Questo articolo nasce in parte come risposta al talk su Arte e Architettura organizzato nell’ambito della Biennale di Architettura di Pisa, lo scorso 22 Novembre, con interventi di undici uomini e una sola donna. Troppi eventi, giurie, commissioni, articoli e programmi di corsi, in Italia e non solo, sono caratterizzati da una presenza femminile estremamente ristretta. Sono, in altre parole, ancora oggi luoghi di esclusione, piuttosto che di inclusione.
Alcune decine di anni fa è stata aperta una importante discussione culturale sulla necessità di mettere in questione il canone, come uno degli strumenti e dei luoghi principali di esclusione, e in particolare della millenaria esclusione delle donne. Ma anche quella etnica e geografica, delle voci non occidentali, non bianche.
Questa è la ragione per cui oggi, nella maggior parte dei programmi dei corsi universitari con una sensibilità di genere, troviamo almeno una sezione di letture finalizzata a dar voce ad autrici donne. Almeno per un giorno al semestre, ciascun syllabus dovrebbe aprirsi e fare spazio a quelle voci che tradizionalmente sono state spinte fuori dalla storia. Recuperare queste voci è, infatti, uno degli sforzi principali che oggi si deve fare.
Questo esplicito tentativo di “recuperare,” scoprire, reclamare, esporre voci femminili, è oggi ancora necessario e urgente perché noi (donne) siamo ancora molto indietro: recluse, nella maggior parte dei casi, in una giornata o in poche letture, e in programmi largamente costruiti con voci maschili.
Questi testi fondamentali, o canonici, ci permettono di condividere un terreno comune, uno sfondo su cui costruire i nostri diversi discorsi individuali
I nostri bagagli non possono che essere diversi, ciascuno ha le proprie ossessioni, le proprie domande di ricerca, continuamente in evoluzione e sempre uguali. Eppure, ci sono autori e testi che ognuno dovrebbe conoscere. Questi testi fondamentali, o canonici, ci permettono di condividere un terreno comune, uno sfondo su cui costruire i nostri diversi discorsi individuali. Queste colonne del pensiero sono in parte specifiche per ogni disciplina, ma sono anche e soprattutto specifiche di ogni età. Sono strumenti di pensiero critico: gli strumenti di cui abbiamo bisogno per scavare e indagare la realtà dei nostri tempi.
E le letture dei corsi universitari sono chiaramente la lente di una realtà molto più vasta e spesso molto più oscura. Per smascherare questa esclusione duratura, e questa sorta di accettazione di secondo livello, per reclamare spazio per le voci delle donne, affermando l’importanza del loro contributo al pensiero contemporaneo e nella riscrittura della modernità, compilerò una lista provvisoria e incompleta di testi fondamentali, voci di un “Programma di Liberazione”, e possibili spunti per molti syllabus differenti.
Da umanista, cresciuta principalmente sulla letteratura maschile – dalla quella classica antica alla filosofia, le scienze, la politica, l’arte e l’architettura –, oggi sono felice di vedere il mio bagaglio finalmente pieno di straordinarie e potenti parole di donne. Questa è una forma di celebrazione, una festa che voglio condividere con quante più donne e uomini possibile. Perché quello che queste parole costruiscono è una struttura fondativa per la liberazione. La maggior parte di questi testi, certo, sono ben noti. Eppure, dovrebbero diventare una conoscenza ancora più condivisa ed essenziale, per aprire gli occhi di ognuno sull’enorme violenza della storia, e andare oltre, costruendo un mondo diverso, inclusivo, aperto.
0. Rebecca Solnit
Per porre le basi, Rebecca Solnit, The Mother of All Questions: Further Feminisms (2017). Come argomenta Solnit, “Se le biblioteche del mondo contengono tutte le storie che sono state raccontate, ci sono biblioteche fantasma di tutte le storie che non sono state raccontate. E i libri fantasma superano i libri esistenti di una quantità inimmaginabile.” La storia della voce umana è una storia di esclusione, repressione, soggezione. Una storia di silenzio forzato.
