Nel 1958, appena un anno prima della Rivoluzione, a Cuba c’erano 511 sale cinematografiche, di cui 130 solo a L’Avana, la città con più cinema al mondo, addirittura più di Parigi e New York. Erano state aperte in stile coloniale o art déco a partire dagli Anni Dieci dalle stesse major americane – la 20th Century Fox, la Metro Goldwyn Mayer e la Columbia Pictures – ed erano in assoluto il luogo di aggregazione più in voga. Nel 1960, con Fidel Castro, salirono a 600 al grido di “cultura, seguridad y higiene”, salvo poi l’impossibilità per la macchina statale di mantenerli. Ora, di quei 130 cinema, ne rimangono attivi solo 19, tutti gli altri sono edifici abbandonati di cui, a memento della passata gloria, è rimasta solo la facciata.
Cines de Cuba: atlante fotografico di un cinema estinto
Hasselblad e Anuario alla mano, la fotografa italiana Carolina Sandretto è andata alla ricerca di tutti i 600 cinematografi di Cuba e li ha raccolti in un libro fotografico da collezione sul cinema come simbolo della scomparsa di un’era.
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- Marta Milasi
- 19 gennaio 2019
- Cuba
Carolina Sandretto, fotografa italiana specializzata in fotografia documentaria, li ha ritratti e raccolti tutti in “Cines de Cuba”, progetto e poi libro fotografico edito da Skira sul cinema come emblema di un processo, il passaggio da una fruizione culturale di tipo pubblico a un’esperienza più domestica e privata. Cines de Cuba narra la storia di una scomparsa – in Italia ce lo raccontava già Tornatore nel 1988 con “Nuovo Cinema Paradiso” – di cui sull’Isola rimane ancora coloratissima traccia.
Con in mano una Hasselblad degli anni Cinquanta, la Sandretto ritorna sull’Isola tre volte in quattro anni dando vita a un vero e proprio atlante cinematografico che vede le maestose sale dell’Avana – il Trianon e il Roldan del Vedado, ma anche il Karl Marx di Miramar – contrapporsi alle casupole diroccate delle province rurali di Ciego de Avila, Holguìn o Las Tunas, verso il più povero Oriente. Si scoprono anche realtà inattese, una certa avanguardia nella città rivoluzionaria (e universitaria) di Santa Clara e una buona quantità di cinema nell’intricata Camagüey, anche se nel complesso si coglie come i cinematografi, a Cuba, abbiano avuto lo stesso destino delle macchine americane anni ’50: a volte utilizzati, più spesso no, certamente mummificati, come se nulla, da quegli anni, fosse cambiato.
Ero nella strada principale di San Miguel de los Banos, località termale sulla Carretera Central Cubana, quando a un certo punto, davanti al Jacàn, ho visto un bambino con due donne, di cui una con un ombrello per ripararsi dal sole. È stata la prima fotografia del progetto.
Anni in ogni caso da non rimpiangere troppo: per quanto il cinema fosse e sia tuttora una vera passione oltre che parte dell’educazione intellettuale collettiva dei cubani, sia sotto Batista che con Castro ha dovuto attraversare oscurantismi, censure, problemi di distribuzione, continui blackout (i cosiddetti “apagones”), pipistrelli in volo e bobine rovinate. Insomma, non proprio una visione godibile. I bambini, però, vi giocavano dentro, i ragazzi ci portavano le ragazze al primo appuntamento e quei pochi che erano stufi dei soliti due canali televisivi russi in bianco e nero vi sfuggivano alla noia.
Dicono tutti, e con una certa incomprensibile nostalgia, che Cuba stia cambiando. Ma non sarebbe forse straordinario che anche solo uno di questi cinema in disuso “cedesse alle lusinghe” della neonata proprietà privata tornando a nuovo splendore?
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