C’è stato un periodo in cui il termine “millennials” veniva usato, a sproposito, come sinonimo di “giovane”. Per un po’ nessuno ci ha fatto caso perché le due cose, effettivamente, coincidevano. Finché i millennial non sono invecchiati anche loro e così si è dovuta trovare una nuova definizione per la generazione nata da metà anni Novanta, indicata con la lettera Z. Prima dei Millennial, c’era la Generazione X. E prima ancora i Boomer, anche se quest’ultimo termine è oramai usato per indicare in generale chi non è rimasto al passo con le cose - vedi “Ok boomer”, una frase diventata praticamente un meme.
Facciamo chiarezza: i Baby Boomer sono la generazione nata dopo l’ultima guerra mondiale, tra il 1946 e il 1964, la Generazione X è rappresentata dai nati tra il 1965 e il 1980, i Millennials sono nati tra il 1981 e il 1996, la Generazione Z tra il 1997 e il 2012 e infine (per il momento) abbiamo la Generazione Alpha, nata dal 2013 a oggi (e ancora per qualche anno).
Come si nota, con l’eccezione dei baby boomer – il cui arco temporale è di 18 anni – tutte le generazioni durano 15 anni. Ma perché? Prima di tutto, è importante segnalare come queste etichette – che hanno lo scopo di raggruppare delle età che si suppone siano accomunate da simili sensibilità, soprattutto in campo socio-culturale – siano tutte delle convenzioni: un millennial nato nel 1982 avrà probabilmente molto più in comune in termini di musica, film, abbigliamento, slang e quant’altro con un Gen X del 1980 di quanto non ne abbia con uno considerato della sua stessa generazione, ma nato nel 1996.
Questa divisione è inoltre un fenomeno recente. E anche qui, purtroppo, la faccenda si complica. Certo, la lettera X che dà il nome alla generazione che ha caratterizzato gli anni Ottanta e i Novanta è stata ideata dal canadese Douglas Coupland nel suo romanzo culto Generazione X (1991, appena ristampato da Accento).
Come però si intuisce dalla parola “generazione”, le origini di questo concetto sono biologiche. Come si legge in un interessantissimo saggio del New Yorker, “in una struttura parentale, i genitori e i loro fratelli e sorelle costituiscono la ‘vecchia generazione’, mentre i loro figli e i cugini di questi rappresentano la ‘nuova generazione’. Il tempo necessario, per la nostra specie, affinché la nuova generazione diventi la vecchia generazione è solitamente considerato essere attorno ai trent’anni”.
Nell’Ottocento questo concetto meramente biologico inizia però a essere impiegato a livello sociale, con l’idea che raggruppare le generazioni in un determinato arco temporale possa aiutare a comprendere le loro caratteristiche socio-culturali e quindi anche i cambiamenti politici, artistici o nei costumi che definivano le diverse fasi storiche.
“Per alcuni pensatori, il cambiamento generazionale è la causa dei cambiamenti storici e sociali”, si legge ancora sul New Yorker. “Le nuove generazioni portavano nel mondo nuovi modi di pensare e di fare, e facevano piazza pulita di pratiche e credenze che erano diventate obsolete. Ciò aiutava la società a rinnovarsi”. Altri ritengono invece che il processo sia inverso: che siano cioè i cambiamenti sociali e politici a ridefinire le pratiche generazionali.
Come che sia, dal nostro punto di vista cambia poco. Ciò che è invece per noi importante è che nei primi del Novecento inizia a farsi largo un altro concetto sociologico di fondamentale importanza: quello di “giovinezza”. Detta così, può sembrare strano, visto che la giovinezza è ovviamente sempre esistita. Prima del Novecento era però una faccenda meramente anagrafica: con l’improvviso aumento della scolarità – che cresce enormemente, nel mondo occidentale, nella prima metà del secolo scorso – i giovani iniziano a radunarsi e confrontarsi quotidianamente fino alle superiori, dando vita alla prima inesistente “cultura giovanile”. Al fine di poter ridefinire periodicamente le caratteristiche delle culture giovanili, è stato infine ideato il concetto di generazione come lo intendiamo oggi (scegliendo per ragioni poco chiare di farle durare 15 anni).
Chiarito tutto ciò (o almeno spero), la domanda che dobbiamo porci non è se le generazioni esistano davvero (la risposta è: no), ma se questa suddivisione sia utile a comprendere i fenomeni sociali. In questo caso, e con tutti i caveat già segnalati, la risposta è invece positiva. È utile un po’ a tutti: a noi per sentirci parte di un gruppo che si confronta e si scontra i precedenti e i successivi, è utile ai sociologi per dotarsi di una (imprecisa) categoria attraverso la quale inquadrare alcuni fenomeni, è utile ai politici e ai loro consulenti per analizzare i temi più vicini alle varie generazioni.
Ma è utile soprattutto – come segnala ancora il New Yorker – al mondo del marketing, che grazie alle generazioni ha trovato un modo incredibilmente funzionale di segmentare i pubblici e i consumatori in base non solo all’aspetto anagrafico, ma anche culturale, tecnologico, di sensibilità politiche, ecc.
E quindi, chi sono io? Essendo nato nel 1982, mi considero solitamente un “vecchio millennial”, ma a volte ho più che altro l’impressione di essere un “giovane Gen X” (d’altra parte sono cresciuto con Ken il Guerriero e il Wu Tang Clan). Per confondere ancora di più il quadro, propongo di mutuare dal mondo astrologico il concetto di ascendente.
Del tipo: se sei nato nel 1989, allora sei un millennial “puro”. Se sei nato nel 2005, sei Gen Z a tutti gli effetti. Ma quando i confini si fanno più sfumati, può essere utile ricorrere all’ascendente: nel mio caso, quindi, sono un millennial ascendente Gen X. Finalmente sento di aver trovato la mia identità generazionale.