Il numero di settembre di Domus 1049 si concentra sul futuro del dinamismo urbano, analizzando le caratteristiche che lo rendono ben più di una somma delle sue parti. David Chipperfield nel suo editoriale riflette su come le nostre idee sulla città sono messe sostanzialmente in discussione dal modo in cui esse si sono sviluppate negli ultimi 50 anni, affermando che “la storia della città è la storia della civiltà”.
Domus 1049 è in edicola: “Il futuro dell’urbanità”
In questo numero David Chipperfield incontra Andra Matin; Jennifer Hattam scrive dei programmi di edilizia di massa in Turchia; Anja Löesel commenta la quieta potenza delle pietre d’inciampo. Sfoglia la gallery e scopri i contenuti del numero di settembre.
Testo David Chipperfield. Foto Thomas Struth, naberežnaja Reki Fontanki, St. Petersburg 2005. Stampa a getto d’inchiostro, 41,9x58cm
Testo Rowan Moore. Foto Marshall Cogan Purchase Fund © 2020. Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Firenze
Testo Jennifer Hattam. Foto courtesy of IESL Lehrstuhl für Städtebau und Entwerfen, Prof. Alex Wall, Ulrich Gradenegger, Kerstin Faber
Testo ittorio Magnago Lampugnani. Foto © Rik Nys
Testo David Chipperfield. Foto Davy Linggar
Testo Angelika Hinterbrandner. Fot Erica Overmeer
Testo Angelika Hinterbrandner. Foto David von Becker
Testo Angelika Hinterbrandner. Foto Andrew Alberts
Testo Jimena Acosta Romero. Foto Wikimedia Commons / Public Domain
Testo Jasper Morrison con Francesca Picchi. Foto © Bruun Rasmussen Auctioneers of Fine Art
Text Anja Lösel. Foto Stefan Sauer/DPA/AFP via Getty Images
Testo Stanislaus von Moos. Foto Studio Fischli Weiss
Testo Álvaro Siza. Foto © Drawing Matter/Álvaro Siza
Testo Justin B. Hollander. Foto Justin B. Hollander
Testo Svetlana Alexievich. Foto Alexey Sergeev
Testo Fulvio Irace. Foto Archivio Domus
Testo Giulia Guzzini
Testo Jonathan Griffin. Foto courtesy of SNK, 1985
Autore Thomas Demand
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- La redazione di Domus
- 02 settembre 2020
Nell’Agenda di questo mese Rowan Moore analizza i valori sociali e storici fondamento degli spazi urbani, avvertendo che le classiche forme d’impegno civico e quelle dell’edilizia speculativa “sono ingannevolmente simili” nella loro rigidità. Jennifer Hattam scrive dalla Turchia, dove i programmi di edilizia di massa finanziati dallo Stato pretendono di creare “città nuove”. Infine, Vittorio Magnago Lampugnani documenta il tanto celebrato centro storico, delicato palinsesto di valori sedimentati, che non si possono conservare come investimento né riprodurre per imitazione formale.
Chipperfield incontra l’architetto indonesiano Andra Matin, il quale spiega il suo particolare metodo di lavoro, che collega tradizioni costruttive locali differenti con le aspirazioni moderniste sperimentate in tutto il mondo per creare progetti caratterizzati da resilienza ambientale, credibilità sociale e bellezza. Per Affinità ci spostiamo, invece, a Berlino, dove lo studio di Arno Brandlhuber ha completato un nuovo complesso residenziale, presentato accanto ad altri due edifici di abitazioni realizzati da studi di architettura di sensibilità affine, che raccolgono la sfida di offrire uno spazio di vita di grande qualità a buon mercato.
Nella sezione Design e Arte, Jimena Acosta Romero sostiene un design intersezionale e femminista, che deve interrogare costantemente la propria logica per poter contribuire all’equità sociale. La rubrica mensile curata Jasper Morrison e Francesca Picchi analizza il design danese dal 1920 al 1970, periodo di “coerenza, perfezione e raffinatezza”. Mentre crescono le affermazioni revisioniste relative a statue e memoriali, Anja Löesel commenta la quieta potenza degli Stolpersteine, le pietre d’inciampo di Gunter Demnig in memoria dei perseguitati dal regime nazista. Stanislaus von Moos, ripercorrendo attraverso i secoli la storia delle costruzioni come filo conduttore dell’arte, colloca il lavoro del duo Peter Fischli e David Weiss nell’ambito di una tradizione più vasta, come eredi e progenitori di un coinvolgente dialogo multidisciplinare.
