A due giorni dalla conclusione di un London Design Festival vorticoso nel suo susseguirsi di mostre, eventi e feste, rimane ancora una tappa da esplorare al Bankside Design District: Designersblock, la mostra/evento annuale a cura di Rory Dodd, Piers Roberts e Bud Moore. Il luogo scelto per quest’anno è un edificio semi abbandonato adiacente all’OXO Tower Wharf, tra Waterloo e il Blackfriars Bridge, a sud del Tamigi.
Designersblock
Nel tranquillo Bankside District, una palazzina abbandonata ha ospitato l’esposizione forse più alternativa e socialmente impegnata della London Design Week.
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- Marianna Guernieri
- 03 ottobre 2016
- Londra
La placida atmosfera “di quartiere” ci porta a dimenticare il contesto di richiamo, favorendo la concentrazione sui progetti esposti. La quasi totale assenza di visitatori, insieme ad una distribuzione molto generosa degli spazi tra i vari designer, specie in una Londra dove “space is money”, ci prepara a un’immersione più che mai sperimentale in progetti quasi tutti improntati sulla ricerca reale della sostenibilità. Le proposte per il sociale qui non nascono a tavolino, ma prendono vita da esperienze intense in cui i designer, tutti giovanissimi, sono coinvolti in prima linea.
È il caso di parlare del Bait Hive di Joshua Akhtar, figlio di un apicoltore, che ha dedicato gli ultimi suoi anni alla creazione di arnie alternative ad altissime prestazioni, ma anche a basso costo, semplici da costruire e trasportabili ovunque, per contrastare la diminuzione delle api. Claudia Brewster, invece, è impegnata nella creazione di oggetti in grado di aiutare le persone affette da dislessia e disprassia. “Le persone in queste condizioni sono stanche dei soliti prodotti che in qualche modo li stigmatizzano”, spiega, “gli utensili da cucina che ho progettato, ad esempio, servono a infondere fiducia attraverso forme quasi seducenti che hanno a che fare con tre problematiche principali: il versare, la presa e l’organizzazione.”
Sanne Visser, affascinata dagli aspetti meno appetibili del nostro corpo, realizza, in un’ottica puramente ambientalista che tiene conto del ciclo completo del prodotto, corde resistenti utilizzando gli ingenti scarti dei capelli nelle città. Olive Lab si preoccupa invece di benessere, in particolar modo di quello degli individui affetti dal SAD (Seasonal Affective Disorder), creando un ‘sole’ casalingo che riproduce le luci dei nostri paesaggi preferiti: se in vacanza, ad esempio, troviamo particolarmente piacevole una determinata luce del giorno, la possiamo registrare e replicare in un secondo momento al nostro rientro a casa.
Robyn Tayler Payne studia nuove superfici di rivestimento per edifici in Namibia capaci di raccogliere significative quantità d’acqua trattenendo la rugiada, mentre la guerrilla gardener Vanessa Harden propone una serie di accessori per seminare e fare del giardinaggio clandestino. Wataru Kobayashi, ben consapevole dell’imminenza di una crisi alimentare data per certa, ci mostra la sua intera collezione di “posate da insetto”, mentre Mamiko Yamazaki coglie l’urgenza di una Food Rescue Clinic itinerante per migliorare le abitudini alimentari delle persone.
I nomi e i progetti sono ancora moltissimi e spaziano dallo sport alla moda, dalla comunicazione agli interni, dall’architettura al service design. Parlando con Rory Dodd, fondatore di Designersblock nel 1998, apprendiamo che quest’edizione si proponeva come esperimento sui diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. “Pensiamo che siano alcuni dei progetti più emozionanti al momento”, ci spiega Dodd, “abbiamo sempre dato spazio a questo tipo di proposte, ma quest’anno volevamo fare qualcosa di più esplicito. Sembrano sempre casi isolati, ma se guardi nell’insieme capisci che sta prendendo forma una nuova industria che sarà la nostra salvezza per il futuro.”
Il primo Designersblock è stato presentato alla Truman Brewery in Brick Lane – dove ora si svolge la London Design Fair – quasi vent’anni fa. Lo spirito era lo stesso, cioè promuovere designer indipendenti internazionali e inglesi in cerca di canali alternativi per veicolare i loro lavori e le loro idee, senza dover ricorrere necessariamente alle fiere. Tra i nomi che hanno partecipato ricordiamo Tom Dixon, Inflate e Michael Young, solo per citarne alcuni.