Può il design essere arte? Da quando Art Basel, “la” fiera d’arte contemporanea, ha assimilato Design Miami/, un “forum” commerciale di design contemporaneo, questa domanda si è fatta sempre più spessa e piena di intrecci e di nodi, a volte impossibili da sciogliere, tra due direzioni a volte impossibili da scegliere.
A Basilea, per capire se il design può essere arte
Anche quest’anno, durante l’Art Week della città svizzera, torna Design Miami/, grande forum del design da collezione. Stavolta in una versione intima, che riaccende la domanda del confine tra artista e progettista.
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- Matteo Pirola
- 16 giugno 2023
Cercare il design nell’arte, ovvero l’arte nel progetto, con la “ricerca” come costante di una innovazione soprattutto espressiva (ma anche tecnica), con la continua ri-definizione di una funzione d’uso per un oggetto estetico o con la riproducibilità anche non industriale di oggetti per una straordinaria quotidianità domestica, è ciò che può rendere l’arte un mestiere, e quindi il progettista un artista, con metodo e talento.
Il confine è molto sottile ma il limite rimane molto alto, e se non si aprono chiari varchi accessibili e percorribili costantemente in entrambi i sensi, si genera più confusione che fusione.
Andare a Basilea durante la sua storica Art Week è quindi un modo per tracciare nuovi sentieri e fare esperienza di nuovi sentimenti artistici e sensazioni progettuali.
Quest’anno, giunti alla sua XVII edizione, Design Miami/ Basel, si mostra in una edizione molto ridimensionata (“intima” secondo gli organizzatori), in cui si respira un’atmosfera un po’ disorientatante, dove insieme al nuovo annuncio per la prossima presenza a Parigi in ottobre (anche l’anno scorso ciò era avvenuto ma poi era stato annullato) si intuisce che forse un’epoca si è chiusa o sicuramente questo “sistema” si dovrà rinnovare radicalmente. Design Miami/ che è una manifestazione tipicamente americana dedicata al Collectible Design, sta evidentemente mettendo in atto una trasformazione dovuta anche alle rivoluzioni che tutto il mondo ha recentemente vissuto e sta continuamente e velocemente vivendo, facendo scelte geo-politico-artistiche su nuovi fronti in porti forse più sicuri, (ri)portando certamente il design verso l’arte decorativa, che è un nuovo (o vecchio) modo di distinguersi dall’arte applicata.
Inoltre, notiamo che in fondo, essendo la maggior parte delle gallerie che partecipano a Design Miami/ aventi base a Parigi questa può essere una scelta anche naturale, e che probabilmente darà un segnale anche alla manifestazione “madre” Art Basel che lo scorso anno ha già intrapreso una nuova strada con Paris +. Nell’insieme delle gallerie (tra cui alcune new entry e le consolidate superstiti certezze italiane Galleria Rossella Colombari di Milano e Galleria Antonella Villanova di Firenze) che hanno portato un tradizionale panorama di oggetti d’arte, arredi di modernariato di grandi maestri e alcune opere sperimentali di design da collezione, segnaliamo i 3 progetti speciali – molto diversi tra loro ma ben rappresentativi della complessità del sistema – ospitati in alcuni angoli del padiglione.
Per tornare a guardare al passato: Irthi Contemporary Crafts Council, dove si mostrano, raccolgono e incentivano socialmente le attività di donne artigiane che utilizzano antiche tecniche di lavorazione tipiche delle aree del nord africa e del medio oriente. Per continuare a guardare al presente: Caroline Van Hoek, già gallerista e ora autrice e designer di gioielli che presenta una collezione dal titolo “At the skate park” dove indaga il linguaggio urbano dello skateboard e della street art per produrre raffinati ornamenti per il corpo. Per provare a guardare al futuro: Cyril Lancelin, Flap³, con Google ATAP, un lavoro tridimensionale interattivo e minimalisticamente immersivo, che esplora le relazioni tra l’arte, l’architettura, la tecnologia e le relazioni dei corpi in movimento in uno spazio definito ma dinamico.
Oltre a Design Miami/ Basel, la città capitale dell’arte e dell’architettura contemporanea offre sempre durante questi giorni numerosi altri spunti di interesse per il mondo del design.
Tra le cose ufficiali lo Swiss Design Award, dove si trovano i giovanissimi progettisti che operano in Svizzera e che partecipano a questo significativo premio di grande riconoscimento culturale e importante sostegno economico.
Nei finalisti del premio esposti a Basilea si segnalano alcuni interessanti risultati.
