Se riavvolgiamo il nastro di circa quattro anni e osserviamo che cosa stava avvenendo nel mondo dei social media, si noterà subito come la situazione in cui ci troviamo oggi sia una sorta di specchio rovesciato.
Tra il 2020 e il 2021, i social protagonisti della scena alternativa (diciamo così) portavano i nomi di Gab, Parler e Truth Social. La loro funzione – e la ragione della fiammata di notorietà, che oggi soltanto Truth mantiene grazie alla presenza del suo fondatore Donald Trump – era soprattutto quella di accogliere gli indesiderati che erano stati cacciati da Facebook, Twitter, YouTube e dalle altre piattaforme, quasi sempre a causa di atteggiamenti violenti, estremisti, cospirazionisti e altro ancora.
Le piattaforme della Silicon Valley, in quella fase, erano sempre meno disposte a tollerare comportamenti che violavano i termini di servizio o direttamente la legge, arrivando anche alla decisione shock di bannare, in seguito all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, lo stesso Donald Trump, al tempo ancora presidente in carica.

Se quindi già allora si assisteva alla fine dell’ambizione social di tenere tutte le persone all’interno di un’unica piattaforma (da cui deriva la definizione impropria di “piazza pubblica digitale”), ciò era legato alla volontà di ridurre la violenza verbale e la disinformazione che per parecchi anni aveva dilagato sui social, rendendoli dei luoghi sempre meno piacevoli da frequentare. In sintesi, si era giunti alla conclusione che per non far scappare gli utenti – e quindi gli inserzionisti – fosse necessario eliminare le mele marce.
Come spesso avviene, è proprio nel momento in cui il “politicamente corretto” (usiamo questo termine per semplicità) sembra trionfare nell’ambito social, che la corrente inizia a cambiare, seguendo il più complessivo riassetto politico occidentale e contribuendo in parte a esso.
A innescare questo rovesciamento è prima di tutto l’acquisizione di Twitter, nell’ottobre 2022, da parte di Elon Musk, che lo ribattezza X e lo modella a immagine e somiglianza della sua controversa – e spesso ipocrita – interpretazione della libertà d’espressione. Personaggi che in passato erano stati messi al bando – come Donald Trump o i noti neonazisti Richard Spencer e Nick Fuentes – vengono riammessi su X, che contemporaneamente abbandona quasi del tutto la moderazione dei contenuti e inizia a essere sempre più connotato come un social media divisivo e di destra, causando una prima fuga degli utenti, un calo degli investimenti pubblicitari e, di conseguenza, anche la drastica riduzione del valore economico.
La frammentazione dei social media sta rapidamente diventando una realtà: oggi ci si iscrive a una piattaforma non perché 'sono tutti lì', ma perché si crede che essa rispecchi valori culturali o ideologici affini.
In questa fase, il futuro di X appare funesto. E Mark Zuckerberg vede in tutto ciò un’opportunità: il 5 luglio 2023, Meta lancia Threads, un clone di Twitter ma “gestito in maniera sana” (come dichiara il responsabile del prodotto Chris Cox). Per assicurarsi che Threads rimanga un luogo vivibile, Meta prende però una decisione tanto drastica quanto criticata: rinunciare completamente alle news politiche e ai temi sociali divisivi. Così facendo, rinuncia però anche all’influenza che, proprio grazie alle news e ai temi sociali, il vecchio Twitter era riuscito a conquistare.
Nonostante le controversie e una generale tepidezza, Threads riesce a raggiungere, nell’ottobre 2024, la cifra di 275 milioni di utenti mensili, mentre contemporaneamente X/Twitter continua a perdere utenti. E poi, improvvisamente, avviene ciò che fino a pochi mesi prima nessuno credeva (o voleva credere) che sarebbe accaduto: Donald Trump vince le elezioni di novembre con Elon Musk nel ruolo di suo braccio destro.
A differenza di quanto avvenuto nel 2016, questa volta la vittoria di Trump non viene accolta con ostilità dai miliardari della Silicon Valley, che anzi si inginocchiano davanti all’imperatore e abbracciano in pieno la sua svolta culturale, cancellando i programmi per la diversità e l’inclusione, rinunciando al fact-checking e limitando il più possibile il raggio d’azione della moderazione.

Il primo ad accodarsi al nuovo clima politico è proprio Mark Zuckerberg che, contestualmente alla cancellazione del fact-checking e all'eliminazione dei programmi per la diversità e l’inclusione, annuncia anche il ritorno dei temi politici su Threads. Una marcia indietro che, immediatamente, fa emergere un dubbio: se Threads non vuole più essere il clone “gestito in maniera sana” di X, ma ambisce a esserne una copia in tutto e per tutto, allora a che cosa serve Threads?
È ancora presto per capire quale sarà il futuro del social con cui, prima di decidere che fosse più conveniente baciarle, Zuckerberg voleva fare le scarpe a Elon Musk. Ma è proprio nei mesi che separano la vittoria e l’insediamento di Trump che si capisce quale direzione stia prendendo la frammentazione social, inaugurata dall’avvento di Musk alla guida di X.
A partire da novembre, la fuga da X che inizialmente era avvenuta in maniera sotterranea inizia ad assomigliare a un fiume in piena. Che non va però verso Threads, ma verso le alternative di nicchia, attente alla privacy ed “etiche”: Mastodon e (soprattutto) Bluesky, un social nato all’interno di Twitter per volontà del fondatore Jack Dorsey, che voleva studiare le applicazioni dei social decentralizzati, e poi divenuto indipendente proprio in seguito all’acquisizione di Musk.

