Il giallo italiano nasce ufficialmente nel 1964 con Sei donne per l’assassino di Mario Bava. Con questo film vengono canonizzate tutte le regole del genere, che poi saranno ripetute e copiate in altri film. E non fu nemmeno un successo commerciale! Fu un successo artistico che, spingendo molto sul lato della potenza visiva, influenzò tutti gli altri registi che lavoravano a thriller o gialli. Prima in Italia, ovviamente, e poi negli anni anche nel resto del mondo.
Un gioiello di stile e design: così Mario Bava ha creato il giallo italiano
Sei donne per l’assassino ha inventato il thriller moderno ed è uno dei film più splendenti e visivamente audaci della sua epoca. Un nuovo restauro ha restituito la sua potenza.
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- Gabriele Niola
- 25 ottobre 2024
Sei donne per l’assassino è un gioiello di stile e design, ed è sia completamente diverso da tutti i gialli italiani degli anni ’60 che il fondatore del genere. Diretto da Mario Bava su una sceneggiatura di Marcello Fondato, Giuseppe Barilla e Bava stesso, è una storia di omicidi in serie nel mondo della moda, pensato e girato per fare ricerca estetica.
Non ha quell’atteggiamento spietato e diretto dei thriller o gialli italiani, non è un film che (come spesso nei film di genere italiani dell’epoca) ha una decisa e ferma determinazione nell’inseguire lo spettatore e aggredirlo per farlo suo, eppure ogni film che è venuto dopo, in un certo senso, ha aspirato a copiare qualcosa di Sei donne per l’assassino.
L’uso del colore, dei costumi e delle inquadrature per comporre visivamente dei quadri (non solo con la fotografia, ma anche con i piani sequenza o piccoli movimenti di macchina) è la parte che colpisce di più e, in un certo senso, l’essenza stessa del film.
Pensato per essere un’operazione visiva radicale, che mostrasse la bellezza dell’orrore, lo stile che ci può essere in una storia di assassinio, con sangue ed efferatezze, esiste in uno stato quasi onirico. Visto oggi, è un film che non sembra per niente ambientato nella realtà, ma in un universo sospeso, etereo, in cui le cose (come nei sogni) sono suggerite, distanti, esistenti più per l’effetto che hanno che per la logica a cui dovrebbero rispondere.
Sei donne per l’assassino è un gioiello di stile e design, ed è sia completamente diverso da tutti i gialli italiani degli anni ’60 che il fondatore del genere.
Sei donne per l’assassino è stato restaurato di recente dal Centro Sperimentale di Cinematografia, che per l’occasione ha confezionato un dossie pieno di contributi di critici, registi e professionisti che hanno collaborato al film, al restauro o che sono stati vicini a Bava. Uno dei testi del dossier l’ha scritto per l’occasione da Dario Argento, che di Bava è stato il più grande discepolo e che vi proponiamo integrale:
“Il mio cinema è nuovo rispetto a quanto si era visto fino a quel momento. Gli autori che mi hanno ispirato sono Fritz Lang e Alfred Hitchcock, e mi piaceva molto anche Godard. Tra gli italiani, ho sempre visto con grande attenzione il cinema di Mario Bava perché dal punto di vista visivo non c’era nessuno che avesse le sue capacità. Sei donne per l’assassino usa il colore in modo straordinario, è un film perfetto. Infatti, ho poi chiesto a Mario Bava di collaborare ad alcuni miei film e ho prodotto il suo film Shock, dove c’era Daria Nicolodi e dove ancora una volta ha saputo fare effetti mirabolanti con pochi soldi. Lui era un artigiano, sapeva inventare di tutto, rispettava scrupolosamente il limite di spesa che aveva concordato. Sei donne per l’assassino non ha niente di particolare come storia, ma le immagini che produce sono straordinarie, nessuno fino a quel momento era riuscito a tanto. Peraltro, anche per Bava, come per Hitchcock, si usava il classico dispregiativo dell’“abile artigiano”. Anche lui lo era. A livello altissimo. Anche la sua lezione deve essere rivalutata. È un compito che la critica italiana dovrebbe finalmente completare. Mario Bava è considerato in tutto il mondo uno dei maestri del nostro cinema, e qui, forse per stolto provincialismo, o per intrighi politico-salottieri, soltanto un abile artigiano che stentava ad avere credito presso i produttori per i suoi film. Inverosimile situazione”.
Tra le molte invenzioni di questo film, la più nota è probabilmente l’immagine dell’assassino. Vestito di nero, con cappello e guanti di pelle, indossa una maschera che non consente di vedere il viso, e spesso noi vediamo le sue azioni attraverso i suoi occhi, come se fossimo lui. È l’assassino del giallo italiano per antonomasia, che tutti, Dario Argento in primis, riprenderanno, e non solo in Italia.
Ogni maschera dell’assassino è figlia di questa. Come ricorda il regista Paolo Strippoli nel dossier, alla fine del sesto omicidio la vittima toglie la maschera all’assassino prima di morire, ma lo stesso noi non lo vediamo in volto con grande frustrazione; la stessa identica cosa accade nel primo omicidio all’inizio di Scream di Wes Craven, per altro un altro assassino mascherato.
Il restauro di Sei donne per l’assassino è uno dei più importanti dell’anno, non solo per il peso che il film ha avuto nella storia del cinema, ma perché il punto stesso del film e della sua ricerca visiva è proprio lo splendore. Bava era un grandissimo tecnico del cinema, ex direttore della fotografia e grande conoscitore del mezzo.
Lui era un artigiano, sapeva inventare di tutto, rispettava scrupolosamente il limite di spesa che aveva concordato. Sei donne per l’assassino non ha niente di particolare come storia, ma le immagini che produce sono straordinarie, nessuno fino a quel momento era riuscito a tanto.
Dario Argento
Qui, per la prima volta, sperimenta qualcosa di radicale non nel senso dell’efferatezza o del gotico (che pure è una parte importante della sua storia, a partire almeno da La maschera del demonio), ma in quello di una nuova associazione tra la materia bassa, cioè le storie di sangue, e quella alta, intesa nel senso del bello classico, delle composizioni influenzate dalla pittura e dalla grafica (nonchè dalla moda chiaramente), con qualcosa di totalmente nuovo: un’idea di film thriller che non punti come sempre a essere un’imitazione della realtà, ma all’idealizzazione degli istinti che lo animano, della tensione e dell’attrazione erotica latente che esiste nell’omicidio.