Nate assemblando vecchie putrelle, morsetti da falegname, ruote, tubi, snodi per le condotte dell'acqua e persino una braga (di quelle per lo scarico delle acque nere), le lampade di Alessandro Marelli sono il frutto dei suoi esperimenti sul design autoprodotto. Sono anche in pratica il risultato di un meticoloso girovagare fra rottamai e robivecchi. "Il mio rottamaio di fiducia accatasta gli scarti in grandi cumuli divisi per qualità di metallo", ci racconta Alessandro, " io scalo e smuovo queste montagne piene di sorprese". Così, in qualche ora di ricerca, si ricava oggetti dalla forma interessante. A volte l'uso non è chiaro da subito, altre volte è una folgorazione: e un rottame viene da subito prefigurato come oggetto d'uso. Alla fine del giro, una selezione è d'obbligo.
Da cosa nasce questo interesse per i materiali di scarto? Economico da un lato ("Molte materie prime per realizzare i prototipi non sono a buon mercato—il legno e le sue trasformazioni ad esempio (che resta la mia grande passione resta il legno, e del quale conosco a fondo tutte le sue lavorazioni e reazioni)—e, se proprio devo acquistarle, cerco di trovare materiali di largo consumo poco costosi").
Alessandro Marelli: tre lampade
Per il designer italiano, allievo di Enzo Mari, l'autoproduzione è una formidabile palestra per sviluppare la propria poetica progettuale, come dimostrano queste nuove lampade.
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- 19 ottobre 2011
- Milano
E se la motivazione può sembrare poco poetica, d'altro canto è senz'altro schietta: "Molti progettisti cavalcano l'onda dell'ecosostenibilità; trovo la cosa fastidiosa e ipocrita. I meccanismi commerciali e finanziari sono talmente invalicabili che occorrerebbe piuttosto un metaprogetto per minare i cicli consumistici sfrenati invece dell'azione, a volte anche sincera, di inermi progettisti", tiene a precisare). Il suo suggerimento in termini di progetto sostenibile è invece verso il progetto di prodotti facilmente riparabili, monomaterici, l'utilizzo di materie prime seconde, per cercare di sensibilizzare l'utente finale.
Il design autoprodotto condensa in sé almeno tre realtà:
il progettista
l'artigiano
il distributore (e promotore)
Il risultato è la realizzazione fisica da parte del progettista (prettamente in prima persona, ma anche con l'aiuto di artigiani) di un manufatto a bassa complessità tecnica, utilizzando componenti di recupero, standard o di basso costo, assemblati con limitate trasformazioni.
Queste scelte sono pressoché obbligate da due fattori:
La quantità di oggetti prodotta (bassa)
La capacità di distribuzione (minima)
I costi di produzione, nel nostro caso, sono dati principalmente dal costo del lavoro, dai materiali e dalla quantità della serie. Se questi fossero troppo elevati (escluso quantità della serie), andrebbero a incidere negativamente sulle possibilità di vendita al pubblico, dato che un progettista che autoproduce generalmente non ha un brand forte, quindi non ha la forza necessaria per imporsi sul mercato.
Ulteriore elemento da considerare è la distribuzione; teoricamente diventerebbe gestibile attraverso il web in cui c'è un potenziale di visibilità elevato e capillare che tuttavia molto spesso si traduce in una goccia nel mare della rete.
Nonostante questo approccio, che può sembrare negativo, credo che l'autoproduzione, se così intesa, sia una formidabile palestra per poter sviluppare sinceramente la propria poetica progettuale, dando la possibilità di entrare fisicamente nel mondo della produzione (anche se non industriale) per poter affrontare con più coscienza il progetto nel senso più ampio del termine. Alessandro Marelli
Alessandro Marelli, nato in Brianza, noto distretto industriale del legno a nord di Milano, si occupa fin da subito delle tematiche del progetto, collaborando allo sviluppo di arredi pubblici e privati con diverse aziende e studi di architettura, approfondendo in tal modo la conoscenza della "materia" legno. Durante gli studi al Politecnico di Milano, ha occasione di entrare in contatto con Enzo Mari. Dopo essersi laureato in Disegno Industriale collabora per un breve periodo con Prospero Rasulo. Richiamato da Enzo Mari, rimarrà nel suo studio come unico collaboratore per alcuni anni, assistendo allo sviluppo di diversi progetti fra i quali l'allestimento della mostra di Enzo Mari L' Arte del Design, alla Galleria d' Arte Moderna di Torino. Dopo questa esperienza, decide di aprire il proprio studio per dedicarsi al progetto.