1. Donna J. Haraway
Per disfare la nozione di oggettività, rifiutando l’idea di un pensiero astratto e universale, tenendo presente che ogni pensiero appartiene a qualcuna/qualcuno, ed è quindi un pensiero incarnato. Donna J. Haraway, “Situated Knowledges: The Science Question in Feminism and the Privilege of Partial Perspective,” in Sandra Harding The Science Question in Feminism (1986).
2. Judith Butler
Per riflettere ulteriormente sulla produzione sociale e culturale dei corpi e delle identità c’è Judith Butler con Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity (1990).
3. Gayatri Spivak
Per scavare nella possibilità e difficoltà di rompere il silenzio: Gayatri Spivak, Can the subaltern speak? (1988).
4. Patricia Simons
Per guardare indietro a un passato non troppo vicino né troppo lontano, cercando il ruolo delle donne nel Rinascimento, ma anche in autori ancor più fondativi come Aristotele, è da leggere Patricia Simons, “The Sex of Artists in Renaissance Italy,” nel libro di Medina Lasansky The Renaissance. Revised, Expanded, Unexpurgated (2014).
5. Zeynep Celik, Alice T. Friedman
Per aprire una finestra sui problemi meno noti del modernismo, Zeynep Celik, “Le Corbusier, Orientalism, Colonialism,” in Assemblage 17 (Spring 1992). Ma anche il testo pionieristico di Alice T. Friedman, Women and the Making of the Modern House: A Social and Architectural History (1998). Qui voglio fare una pausa, per suggerire specificamente un paragone tra il capitolo sulla progettazione di casa Schröder, Family Matter, e il capitolo equivalente nel testo canonico di Kenneth Frampton Modern Architecture: a Critical History. È un paragone istruttivo e rivelatorio, sul modo in cui la storiografia architettonica moderna è stata costruita.
6. bell hooks
Ragionando su, e rivendicando il ruolo degli spazi domestici, bell hooks, Yearning: race, gender, and cultural politics (1990), e in particolare, “Homeplace: A Site of Resistance” e “Choosing the Margin as a Space of Radical Openness.”
7. Teresa Caldeira, Wendy Brown
Per esplorare la questione crescente dei muri e dei confini, Teresa Caldeira, City of Walls: Crime, Segregation, and Citizenship in São Paulo (2000). E si può ampliare la discussione su un piano politico con Wendy Brown, Walled States, Waning Sovereignty (2010).
8. Wendy Brown
La discussione sulla democrazia si può spingere ulteriormente con, Wendy Brown, Undoing the Demo (2015).
9. Elinor Ostrom
Molte voci differenti, sulle nozioni cruciali di “commons” ed “enclosures,” da Elinor Ostrom, Governing the Commons (1990), accompagnata dai molteplici scritti di Vandana Shiva, Naomi Klein, Laurent Berlant, e Silvia Federici.
10. Jane Bennett, Donna Haraway
Infine, ma non per importanza, si può mettere in questione il soggetto autonomo, illuminato, e liberale, “ricollocando l’umano” e scoprendo quanto abbiamo in comune con rocce e vermi. In questo senso le brillanti intuizioni di Jane Bennett sugli assemblaggi proposti in Vibrant Matter: A Political Ecology of Things (2010), da essere letto assolutamente in conversazione con Donna Haraway, Staying with the Trouble: Making Kin in the Chtulucene (2016), oltre che con il fondativo A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century, 1985.
La posizione delle donne nella storia del pensiero è, certo, soltanto una parte di una questione molto più vasta, che è quella della crisi del pianeta e delle molteplici forme di violenza in cui viviamo. Da questo punto di vista, queste letture non sono fondamentali semplicemente per la liberazione delle donne, ma sono piuttosto strumenti per pensare il nostro essere abitanti di un mondo comune.
Immagine di anteprima: Donna Haraway in Ghost in the Shell – L'attacco dei cyborg, scritto e diretto da Mamoru Oshii, 2004