Il numero di ottobre di Domus 1050 è dedicato al dialogo tra architettura e tecnologia, discipline in perenne evoluzione che continuano a intersecarsi in modo complesso, ridefinendo confini, motivazioni e statuto della professione. David Chipperfield, nel suo editoriale, si interroga sul ruolo di architetti e designer nel coinvolgere questo mondo della tecnica verso responsabilità più ampie. Nell’Agenda di questo mese Todd Gannon, ripercorrendo gli ultimi scritti di Reyner Banham sull’high tech, rivela le profetiche osservazioni del critico sui paradossi del movimento in quanto stile visivo e sistema. Helen Thomas riflette sull’accettazione, un tempo indiscussa, delle tecnologie del Movimento Moderno come principio-guida del progresso dei Paesi in via di sviluppo del “mondo islamico” e sulle reazioni che le si contrappongono in quanto forma di intrusione culturale in contesti postcoloniali. Vittorio Magnago Lampugnani, infine, ammonisce a diffidare del cieco perseguimento della tecnologia come elemento di definizione dell’ambiente fisico.
Domus 1050 è in edicola: “La tecnologia ci salverà?”
In questo numero David Chipperfield riceve una lettera da Jacques Herzog; Todd Gannon rivisita gli ultimi scritti di Reyner Banham; Jasper Morrison ripercorre le tappe salienti del suo quarantennale rapporto con Milano. Sfoglia la gallery e scopri i contenuti del numero di ottobre.
Testo David Chipperfield. Foto Thomas Struth
Testo Todd Gannon. Foto David Noble
Testo Helen Thomas. Immagine catalogo Biennale di Venezia, 1982
Testo Vittorio Magnago Lampugnani. Immagine © Archigram 1964. Supplied by the ARCHIGRAM ARCHIVES 2020
Testo Saif Ul Haque. Foto © Aga Khan Trust for Culture/Photo Hasan Saifuddin Chandan
Testo Adam Caruso. Foto Juan Barcia Mas e Xenia Strohmeyer
Testo Jeanne Gang. Foto © Studio Gang
Testo Alireza Taghaboni. Foto © NextOffice
Testo Michael Murphy, Alan Ricks. Foto © MASS Design Group
Testo Kazuko Koike. Foto ColBase (colbase.nich.go.jp)
Testo Jasper Morrison con Francesca Picchi. Foto © Jasper Morrison
Testo Niels Olsen, Fredi Fischli. Foto © Hugo Glendinning
Testo Bijoy Jain. Foto Giovanni Hanninen
Testo Roel De Ridder, Mela Zuljevic, Liesbeth Huybrechts. Foto atelier d’architecture autogérée
Testo Ben Lerner. Foto Courtesy of Edwynn Houk Gallery
Testo Fulvio Irace. Immagine Archivio Domus
Testo Giulia Guzzini
Testo Jonathan Griffin
Autore Thomas Demand
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- La redazione di Domus
- 03 ottobre 2020
Nella sezione Pratica invitiamo i colleghi architetti a rispondere alla domanda: quale futuro per l’architettura? David Chipperfield riceve una lettera da Jacques Herzog, che scrive della difficoltà da parte degli architetti di agire attivamente sulle catastrofi ambientali. Prendendo come riferimento il modesto e sperimentale Arcadia Education Project, Saif Ul Haque riflette sull’adeguatezza di soluzioni semplici ma innovative. Adam Curuso ci racconta le ricerche portate avanti dal suo studio assieme ai suoi studenti dell’ETH sulle le promesse più ideologiche e programmatiche del Moderno. Jeanne Gang afferma che una metodologia fondata sull’ascolto e sulla collaborazione è quanto mai urgente per affrontare problemi complessi. Alireza Taghaboni ci spiega come la concezione iraniana dell’architettura va letta attraverso il suo rapporto con tre entità ‘altre’: il Governo, il mercato e l’Occidente. Michael Murphy e Alan Ricks di MASS Design Group ci illustrano i tre principi fondamentali che li guidano nella pratica professionale: investire nel nostro pianeta, dare un senso ai luoghi per chi ci vive e, infine, risvegliare i legami che ci uniscono inestricabilmente gli uni agli altri. Per le pagine dedicate a Design e Arte, Kazuko Koike descrive il design come “una sorta di performance” che illumina il mondo. Gli appunti sul design di Jasper Morrison questo mese hanno un taglio molto personale, con il designer che ripercorre le tappe salienti del suo quarantennale rapporto con Milano, la città che gli ha “aperto la prima porta del mondo del design”. Questo mese visitiamo casa Armadillo, nata dalla collaborazione tra un architetto e un artista: Roger Diener, nel cui lavoro le due discipline spesso si fondono, e Marc Camille Chaimowicz, che da sempre esplora oggetti effimeri e le superfici del mondo domestico.
