Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1043, febbraio 2020.
Nonostante l’inizio del 2020 si sia concentrato sul Medio Oriente, rimesso di prepotenza al centro dell’agenda globale dopo il raid americano che ha portato all’eliminazione del generale iraniano Qasem Soleimani, lo scenario sembra decisamente dominato da una nuova configurazione. È l’anglosfera versus la sinosfera, come l’ha efficacemente e prontamente denominata l’Economist.
Comprenderla non è troppo difficile. Si tratta di due configurazioni informali e sovranazionali, omogenee per lingua e cultura, ma soprattutto per attitudini sociali e politiche. L’anglosfera è costituita sostanzialmente da America, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Un gruppo piuttosto compatto di leading o ex leading country, tutte di lingua inglese, tutte con indici di ricchezza molto alti, ma soprattutto tutte caratterizzate da società aperte, tendenzialmente d’impostazione democratica, che hanno generato e continuano a generare grandi libertà sociali e individuali, di cui la più importante è l’impossibilità, o quasi, della censura.
Dall’altra parte del globo e della realtà si colloca invece la sinosfera, un ecosistema di tutt’altra specie, dove la deferenza verso il leader politico a vita è non solo auspicato, ma dovuto, con tutto quello che ne consegue.
Sebbene la sinosfera sia costituita in larghissima parte dalla Repubblica Popolare Cinese, molti sono gli Stati asiatici, ma anche africani e sparsi in molte regioni dell’ex terzo mondo, che rientrano sotto il suo influsso. Un influsso che sta cambiando radicalmente, e a una velocità impressionante, tutti i concetti base che fondavano il primato dell’anglosfera: libertà, mercato, democrazia e futuro.
In realtà, come riconosce l’Economist stesso, si tratta di costruzioni giornalistiche. L’anglosfera non esiste, non ha un confine, non ha un sistema di leggi, non ha un presidente e un Governo, proprio come non li ha la sinosfera. Però, se ragioniamo con queste due categorie riusciamo a capire meglio il mondo che ci aspetta nel futuro prossimo.
Tutti i Paesi dell’anglosfera hanno in comune una (teorica) libertà di parola e d’impresa, assieme a una larga tolleranza per la differenza di costumi e di abitudini, da quelle religiose a quelle personali. Questo fa dell’anglosfera un metaluogo abbastanza attrattivo, dove continuano a convergere due terzi degli immigrati globali con la più alta preparazione, culturale e professionale. A differenza della sinosfera dove, secondo le ultime ricerche (fonte Gallup), solo l’1% dei 750 milioni d’immigrati desidera trasferirsi. Al punto che l’Australia da sola avrebbe più residenti stranieri di tutta la Cina.
Altre caratteristiche delle due sfere sono ancora più significative. Fra queste c’è un vero asset intangibile, ma molto materiale: la fiducia. I membri dell’anglosfera risultano più disponibili a fidarsi l’un l’altro. Non solo rispetto a quelli della sinosfera, ma anche rispetto ad altre democrazie ricche non parlanti inglese, come per esempio Francia, Germania e Giappone, che non hanno mai messo in comune i loro servizi d’intelligence come invece hanno fatto i cinque membri dell’anglosfera.
All’esatto opposto, la sinosfera gira il mondo per offrire consenso, ma non lo trova così facilmente, sebbene ‘compri’ influenza con strade e prestiti, e soprattutto offra un modello a chiunque vuole conciliare un rapido sviluppo economico con l’opposto dei principi democratici. Il tema della fiducia appare cruciale, perché le due sfere non si fidano affatto l’una dell’altra.
Lo dimostrano l’atteggiamento degli Stati Uniti, ma anche le preoccupazioni dell’Australia verso il commercio con la Cina. Da qui, la strategia dell’anglosfera rispetto al controllo militare sul Pacifico della Cina, che ha portato l’anglosfera addirittura a rallentare l’adozione della tecnologia 5G dominata da aziende cinesi, per non rischiare di esserne ostaggio intellettuale ed economico.
La collaborazione degli ingegni del design e, soprattutto, dell’architettura, resta una chiave globale e pacifica di business, ma soprattutto di empowerment delle libertà individuali e dell’evoluzione della società
Tutto mentre la sinosfera sta investendo in spese militari in una maniera mai vista e con chiari obiettivi antiamericani. Da queste premesse, lo scontro in prospettiva appare inevitabile. Come scongiurarlo, quindi? E come far sì che le metastasi delle relazioni fra America e Cina, cuori pulsanti delle due sfere, non degenerino in uno scontro aperto che potrebbe partire proprio dall’influenza nel Mare del Sud?
È qui che l’architettura e le tematiche a essa connesse diventano cruciali, non solo nel 2020, ma in prospettiva. Un buon terreno comune infatti potrebbe essere il tema della sostenibilità, del carbon footprint, dell’emergenza climatica e dei rischi infrastrutturali della mobilità globale.
Così, se è un dato che America e Australia non sono riuscite a portare a bordo la Cina sui temi del cambiamento climatico e dell’inquinamento dei mari, è anche vero che la retorica di ostilità soprattutto di Donald Trump non ha creato il miglior ecosistema per raggiungere gli obiettivi.
La collaborazione degli ingegni del design e, soprattutto, dell’architettura, che resta una chiave globale e pacifica di business, ma soprattutto di empowerment delle libertà individuali e dell’evoluzione della società, appare come uno strumento di collaborazione e di stemperamento degli animi molto più plausibile dell’abbassamento delle tariffe americane per i prodotti cinesi o la maggiore accessibilità verso la proprietà intellettuale tecnologica cinese auspicata dal settimanale londinese.
Un fatto è certo. Anche nel 2020, il primo modo di costruire i ponti resta proprio costruire i ponti, fuori di metafora, assieme alle città, gli appartamenti e gli oggetti grazie ai professionisti di tutto il mondo che contaminano, in continuazione, le due sfere. Una contaminazione pacifica che è la migliore risposta al bullismo cinese contro i giovani di Hong Kong o alla tentazione della nuova arroganza protezionistica americana.