torri alte 250 metri in prossimità degli aeroporti, ma i quotidiani scrivono che l'ente è "sottoposto a pressioni politiche enormi".
Si potrebbe arrivare alla paradossale situazione per cui il progetto di Koolhaas viene bloccato o ridimensionato per sottrazione e a pochi chilometri viene realizzata la torre celebrativa di Cardin alta 250 metri. Sono due accesi dibattiti, combattuti su terreni sdrucciolevoli: lo stilista, per essenza effimero, sostiene una torre di vetro e acciaio alta 250 metri mentre l'architetto visionario ha a che fare con il restauro di un edificio del 1500 per farne un centro commerciale che venderà prevalentemente moda ai turisti. Una doppia nemesi dove entrambi i progetti sono costretti a evolversi e il progetto vincitore delineerà le politiche future sulla città (potrebbero anche vincere entrambi o nessuno). Un'allegoria della situazione odierna potrebbe visualizzarsi con una Dubai che ha mollato gli ormeggi e – in una navigazione controcorrente rispetto a Marco Polo – assedia Venezia e, quindi il centro delle città europee, per imporre il suo modello.
Dobbiamo pensare che si tratti di una naturale evoluzione darwiniana dei modelli urbani? Avendo visitato e vissuto parte della mia vita in questi "modelli urbani contemporanei" ed essendo per contrappeso veneziano, penso che non dobbiamo assistere imbelli a questa dinamica.
Nuove tattiche e strategie: da una modestia fatalista a una sobrietà visioniaria
Dobbiamo riavvicinarci alle cose e prendercene cura.
Il progetto di Koolhaas rappresenta ancora una straordinaria opportunità per la città.
Possiamo insinuare il dubbio che Koolhaas abbia autodefinito "modesto" l'intervento, proprio perché non include quelle componenti innovative a cui siamo abituati quando OMA interviene. Pensiamo all'operazione di rilancio del marchio Prada con la ricerca sullo shopping e la progettualità applicata ai punti vendita che hanno proiettato il marchio Milanese alla ribalta mondiale. Quei progetti non erano più grandi o in posizioni più prestigiose, ma non erano nemmeno "modesti". Perché OMA non ha avuto la stessa forza propositiva nel progetto Veneziano? La scala movibile, la corte pubblica e la terrazza-bar, non sono abbastanza. Invece che ragionare per sottrazione di elementi, come chiede la soprintendenza, non dovremmo forse farci amplificatori di una richiesta implementativa?
L'architetto ha avuto un atteggiamento "modesto" in un luogo in cui non ci si può permettere di essere "modesti".
È proprio in quella linea sottile tra modestia e sobrietà che oggi s'inserisce la possibilità di implementare e migliorare il progetto. La modestia è intesa come un atteggiamento rinunciatario e che ragiona per sottrazione, ma la sobrietà è la nuova condizione dei nostri tempi, ottimizza le risorse e le focalizza. La sobrietà, se visionaria, può essere rivoluzionaria.
Dovremmo pretendere dalla sopraintendenza, in seguito alla bocciatura del progetto, di spiegarci quale visione di città promuove in alternativa a quanto presentato.
La risposta alla richiesta di revisione degli interventi dovrebbe essere un rilancio del progetto nella sua sobria radicalità, un progetto che aiuti vitalità urbana e cittadina che è la miglior salvaguardia possibile. Benetton e Koolhaas nella prossima versione del progetto del Fontego dovranno decidere da che parte schierarsi: virare il progetto in una direzione che aiuti la "resistenza urbana" dei cittadini Veneziani, seppur all'interno di un meccanismo economico vantaggioso per gli investitori, oppure dare per persa la "battaglia di Venezia" e rivolgersi al turista consumatore come "user" unico e privilegiato dell'edifico.
Matteo D'Ambros cita Amate l'architettura di Gio Ponti, rimandando a un'iniziale "eccezione, sogno o follia" che genera i monumenti (prima privati e poi sociali): sosteniamo Koolhaas nel superare i limiti della sopraintendenza, nel trovare le condizioni per un progetto più "eccezionale, sognante e folle" per la città. C'è un'ineludibile dimensione pubblica del Fontego e il progetto di architettura può ancora rappresentare un miglioramento della condizione di vita urbana (e di chi la città la abita).
Quello che ci auspichiamo è un edificio sobrio e rivoluzionario per Venezia, che aiuti la città a costruire il proprio futuro e per analogia possa diventare un modello di intervento per i centri delle città europee. Di questo chiederemo conto alla Soprintendenza: quale progettualità, quali regole e proposte alternative promuove come linee guida per sbloccare il progetto? Se il percorso del Fontego potrà cogliere queste sfide e non si bloccherà, forse non saremo costretti a subire i processi di erosione della città e della res publica che sono già in atto in tutto il continente. Se non in Europa – in Italia, a Venezia – dove si svolgerà la battaglia delle città europee?
La battaglia di Venezia
C'è un'ineludibile dimensione pubblica del Fontego dei Tedeschi e il progetto di Rem Koolhaas può rappresentare un miglioramento della condizione di vita dei residenti. Quello che ci auspichiamo è un edificio sobrio e rivoluzionario che aiuti la città a costruire il proprio futuro e, per analogia, possa diventare un modello d'intervento europeo.
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- Michele Brunello
- 25 luglio 2012
- Venezia