Tra le Riflessioni, Studio Mumbai ci racconta come una soluzione d’emergenza suggerita da un capocantiere per far resistere i disegni al difficile clima monsonico sia diventata per loro prassi. Roel De Ridder, Mela Zuljevic e Liesbeth Huybrechts raccontano le tappe evolutive di della progettazione partecipativa e spiegano perché la tecnologia ha oggi un ruolo importante nel favorire l’impegno civico. Ben Lerner esplora il tema della trasformazione dell’architettura in natura, degli interni in esterni servendosi dei libri che ha letto alle sue figlie durante la pandemia. Scavando negli archivi di Domus, Fulvio Irace riesamina i paradossi del complesso dei Lloyd’s di Londra di Richard Rogers, “un ‘monumento’ all’ultima stagione eroica del Modernismo militante”. Nel Diario di questo mese, pagine dedicate all’attualità, Marco Petroni ci parla della necessità di riconfigurare i luoghi e i modi del lavoro: una questione di primaria importanza che apre possibilità e spazi d’intervento per i progettisti. Loredana Mascheroni scrive della tredicesima edizione di Manifesta, biennale d’arte nomade. Nella sezione dedicate all’arte Valentina Petrucci analizza l’opera del giovane artista Pietro Quattriglia Venneri, animato dal mantra “Fiutare, inseguire, comperare”. Silvana Annichiarico continua con la selezione di tre talenti emergenti nel mondo del design. Il direttore editoriale Walter Mariotti conclude la sezione con la rubrica Pausa caffè, in una conversazione con Riccardo Donadon, fondatore di H-Farm, dal 2013 nell’advisory board dell’Università Ca’ Foscari.
La disciplina dell’architettura e il mondo della tecnologia in perenne evoluzione continuano a intersecarsi in modo complesso, ridefinendo i confini della professione. Nell’editoriale di ottobre, Domus 1050, il guest editor David Chipperfield si interroga sul ruolo di architetti e designer nel coinvolgere le tecnologie verso responsabilità più ampie.
Todd Gannon, ripercorrendo gli ultimi scritti di Reyner Banham sull’High Tech, rivela le profetiche osservazioni del critico sui paradossi del movimento in quanto stile visivo e sistema. Nonostante la sua dedizione alle prestazioni funzionali, Banham “più spesso, quando la tecnologia minacciava di dissolvere l’architettura, faceva un passo indietro” e probabilmente oggi avrebbe difeso il ruolo critico della professione.
Helen Thomas riflette sull’accettazione, un tempo indiscussa, delle tecnologie del Movimento Moderno come principio-guida del progresso dei Paesi in via di sviluppo del “mondo islamico” e sulle reazioni che le si contrappongono in quanto forma di intrusione culturale in contesti postcoloniali. Ripensare l’uso delle tecnologie costruttive vernacolari in una prospettiva di sostenibilità ambientale e sociale rafforza l’esigenza di riesaminare a fondo le correnti convenzionali della trasmissione del sapere.
Vittorio Magnago Lampugnani ammonisce a diffidare del cieco perseguimento della tecnologia come elemento di definizione dell’ambiente fisico. Oggi essa ha un ruolo indispensabile nella nostra vita, ma la città ha una lunga storia di resistenza contro l’intrusione della tecnologia sulla sua forma, che deve continuare a essere plasmata dal “mondo delle persone”.
Prendendo come riferimento il modesto e sperimentale Arcadia Education Project, Saif Ul Haque riflette sull’adeguatezza di soluzioni semplici ma innovative, attuate rispettando dei vincoli, ma puntando a farle diventare modelli che ci traghettino verso il futuro.
Negli anni Novanta c’era tanto per cui lottare. High-tech, Decostruttivismo, Neomodernismo. Adam Curuso ci racconta le ricerche portate avanti dal suo studio assieme ai suoi studenti dell’ETH sulle le promesse più ideologiche e programmatiche del Moderno, spinti dall’evidente incapacità dell’architettura di affrontare gli squilibri della vita contemporanea.
Jeanne Gang, parlando dei progetti svolti con il suo studio a Chicago, afferma che una metodologia fondata sull’ascolto e sulla collaborazione è quanto mai urgente per affrontare problemi complessi, come il cambiamento climatico e la disuguaglianza sociale.
Alireza Taghaboni, dopo 20 anni di continuo coinvolgimento nelle questioni architettoniche, ci spiega come la concezione iraniana dell’architettura va letta attraverso il suo rapporto con tre entità ‘altre’: il Governo, il mercato e l’Occidente.
