Mentre una strage planetaria di anziani ammutolisce città divenute bare di vetro e cemento nelle (chiuse) librerie dell’epicentro del male arriva La cultura del narcisismo, un libro dimenticato che illumina la furia di eventi cupi e misteriosi.
“La nostra società non sa che farsene degli anziani. Li bolla come inutili, li obbliga ad andare in pensione prima che abbiano esaurito la loro capacità lavorativa e rafforza in ogni occasione la loro sensazione di superfluità. Svalutando l’esperienza e attribuendo una grande importanza alla forza fisica, alla destrezza, all’elasticità nello stare al passo con le idee nuove, la società definisce la produttività in termini che escludono automaticamente i cittadini anziani”.
Anticonformista scomparso troppo presto, Christopher Lasch anticipava il drammatico mutamento di un mondo dove la perdita di qualunque idea di passato vanificava ogni possibilità di futuro. Finanziarizzazione della realtà, azzeramento della memoria e morte dell’arte non erano ancora esperienza quotidiana ma già indicavano una società delirante. Forte di un’eterna giovinezza garantita dalla crescita zero, questa nuova società per conoscere non apriva più la porta ma si chiudeva in bagno a guardarsi nello specchio. Ricorda qualcosa?
Convinzioni incrollabili che la pandemia ha spazzato in poche ore riscoprendo la fragilità, il mistero e il cuore come categorie fondamentali della vita.
Lasch delineava un tipo umano nuovo e multiforme, che sostituiva l’homo oeconomicus in maniera inaspettata. Non era semplicemente un egoista ma un essere più sofisticato, ansioso e per questo condannato a un eterno presente di insoddisfazione. Consumata l’etica del lavoro e della fiducia nel progresso sociale, l’“uomo psicologico” si trovava alla deriva di un individualismo fine a sé stesso, senza più una rete in grado di salvarlo da un’inevitabile caduta. Era il narcisista.
Ma non è forse questo il tipo umano che oggi soccombe nelle nostre città davanti davanti all’epidemia di Covid-19? Un soggetto che ha pensato di essere senza più ostacoli da superare, nomade per vocazione e professione, senza limiti e confini, felice della propria centralità nel mondo, animato dell’idea di una crescita continua in linea con un progresso scientifico in grado di assicurare ogni cura, sconfiggere ogni male e vivere teoricamente in eterno? Chiuso nella sicurezza della domotica, il narcisista controlla tutto, prevede tutto, organizza tutto intorno al proprio ego, non solo il sesso ma perfino l’amore. Convinzioni incrollabili che la pandemia ha spazzato in poche ore riscoprendo la fragilità, il mistero e il cuore come categorie fondamentali della vita.
“Il liberalismo, teoria politica della borghesia in ascesa, non è più in grado di spiegare il mondo dello stato assistenziale e delle multinazionali, e nessuna teoria ha preso il suo posto. Le discipline scientifiche che ha promosso, forti in passato di una fiducia illuministica nella conoscenza, non forniscono più spiegazioni soddisfacenti dei fenomeni che si pretende di chiarire. La teoria economica neoclassica non riesce a spiegare la coesistenza di disoccupazione e inflazione. La negazione del passato, in apparenza ottimista e progressista, rivela la disperazione di una società incapace di affrontare il futuro”.
Abbiamo sostituito la formazione del carattere con il diritto alla comodità, il rispetto delle regole con l’autoindulgenza, la cura dell’anima con quella della psiche, l’autorevolezza dei saggi con l’autoritarismo degli opinionisti. Ma soprattutto, abbiamo abbandonato la tensione per il bello.
Rileggere Lasch non è un antidoto contro un virus di cui la scienza non sa nulla, un mercato unico che si inceppa, una delocalizzazione che va in quarantena, una società invincibile che però sclera dopo tre settimane senza l’happy hour. Però aiuta a capire perché si evocano soluzioni medievali – dai nuovi lazzaretti privati alla pubblica immunità di gregge – quando la narrazione comunitaria naufraga nella vera essenza delle singole nazioni. Dopo aver sconfitto il Pil globale e mietuto vittime sacrificali si tornerà così ai rassicuranti riti di una mega macchina che non può e non vuole cambiare, soprattutto il rapporto fra informazione e politica. “È evidente che i mass media, diffondendosi, hanno reso non pertinente, per una valutazione della propria influenza, le categorie di vero e falso. La verità ha lasciato il posto alla credibilità, i fatti alle affermazioni che suonano autorevoli senza coinvolgere alcuna informazione autorevole, in cui fare politica è vendere una leadership al pubblico”.
Non è questa la visione di Domus, che negli anni Venti del Novecento ha provato a dare interpretazioni della società attraverso le sue chiavi di lettura dell’architettura, design e arte. Domus continuerà così a fare critica e guardare da Milano il mondo non solo per portare avanti la propria tradizione ma perché ritiene con Lasch che la “democratizzazione dell’istruzione e della cultura non ha allargato le cognizioni della gente comune sulla società moderna, né ha migliorato la qualità della cultura popolare e neppure ha accorciato il profondo divario tra ricchi e poveri. Ha contribuito invece al declino del pensiero critico e al decadimento degli standard intellettuali”. Senza ricorrere a raffinate analisi basta uno sguardo al vorticoso Barnum di opinionisti televisivi, esperti di design, architetti à la page, socialite dell’arte.
Appena iniziati i nostri anni Venti sono molto simili a quelli di un secolo fa. Siamo ancora un Grand Hotel sull’abisso, dove l’orchestra continua a suonare e le gonne delle signore luccicano sulle marsine dei signori. Tutto però è cambiato. Abbiamo sostituito la formazione del carattere con il diritto alla comodità, il rispetto delle regole con l’autoindulgenza, la cura dell’anima con quella della psiche, l’autorevolezza dei saggi con l’autoritarismo degli opinionisti. Ma soprattutto, abbiamo abbandonato la tensione per il bello con la dipendenza dal brutto trasformando il dovere all’estetica con il diritto alle estetiste. Peggio di così, difficile immaginare.
Immagine di anteprima: James Ensor, Il pittore attorniato da maschere, 1899.