Tra le Riflessioni, osserviamo i primi taccuini di schizzi di Álvaro Siza per un progetto di edilizia sociale portoghese a cui avrebbe lavorato per 20 anni. A Baltimora, Justin Hollander analizza il modo in cui la città, in via di spopolamento, può ridimensionarsi entro nuovi confini, grazie a una combinazione di tecnologia, partecipazione comunitaria e competenza urbanistica. Proseguendo nella nostra esplorazione dei rapporti personali con il luogo Svetlana Aleksievič, premio Nobel, ci offre un brano sull’accumulo di vita vissuta nella cucina dell’era sovietica. Fulvio Irace rivisita dall’archivio di Domus gli ideali utopici espressi nella realizzazione della Brasilia modernista di Lúcio Costa e Oscar Niemeyer, poco apprezzata dall’Europa degli anni Sessanta, prova della differenza tra urbanistica e condizione urbana.
Nel Diario di questo mese, pagine dedicate all’attualità, Simone Paliaga ci parla di come cambierà da settembre l’organizzazione scolastica, orientata a diventare più flessibile e collaborativa. Elena Sommariva intervista Giulio Ceppi, unico architetto del comitato interdisciplinare nominato dalla ministra italiana per l’Istruzione Lucia Azzolina. Nella sezione dedicate all’arte Valentina Petrucci analizza l’opera del giovane artista tarantino Roberto Ferri, il quale nelle sue tele rimedita la grande tradizione della pittura barocca. Silvana Annichiarico continua con la selezione di tre talenti emergenti nel mondo del design. Il direttore editoriale Walter Mariotti conclude la sezione con la rubrica Pausa caffè, in una conversazione con Franco Bernabè, manager trentino, italiano e globale che ha guidato alcuni tra i maggiori gruppi industriali del Paese.
Il guest editor David Chipperfield riflette su come le nostre idee sulla città sono messe sostanzialmente in discussione dal modo in cui esse si sono sviluppate negli ultimi 50 anni
Rowan Moore affronta il tema analizzando i valori sociali e storici che sono il fondamento degli spazi urbani. La distinzione tra pubblico e privato sta cambiando: quale sarà l’impatto sulla tradizione europea degli isolati urbani di media altezza che oggi gode di una nuova vitalità? Moore avverte che le classiche forme d’impegno civico e quelle dell’edilizia speculativa “sono ingannevolmente simili” nella loro rigidità e appiattiscono le stratificazioni della vita urbana invece di offrire quella gamma di risposte creative al modo in cui viviamo oggi profondamente necessaria
Jennifer Hattam scrive dalla Turchia, dove i programmi di edilizia di massa finanziati dallo Stato pretendono di creare “città nuove”. La realtà del territorio appare molto lontana da quella del ricco tessuto umano degli antichi quartieri, e mette in evidenza i rischi progettuali dell’urbanizzazione accelerata nel mondo sviluppato
Vittorio Magnago Lampugnani documenta come il tanto celebrato centro storico sia un delicato palinsesto di valori sedimentati, che non si possono conservare come investimento né riprodurre per imitazione formale. Se lo si studia come una “macchina efficiente”, è però possibile trarne lezioni per creare un’architettura del nostro tempo autenticamente urbana
Nel dibattito di questo mese per la serie “La buona pratica” l’architetto indonesiano Andra Matin spiega il suo particolare metodo di lavoro, che collega tradizioni costruttive locali differenti con le aspirazioni moderniste sperimentate in tutto il mondo per creare progetti caratterizzati da resilienza ambientale, credibilità sociale e bellezza. È deciso a dare forma a un ruolo pubblico della professione provando il valore del buon progetto attraverso il corpus delle sue opere e facendo crescere una cultura architettonica nazionale dell’impegno
Terrassenhaus, Brandlhuber+ Emde, Burlon, Muck Petzet Architekten, Berlino
Wohnregal, FAR frohn&rojas, Berlino
IBeB, ifau e/and Heide & von Beckerath, Berlino