Michael Murphy e Alan Ricks di MASS Design Group ci illustrano i tre principi fondamentali che li guidano nella pratica professionale: investire nel nostro pianeta, salvaguardandolo dalla distruzione dell’ambiente e ripristinando le sue funzioni naturali, dare un senso ai luoghi per chi ci vive e, infine, risvegliare i legami che ci uniscono inestricabilmente gli uni agli altri.
Ispirata dall’antica mitologia giapponese, Kazuko Koike vede il design come “una sorta di performance” che illumina il mondo. Ragionando sul collegamento tra verbi e oggetti come processo fondante, sottolinea l’importanza del senso di appagamento che prova chi crea un oggetto e chi lo utilizza. Una visione poetica e pragmatica allo stesso tempo che Koike vede sintetizzata in un dipinto giapponese del XVII secolo che mostra una scena di vita familiare.
Gli appunti sul design di Jasper Morrison questo mese hanno un taglio molto personale, con il designer che ripercorre le tappe salienti del suo quarantennale rapporto con Milano, la città che gli ha “aperto la prima porta del mondo del design”, con un Salone del Mobile che “rappresentava l’avanguardia del mercato del design, come fa anche oggi”. Questo viaggio nel tempo, denso di aneddoti e incontri, illustrato dalle foto scattate da Morrison, si ferma al 1984 – la seconda parte verrà pubblicata sul numero di novembre.
Facendo fare un ulteriore passo avanti alle nostre indagini interdisciplinari, questo mese visitiamo casa Armadillo, nata dalla collaborazione tra un architetto e un artista: Roger Diener, nel cui lavoro le due discipline spesso si fondono, e Marc Camille Chaimowicz, che da sempre esplora oggetti effimeri e le superfici del mondo domestico. Insieme, hanno creato una Gesamtkunstwerk connotata da una giocosa tensione sovversiva tra struttura e decorazione.
Una soluzione d’emergenza suggerita da un capocantiere per far resistere i disegni al difficile clima monsonico è diventata prassi per Studio Mumbai. Da nove anni, il gruppo di lavoro usa nastro adesivo e sottili fogli di compensato per ‘disegnare’ componenti costruttive da condividere in modo rapido con chi è in loco.
La necessità di far progredire la comunicazione nel processo progettuale viene indagata questo mese anche in “Fare architettura” dove parliamo di progettazione partecipativa. Roel De Ridder, Mela Zuljevic e Liesbeth Huybrechts raccontano le tappe evolutive di questa modalità di intendere la professione e spiegano perché la tecnologia ha oggi un ruolo importante nel favorire l’impegno civico.
In “L’importanza del luogo”, Ben Lerner esplora il tema della trasformazione dell’architettura in natura, degli interni in esterni servendosi dei libri che ha letto alle sue figlie durante la pandemia.
Scavando negli archivi di Domus e tornando ad affrontare il tema della tecnologia che abbiamo sviluppato in “Agenda”, Fulvio Irace riesamina i paradossi del complesso dei Lloyd’s di Londra di Richard Rogers, “un ‘monumento’ all’ultima stagione eroica del Modernismo militante”, nonostante dovesse in realtà il proprio status alla forza espressiva dell’architettura che Banham aveva messo alla berlina.
La promessa di una casa intelligente e di una realtà sempre connessa è a pochi passi. Ci stiamo abituando a fare la spesa nella sala d’attesa del dentista, spiando l’interno del frigorifero di casa per controllare le scorte rimaste; puntiamo sveglie che sollevano contemporaneamente tutte le tapparelle di casa e magari aprono anche la porta del garage in simultanea per far uscire il cane; mentre gli auricolari wireless dotati d’intelligenza artificiale stanno diventando un’appendice dei nostri corpi e non ripetono più solo suoni adeguando il volume alle circostanze esterne ma sono in grado anche di tradurre in tempo reale quello che ascoltiamo. Se fino a ora le soluzioni intelligenti per la smart home sembravano seguire l’evoluzione delle abitudini della vita familiare, ora l’evoluzione tecnologica è tanto dirompente che sembra tracciare nuovi stili di vita.
La biblioteca, riprodotta nella copertina di Thomas Demand di questo numero, è progettata come una spirale che si espande in altezza e la sua epidermide a finestre ricorda le pagine di un libro da sfogliare. In questo modo, l’interno del libro rappresenta l’esterno dell’edificio e la riproduzione della facciata in carta realizzata da Demand riporta l’architettura al suo riferimento originale, il Meles Zenawi Memorial Park di Studio Other Space.