Stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, esiliati, rifugiati, ma anche queer, indigeni e minoranze culturali: la Biennale di Venezia di Adriano Pedrosa vuole presentare l’espressione artistica di chi almeno una volta è stato considerato outsider, raccontando come lo sguardo decoloniale è oggi urgenza sempre più diffusa. “Stranieri Ovunque - Foreigners Everywhere” è il titolo scelto per la 60ª Esposizione Internazionale che si terrà a Venezia dal 20 aprile al 24 novembre 2024.
“L’espressione”, spiega Adriano Pedrosa, primo curatore sudamericano dell’Esposizione, “ha almeno un duplice significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi, si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri a se stessi".
Con la partecipazione di ben 90 paesi a cui si aggiungono 30 eventi collaterali e 332 artisti in mostra, l’edizione di quest’anno mira a farsi osservatorio della diversità riflettendo sui processi che portano a definire l’altro come “straniero”: colonialismo, turismo, gentrificazione ed esclusione.
La ricerca di Pedrosa parte proprio dal linguaggio, estendendo il concetto di straniero fino a includere l’“estraneo”. “Stranieri Ovunque” è anche il titolo della scritta al neon realizzata dal collettivo francese Claire Fontaine e presentata in mostra. Realizzata in diverse versioni, dal 2004 l’opera illumina la frase che dà il titolo a questa Biennale in lingue differenti, 53 ad oggi, includendo linguaggi indigeni ormai estinti.
La mostra è divisa per la prima volta in due parti: un “Nucleo contemporaneo” con artisti del nostro tempo e un “Nucleo storico” con opere del XX secolo provenienti da diverse regioni del mondo, “un esercizio curatoriale che interroga i confini e la definizione di modernismo” e include una sezione speciale sulla diaspora degli artisti italiani.
Tra le opere esposte, spiccano quelle di Anna Maria Maiolino e Nil Yalter, entrambe premiate con il Leone d’Oro alla carriera ed entrambe alla loro prima partecipazione: Maiolino presenterà una nuova opera di grandi dimensioni tipicamente realizzata in argilla, mentre Yalter proporrà una nuova versione dell’installazione “Exile Is a Hard Job” e della sua nota casa mobile intitolata “Topak Ev”. Mahku Collective, un collettivo indigeno brasiliano, realizzerà un murale monumentale sull’iconica facciata bianca del Padiglione Centrale, mentre Mataaho Collective, collettivo maori dalla Nuova Zelanda, presenterà un’installazione nel primo spazio delle Corderie.
Particolarmente interessante anche l’introduzione di una sezione speciale curata da Marco Scotini, intitolata “Disobedience Archive” e dedicata al rapporto tra pratiche artistiche e attivismo, che presenterà l’opera di 39 artisti con film e video che affrontano temi dalla diaspora alla disobbedienza di genere.
Come sempre rimane attesissimo il Padiglione Italia, su cui da ottobre sembrano non esserci grosse novità: realizzato dall’artista Massimo Bartolini, a cura di Luca Cerizza, il progetto intitolato “Due Qui/ Two Here” esplorerà modi per fare comunità attraverso pratiche di ascolto, includendo contributi di diversi musicisti e scrittori.
L’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia è supportata dai partner Swatch e Illy Caffè, dagli sponsor American Express, Bloomberg Philanthropies, Venezia Unica, e da Rai, media partner ufficiale dell’evento.
Immagine di apertura: Louis Fratino (Maryland, United States, 1993 - Lives in New York) Metropolitan (2019) Oil on canvas 152.4 × 240.7 cm © Louis Fratino / Courtesy of Sikkema Jenkins & Co., New York