Jimena Acosta Romero sostiene che il design “deve essere intersezionale e femminista” e che deve interrogare costantemente la propria logica se vuole contribuire all’equità sociale. Racconta come il design abbia cercato, spesso in modo sovversivo, tanto di liberare quanto di controllare il corpo femminile con la creazione di prodotti
Jasper Morrison e Francesca Picchi analizzano il design danese dal 1920 al 1970: un periodo di “coerenza, perfezione e raffinatezza”, prova di quanto il design possa fare per noi. Gli autori seguono il filo della varietà di situazioni e d’influssi che hanno permesso al design di fiorire e presentano una scelta di oggetti ancora oggi attuali e validi
Mentre crescono le affermazioni revisioniste relative a statue e memoriali, Anja Löesel commenta la quieta potenza degli Stolpersteine, le pietre d’inciampo di Gunter Demnig in memoria dei perseguitati dal regime nazista
L’opera di Peter Fischli e David Weiss continua, dagli anni Settanta, a suscitare dibattiti sulla funzione dell’architettura e sul modo di presentarla. Stanislaus von Moos, ripercorrendo attraverso i secoli la storia delle costruzioni come filo conduttore dell’arte, colloca il lavoro del duo svizzero nell’ambito di una tradizione più vasta, come eredi e progenitori di un coinvolgente dialogo multidisciplinare
Questo mese guardiamo ai primi, affascinanti taccuini di schizzi di Álvaro Siza per un progetto di edilizia sociale portoghese cui avrebbe lavorato per 20 anni. Raccogliendo ampie osservazioni sul sito e sul contesto, svelano una fiducia nel disegno come strumento di conoscenza, memoria e sintesi delle idee
A Baltimora, Justin Hollander analizza il modo in cui la città, in via di spopolamento, può ridimensionarsi entro nuovi confini. Grazie a una combinazione di tecnologia, partecipazione comunitaria e competenza urbanistica, Hollander propone un metodo di decrescita ‘intelligente’ che mette in discussione i modelli convenzionali e dà continuità alla qualità della vita degli abitant
Proseguendo nella nostra esplorazione dei rapporti personali con il luogo Svetlana Aleksievič, premio Nobel, ci offre un brano sull’accumulo di vita vissuta nella cucina dell’era sovietica. Più che uno spazio per la preparazione del cibo, il cucinino era “una sala da pranzo, una stanza degli ospiti, un ufficio, un palco” dove la cultura si concentrava e si esprimevano liberamente idee sul futuro
Fulvio Irace, scavando negli archivi di Domus, rivisita gli ideali utopici espressi nella realizzazione della Brasilia modernista di Lúcio Costa e Oscar Niemeyer, poco apprezzata dall’Europa degli anni Sessanta, prova della differenza tra urbanistica e condizione urbana
Nonostante siano state cancellate a causa della pandemia da Covid-19, alcune importanti manifestazioni fieristiche previste quest’autunno, come Cersaie
di Bologna, Marmomac di Verona e Sicam di Pordenone, il mondo delle superfici di rivestimento non si è fermato e si è organizzato per offrire al mercato materiali duttili: legni, resine e carte da parati, finiture innovative e superfici che superano il concetto di ceramica tradizionale. Complici le capacità espressive della stampa ad alta definizione in 3D che hanno raggiunto livelli di sofisticazione estrema, le proposte più recenti confermano lo sguardo rivolto al passato, alla storia e alle atmosfere della tradizione che si traduce nella riproduzione di marmi antichi e pietre naturali riprese nelle qualità materiche e tattili
Il gruppo Tata, fondato nel 1868 da Jamsetji Tata, oggi è una delle maggiori multinazionali indiane. A oggi, l’India non ha mai ospitato un’Olimpiade. Ma a Trombay, quartiere di Mumbai, sorge il magnifico complesso dell’Olympic Swimming Pool and Stadium, progettato per la Tata Electric Company da Brinda Somaya tra il 1983 e il 1985 come impianto sportivo per i dipendenti della società e le loro famiglie, costruzione notevole per l’aggraziata curvatura della facciata, che ha un aspetto simile a quello del calcestruzzo grezzo, ma in realtà è realizzata con l’arenaria indiana Dholpur