Tra design scandinavo e Paco Rabanne: addio a Françoise Hardy (1944-2024)

Scompare la cantante e attrice francese volto della gioventù yè-yè e icona di stile sempre al passo con il design. 

Con le sue canzoni, Françoise Hardy raccontava un amore puro ed emozionante – come ha ricordato Cristiano Malgioglio che fu anche autore di un suo testo italiano –, di un’adolescenza in Technicolor che ben ha saputo cogliere anche Wes Anderson. Il regista che, inserendo “Les temps de l’amour” nella colonna sonora di Moonrise Kingdom, ha contribuito a far (ri)scoprire Hardy e il suo evanescente e dolce mondo yè-yè ad almeno un paio di nuove generazioni; e ne ha catturato il sentimento di escapismo e purezza adolescente nel ballo sulla spiaggia tra i giovanissimi protagonisti.

La composta innocenza raccontata dagli occhi azzurri, dai tratti minuti, dal ciuffo biondo e le magliette a righe orizzontali, trovavano un equilibrio nel contraltare offerto dalla sfrontatezza di una Francia che stava mutando.


Giovanissima era anche Françoise al suo debutto canoro, nel 1961 con l’etichetta parigina Disques Vogue a cui legherà i suoi principali successi. L’anno seguente arrivano i primi 45 giri, con il successo fulminante e internazionale di “Tous les garçons et le filles” e, proprio, “Les temps de l’amour”.

A 22 anni, nel 1966, Hardy è all’apice, se non della maturazione artistica, del successo. Come racconta un servizio della televisione italiana. Hardy è seguita per le boutique del centro di Parigi, città dove è nata e cresciuta, nono arrondissement. Tra queste quella di Yves Saint Laurent di cui è stata volto, così come di Cardin (che indossa nel 1963 sulla Croisette di Cannes) e di André Courrèges, in un total look nel suo cameo sul set di Masculin, Féminin di Godard. La camera si sofferma sulla tenda di un negozio: Bohème. Eppure, quando Hardy apre le porte di casa sua alla troupe, l'appartamento è già lontano dalla bohème da Rive Gauche tutta Sartre e chitarra acustiche a cui la cantante si era associata, almeno nell’immaginario, agli esordi.
 


L’arredo è scandinavo, mid-century, a suggerimento di un successo che è anche economico. Hardy, seduta composta in un vestito alla Chanel, confessa la sua paura più grande, il dolore fisico, ma soprattutto morale, circondata da amici, musicisti (tra cui Michel Polnareff), e vinili: suoi, del compagno di una vita Jacques Dutronc, ma anche di Adriano Celentano di cui realizzerà una splendida e delicata versione de “Il ragazzo della Via Gluck”.

Eppure, la composta innocenza raccontata dagli occhi azzurri, dai tratti minuti, dal ciuffo biondo e le innumerevoli magliette a righe orizzontali, trovavano un equilibrio nel contraltare offerto dalla sfrontatezza di una Francia che stava mutando e di cui Hardy fu traghettatrice. Un passaggio dall’esistenzialismo a collo alto dei primi ‘60 alla sfrontatezza libertina della generazione yè-yè, prima delle barricate, delle auto ribaltate e della pioggia di cubetti di porfido – anche in questo caso raccontata da Wes Anderson nel suo French Dispatch.

È la Hardy che posa per il britannico Brian Duffy sul set di Grand Prix (1966) e per Jean-Marie Périer, ammiccante, al fianco di Mick Jagger. Hardy con il maglione coperto di spille Beatnik e con gli occhiali oversized colorati, Hardy sulla copertina del settimanale musicale Salut Les Copains in un look da biker o languidamente seduta su una Ball Chair di Eroo Aarnio arancione. Hardy scelta da Paco Rabanne per indossare una delle sue creazioni più celebri: un abito da 9 chili d’oro con un collo impreziosito da diamanti di 300 carati.

Femme fatale o innocenti evasioni? Entrambe e nessuna delle due: più semplicemente Hardy padrona di una grazia, nei modi e nelle pose, che oggi ci sembra così lontana, perduta anzi, davanti all’aggressività di dive dalla femminilità ora annullata, ora sbandierata con volgare irruenza. Uno stile che l'ha resa It Girl ante litteram, prima che Jane Birkin arrivasse sotto la Tour Eiffel alla corte di Gainsbourg, prima di Alexa Chung che tanto ne ha tratto insegnamento.
 


Eppure Françoise di battaglie, prima di tutto civili e per la dignità umana, ne portava avanti. Come quella sull’eutanasia, che ha accompagnato gli ultimi decenni della sua vita, a lottare contro il tumore a causa del quale si è spenta.

Rimangono i dischi, le copertine, i libri di astrologia a cui si è dedicata dai ‘70 e quelli da autrice, ma anche gli editoriali fotografici. Tra questi uno, toccante, al fianco di Jacques Dutronc a distanza di almeno tre decenni dagli esordi yè-yè. Lei elegante e serafica, lui un vecchio rocker con gli stivali da biker e il sigaro. Invecchiati sì, ma mai meno distinti, ieri enfantes terribles d’oltralpe oggi monumenti nazionali.

Immagine di apertura: Francoise Hardy ad Amsterdam. Foto Joos Evers da Openverse