Subito dopo l’elezione di Trump, Bluesky inizia a guadagnare milioni di utenti ogni settimana che passa, superando agli inizi del 2025 quota 30 milioni. Certo, si tratta ancora di numeri piccoli rispetto a quelli di X e Threads, ma il vero successo di Bluesky è rappresentato dalla sua capacità di attirare la cosiddetta Twitter-sfera: quell’insieme di giornalisti, attivisti, accademici, politici progressisti e altri che avevano reso Twitter il luogo in cui recarsi per seguire in tempo reale ciò che avveniva nel mondo.
Come ha scritto Ian Bogost sull’Atlantic, Bluesky “è ciò che più di ogni altra piattaforma recente mi ha ricordato le origini dei social network”. Inevitabilmente, la fuga del mondo liberal da X e il suo approdo in massa su Bluesky solleva anche delle preoccupazioni: quale sarà il risultato di questo “Aventino dei social media”? Non c’è il rischio di spalancare le porte alla controinformazione di estrema destra su X, che rimane comunque di gran lunga più influente di Bluesky? La frammentazione dei social su base politica sta creando una filter bubble all’ennesima potenza, peggiorando ulteriormente quella polarizzazione e incapacità di comunicare con l’avversario politico a cui proprio i social avevano già contribuito?
A questi timori, alcuni replicano affermando che la teoria della filter bubble – e quindi l’impatto dei social sulla nostra dieta informativa e comunicativa – è grandemente esagerata. Altri sostengono che scappare da X sia comunque la scelta giusta: la possibilità di controbattere alla destra e di partecipare al cosiddetto “mercato delle idee” è infatti un’illusione, visto che l’algoritmo che decide che cosa verrà visto e cosa invece no è manipolato dall’alto allo scopo di favorire una parte. In poche parole, non si può partecipare a un gioco se il gioco è truccato.
I social media sono diventati luoghi sempre meno piacevoli da frequentare, con disinformazione e violenza verbale dilaganti, ed è stato necessario un cambiamento radicale.
Le conseguenze più importanti sono però altre. Prima di tutto, indipendentemente da che sia giusta o sbagliata, la grande frammentazione social sta rapidamente diventando una realtà: se prima ci si iscriveva a una piattaforma proprio perché “sono tutti lì” (com’è avvenuto con Facebook prima e Instagram dopo), oggi si tende sempre di più a iscriversi a una piattaforma che si ritiene culturalmente o ideologicamente affine, nella speranza di frequentare un luogo in cui discutere pacificamente con persone che – nelle loro differenze – condividono determinati valori di base.
L’altra conseguenza, in realtà un rovesciamento rispetto al passato, è che oggi i reietti, gli outsider delle grandi piattaforme, non sono più gli utenti di estrema destra, ma al contrario quelli più attivi a sinistra. Se i primi stanno infatti facendo il loro ritorno su X (e in misura minore anche su Facebook e altrove), oggi è il mondo liberal a cercare rifugio in social di nicchia e alternativi come Bluesky e Mastodon. È una sorta di “resistenza digitale” che però descrive benissimo il cambio di clima politico e culturale che sta attraversando tutto l’Occidente.
Sfruttando le caratteristiche del fediverso – un ecosistema di piattaforme che, usando dei protocolli open source, possono comunicare tra loro e in cui gli utenti hanno un ruolo attivo nella governance – Mastodon e Bluesky permettono inoltre, anche dal punto di vista tecnico, di sollevare delle barricate digitali e impedire che queste piattaforme vengano infiltrate da elementi sgraditi.

È una caratteristica che per ora appartiene soprattutto a Mastodon – mentre Bluesky, che sfrutta un protocollo differente, è ancora nella fase embrionale del suo ingresso nel fediverso – e che soprattutto presenta parecchi limiti: quanti utenti vogliono partecipare attivamente alla costruzione di un social, donando tempo, impegno e in alcuni casi anche risorse economiche? Come potranno queste piattaforme crescere se non raccolgono dati e non ospitano pubblicità? Potranno mai essere qualcosa di più che, per l’appunto, delle barricate digitali?
Come si legge su Noema, “senza una governance centralizzata, non c’è un’autorità a cui rivolgersi per mediare delle questioni sistemiche o per far valere le regole. La decentralizzazione pone un grosso fardello sugli amministratori volontari delle singole istanze (le varie sezioni gestite direttamente dagli utenti che partecipano ai social del fediverso, ndR), a cui potrebbero mancare gli strumenti, il tempo o la capacità di affrontare efficacemente dei problemi complessi”.
Il cambiamento è stato talmente rapido e imprevisto che in pochi, finora, si sono posti il problema delle prospettive future e delle conseguenze di un mondo progressista che, nei suoi elementi digitalmente più attivi, si è ritrovato di colpo in fuga e in cerca di rifugio.
Nel frattempo, sempre in seguito al nuovo clima politico, il futuro di X ha invece smesso di essere cupo: gli inserzionisti stanno tornando in massa sulla piattaforma di Musk, le banche che gli hanno prestato parte dei soldi necessari ad acquistare Twitter stanno vendendo il debito ad altri attori finanziari a un prezzo più elevato del previsto (segnalando la loro fiducia nel futuro della piattaforma) e anche gli introiti sono nuovamente in crescita.
C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine Elon Musk ha vinto la sua scommessa: si è liberato dei nemici, ha riaccolto a braccia aperte gli estremisti e i cospirazionisti che erano stati messi al bando, e a breve potrebbe dimostrare di aver avuto ragione anche dal punto di vista economico. Nel frattempo, la resistenza digitale deve ancora capire come riemergere dalle barricate.

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