Organizzata da MADE expo e curata da Luisa Collina, docente del Politecnico di Milano, la mostra “Building the Expo” (Rho Fiera, Milano, 18 – 22 marzo 2015) ha presentato in anteprima, attraverso disegni, dettagli costruttivi, materiali, prototipi, foto e video di cantiere, oltre 30 padiglioni che si stanno costruendo in queste settimane in vista di Expo Milano 2015.
Costruire l’Expo
Matteo Scagnol racconta il suo allestimento per “Building the Expo” – la mostra che, durante MADE expo, ha raccolto in una grande libreria i materiali di progetto di oltre 30 padiglioni – e ci dice anche cosa gli piace, e cosa no, delle opere realizzate per questo grande evento.
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- 03 aprile 2015
- Milano
Matteo Scagnol di MoDus Architects ci ha raccontato il progetto di allestimento che gli è stato affidato, svelandoci anche, tra le righe, che cosa gli piace, e cosa no, di questo grande evento ormai alle porte. “Il progetto dell’allestimento per la mostra al MADE è stato molto veloce," – ricorda Scagnol – "quando Luisa Collina mi ha chiesto di realizzarlo ho pensato al tema di quest’esposizione universale, ‘Feeding the Planet’, che ha a che fare con il mondo dei prodotti della natura, ormai completamente globalizzati. Mi ha fatto riflettere il fatto che lo stesso avviene nel mondo dei materiali per l’architettura e le costruzioni. Come un cuoco ha a disposizione degli ingredienti, li sceglie e li cucina, allo stesso modo l’architetto o il costruttore scelgono i materiali e costruiscono le proprie 'ricette' combinandoli tra loro.
Da qui è nata l’idea di presentare i padiglioni con un grande scaffale, quello dell'architetto, in cui trovano posto i diversi materiali: una ‘dispensa’ di architettura. Riflettendo su questo tema mi sono tuttavia reso conto che questa equazione non è così semplice: se i prodotti della terra e delle diverse cucine, benché globalizzati, riescono a mantenere la loro identità (se cuciniamo un piatto spagnolo con pomodori di Pachino, il risultato è comunque un piatto spagnolo), in architettura i materiali non riescono a fare altrettanto.
Nell’allestimento ritroviamo lo scaffale – un grande portico aperto – dove i padiglioni, per loro natura estroversi, vengono chiusi all’interno di celle, introvertiti e tradotti in disegni e campioni di materiali. La struttura del sistema espositivo può essere intesa anche come traslitterazione della rigidità, della semplicità e dell’ortogonalità dell’organizzazione planimetrica del sito di Expo in una mostra che doveva anche diventare un grande foro in cui ospitare incontri e conferenze.
La mia idea è quella di un allestimento che non vuole essere protagonista ma solo uno strumento per accatastare, come faccio nel mio studio con le ceste in cui raccolgo i materiali di progetto. Un aspetto interessante di questa mostra è che ha presentato qualcosa che non si vedrà a progetti ultimati: molti padiglioni sono presentati con i loro prospetti laterali che nella realtà, data la disposizione planimetrica serrata del masterplan, non si riusciranno a leggere per cui il valore delle opere sarà soprattutto nel fronte.
Mi sono reso conto che non è veramente un’architettura, quella dei padiglioni, perché ha una fragilità congenita, una ‘non permanenza’ per cui tutto è giocato sull’involucro, sulle finiture, ma manca un carattere architettonico vero e proprio. In questo senso il padiglione più onesto, secondo me, è quello dell’Olanda: una serie di giostre, come in un circo, che hanno a che fare con il cibo nell’accezione del fast food ma che risulta giocoso, temporaneo, non egocentrico, frivolo (Expo dopotutto è una festa, non necessariamente un momento di riflessione sullo status dell’architettura). Un progettista deve dare espressione del proprio paese in un contesto talmente internazionalizzato che risultano quasi ridicoli quegli Stati che ancora cercano di mimetizzare la propria architettura dietro un velo di ‘tradizionalità’. Altri, come il Bahrein, sono riusciti ad astrarre un concetto nazionale (in questo caso le dune) arrivando a forme architettoniche di altissimo livello.” Matteo Scagnol.
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