Léon Félix presenta “Terra”, un sistema unificato di protezione solare e di raffrescamento passivo che usa l’inerzia termica del materiale e dell’acqua per controllare le condizioni atmosferiche di un ambiente. Leonie Roth e Luisa Tschumi, propongono con “Urin*all” un’originale soluzione per i bisogni fisiologici che accomuna i generi e potrebbe risolvere notevoli discriminazioni dell'uso di questi necessari spazi pubblici. Tobias Brunner, Pimp My Chair, progetto realizzato per VitraHaus allo scopo di offrire accessori che possano personalizzare i propri arredi seriali aggiungendo nuove piccole funzioni quotidiane.
I vincitori della sezione di product design sono stati Serge Borgmann e Carlo Clopath (Borgmann Clopath), Working With Living Materials, che hanno propongono elementi d’arredo dove l’uso di materiali naturali non si limita alla superfice ma anche alla tecnica, che impara dalla materia e insegna la forma. Mediante raffinatissimi giunti, la struttura è lasciata libera di assestarsi e di muoversi secondo le condizioni del contesto e d’uso.
Si sono anche assegnati degli speciali premi alla carriera che quest’anno si rivolgono a Eleonore Peduzzi Riva, nata a Basilea ma milanese d’adozione, che ha iniziato alla fine degli anni ’50 una meravigliosa carriera nella cultura del progetto italiano tra interni, allestimenti e disegno industriale, frequentando i più importanti autori e collaborando con le più importanti aziende da Artemide a Cassina da De Padova a Zanotta. Altro premio alla carriera per Chantal Prod’Hom, storica direttrice e fondatrice del mudac di Losanna, il museo di design e arti applicate che nei primi anni 2000 ha posto le basi per un nuovo modo di indagare il design in stretta relazione con la società contemporanea.
In una delle sedi più istituzionali per il design, al Vitra Campus, si è inaugurata invece la nuova Garden House di Tsuyoshi Tane, un progetto permanente molto interessante – una piccolissima casa per 8 persone fatta solo di materiali naturali, sostenibili e locali – che si integra con il giardino di Piet Oudolf e che completa le riflessioni della mostra in corso Future Gardens. Al netto di tutte le opere d’arte esposte in fiera e nelle manifestazione satellite che parlano, illustrano, interpretano temi tipicamente progettuali, dall’architettura allo spazio abitato, dall’arredamento al design, ce ne sono alcune che più di altre entrano nelle argomentazioni e usano il design come primario medium espressivo dell’opera d’artista e che quindi permettono anche ai designer di aumentare la riflessione critica su alcuni significati progettuali fino alla ventilazione di nuove idee.
Tra le tante – non tantissime – opere d’arte che potremmo citare nell’integrazione delle discipline – per esempio – ne scegliamo una sorprendente e rappresentativa vista alla Liste Art Fair.
Qui la Galleria Clima di Milano presenta un’opera di Valerio Nicolai, “Nuova Carboneria”, dove un divano all'apparenza banale diventa il tramite per una critica dissacrante e ironica a un certo sistema culturale e intellettuale da “salotto”. Sulla comoda seduta, in realtà rifatta in ogni dettaglio e ridimensionata per essere sensibilmente più piccola delle dimensioni comuni, avviene un dialogo orale “virtuale” e quasi surreale, non solo sonoro ma visualizzato da alcune pieghe dei cuscini che diventano labbra di bocche che discutono animatamente. Il soggetto del dibattito è: come si fa la carbonara? Due voci parlano in dialetto romano e si concentrano sugli ingredienti esatti della famosa ricetta, mentre una terza voce, di una bambina inglese, interviene a spiegare i cenni storici della ricetta e cercare di attribuirne l’origine.
L’ultima segnalazione va a un nuovo progetto espositivo, in realtà inaugurato lo scorso anno in sordina e fuori città, che quest’anno ha attirato tutti gli interessi degli intenditori e ricercatori di vere novità, sia per il contenuto che, forse soprattutto, per il contenitore.
Il Basel Social Club è il progetto di un collettivo di artisti, galleristi, curatori con l’intento di creare uno spazio sociale per l’arte contemporanea. Poco distante dai padiglioni della Fiera, in alcuni spazi industriali dismessi (dove si produceva la mitica maionese Thomy) in un dedalo di capannoni, silos, sotterranei e cortili, si tengono insieme in modo informale ma integrale, pittura, scultura, installazione, musica, performance, eventi, gastronomia e, ovviamente ma non scontato, il pubblico, che spesso qualcuno dimentica ma rimane fondamentale per la realizzazione culturale di tutte le arti.
Immagine di apertura: Galerie Gastou. Photo credit James Harris