Ma cosa vedono veramente le macchine dell’AI?

No, lo sguardo delle macchine non è come quello degli esseri umani. Una mostra offre una riflessione sulle implicazioni dell’intelligenza artificiale e sui rischi della sua idealizzazione.

Negli ultimi anni, il progresso tecnologico e la questione climatica hanno messo in crisi la visione antropocentrica che, fino a poco fa, davamo per scontato. I concetto di “intelligenza” ha cominciato a espandersi – anche per un misunderstanding di stampo linguistico  – oltre l’umano: abbiamo cominciato a osservare criticamente le intelligenze botaniche, vegetali e animali (rimanendo affascinati dal fungo e dal suo micelio) e, parallelamente, abbiamo investito capitale sempre più ingente nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. 

Quest’ultima, in particolare, è stata accolta con uno sconcertato stupore, in bilico tra l'entusiasmo e l'inquietudine: un limite quasi cognitivo, questo, che ci porta ad osservare l’AI attraverso il filtro “umanizzante”. La “macchina intelligente”, cui viene data inevitabilmente una caratterizzazione antropomorfa, diventa così una “tecnologia esistenziale” dotata di un proprio “sguardo”. 

Per Speculum. Intelligence and its Double, Spazio Vitale, Verona. Foto Nicola Morittu

Una mostra a Fondazione Spazio Vitale, a Verona, fa il punto sul turbamento che l’AI è ancora in grado di generare, approfondendo il tema della sua presunta soggettività ed eventuale “presa di coscienza”. In mostra, artisti come Jonas Lund, Silvia Dal Dosso, Lorem, Sanela Jahić e Daniel Felstead & Jenn Leung presentano una riflessione tanto corale quanto eterogenea sui risvolti del suo sviluppo. “Ogni volta che si parla di intelligenza artificiale”, racconta a Domus il curatore Domenico Quaranta, “bisognerebbe fare una sorta di esercizio preliminare, un piccolo rituale di presa di distanza critica dalla terminologia che si usa. Parole come intelligenza, visione, apprendimento implementano una concezione animista e antropomorfa dell’AI, contagiosa anche per chi sa benissimo che l’AI è una simulazione dell’intelligenza, e che la macchina non vede e non apprende come vediamo e apprendiamo noi”. 

Ma in che modo vede la macchina? Se il concetto di “visione” apre a un discorso  retorico e umanizzante, gli artisti Émilie Brout & Maxime Marion – che presentano Idle, un video musicale che vede l’AI raggiungere l’autocoscienza – esasperano questa narrazione, mettendo in scena “questa realtà alternativa, che siamo già pronti ad accettare perché disponiamo già del linguaggio per descriverla; e la singolarità non è la distopia di qualche AI doomer, ma la prospettiva evolutiva implicita nel linguaggio che sin dagli anni Cinquanta usiamo per parlare di intelligenza artificiale”, spiega Quaranta.

Per Speculum. Intelligence and its Double, Spazio Vitale, Verona. Foto Nicola Morittu

Sembrerebbe soprattutto di un problema di linguaggio, quindi, quello che ci porta a fantasticare sull’AI. In ogni caso, rimane il fatto che la macchina è dotata di una sua propria visione soggettiva, che “non ha nulla a che fare con la visione umana, né con la visione, a noi aliena ma comunque mediata da un apparato visivo organico, di un ragno o di una mosca”, ma che è “frutto combinato di sistemi di acquisizione meccanici (macchine fotografiche, sensori, ecc.), algoritmi di pattern recognition e immensi database di contenuti visuali “etichettati” per perfezionare il funzionamento di tali algoritmi. È spesso ricalibrata sulla funzione del dispositivo che la incorpora (una macchina a guida autonoma “vede” diversamente da un drone, da uno scanner con tecnologia OCR, da un apparato di sorveglianza o dalla camera di Google Lens), e orientata a uno scopo operativo specifico”. 

Per Speculum. Intelligence and its Double, Spazio Vitale, Verona. Foto Nicola Morittu

Sebbene non possa percepire quel che la macchina vede, lo sguardo umano, di contro, possiede una componente intellettuale, estetica ed emotiva che è impossibile (almeno per il momento) simulare. Ed è questo l’aspetto che l’opera di Kamilia Kard – un’installazione digitale interattiva che vede protagoniste delle “entità ibride” che sembrano floreali, ma sono apparentemente fatte di carne umana e si muovono come piccoli animali – punta a esaltare: non una sfida alla machine vision, quindi, ma un ritorno alla “percezione immediata della natura aliena e ibrida di quelle creature, il piacere intellettuale ed estetico di riconoscere una metafora che si fa immagine viva”.

Parole come intelligenza, visione, apprendimento implementano una concezione animista e antropomorfa dell’AI, contagiosa anche per chi sa benissimo che l’AI è una simulazione dell’intelligenza, e che la macchina non vede e non apprende come vediamo e apprendiamo noi.

 Domenico Quaranta

Allo stesso tempo, lo sguardo della macchina, per quanto indecifrabile, influenza il nostro sguardo: basta pensare “alle gallerie e ai video autogenerati sull’iPhone, che seleziona e aggrega contenuti del mio archivio sulla base del riconoscimento facciale e di alcuni criteri standard di qualità dell’immagine, progressivamente corretti sulla base delle mie preferenze”, sottolinea Quaranta, ma anche “alla nostra capacità collettiva di riconoscere un’immagine generata come tale, e all’estensione progressiva del regno del falso accettabile come vero”.

Per Speculum. Intelligence and its Double, Spazio Vitale, Verona. Foto Nicola Morittu

Infine, la macchina non si limita a “vedere”, ma anche a riprodurre (e, recentemente, anche a produrre) immagini. Nell’opera di Jon Rafman, vediamo come queste immagini contaminino l’inconscio collettivo (e viceversa). 

Allo stesso modo, “l’uomo influenza la macchina implementando il dataset – creando, taggando e condividendo immagini, lavorando per le piattaforme di gig working, sfornando sorrisi su richiesta, o semplicemente usando i suoi dispositivi digitali – e programmando il processo generativo, a livello di algoritmo o di prompt engineering”, mentre, dall’altro lato, “la macchina influenza l’uomo implementando il “nostro” dataset – ossia, contribuendo all’archivio di immagini disponibili attraverso la generazione di nuove immagini – e riprogrammando la nostra sensibilità alle immagini, la nostra capacità di sorpresa, le nostre aspettative nei confronti del visivo”. Un rapporto, questo, che sembra destinato a durare e autoalimentarsi sotto la lente d’ingrandimento delle aziende, dei ricercatori e degli artisti.

  • Per Speculum. Intelligence and Its Double
  • Spazio Vitale, Verona, Italia
  • dal 25 maggio al 29 giugno 2024