Una giuria pubblica composta da esperti e appassionati, si è riunita lo scorso 31 ottobre nella sala del Consiglio Comunale di Liverpool e come in un vero e proprio parlamento, ha votato il vincitore valutando le proposte selezionate in una lista di nove finalisti.
Quella che segue è un'intervista a Elisabeth A. Povinelli, fra le fondatrici del progetto vincitore e membro del collettivo The Karrabing Film Collective, una comunità indigena del nord dell’Australia.
Martina Angelotti: Hai appena ricevuto, insieme con il Karrabing Film Collective, il Visible Award 2015. Ho preso anche io parte alla giuria pubblica, nella sala del consiglio comunale di Liverpool e posso dirti che è stata un'esperienza molto interessante come modello di apprendimento collettivo. Eri presente alla diretta?
Elisabeth A. Povinelli: Poco prima dell’assemblea ero alla Comunità di Belyuen, sulle rive del Darwin Harbour, nel Territorio del Nord australiano, dove vive la maggior parte dei membri del Karrabing. Più che altro stavamo separando chi aveva un certificato di nascita da chi non l’aveva (requisito essenziale per richiedere il passaporto australiano) e stavamo anche progettando Toxic Sovereignties #4, Mudibandjirrk Dreaming per una mostra alla galleria e-flux di New York. Judith Wielander e Matteo Lucchetti avevano spedito il testo per la presentazione del Visible Award quella stessa settimana.
Dato che al momento ero l’unico membro del Karrabing che aveva il passaporto partii per Saskatoon, in Canada, il giorno prima dell’assemblea di Liverpool. e-flux e il Remai Modern proiettavano il nostro Windjarrameru, the Stealing C*nt$ dedicato all’incarcerazione degli indigeni e all’industria mineraria multinazionale nel Nord australiano. Durante il dibattito della riunione io mi trovavo a Saskatoon, dove gli appartenenti alle Prime Nazioni si trovano ad affrontare analoghe lotte contro la povertà, lo sfruttamento minerario e la perdurante appropriazione coloniale, intervenendo a tratti nello streaming e nella sintesi online, e informando sommariamente tramite Facebook gli altri membri del Karrabing. La comunità non possiede una rete Wi-Fi pubblica né altre reti telefoniche affidabili. Per captare il segnale ci si mette sulle terrazze esterne o sul tetto, oppure si collega il telefono alla zanzariera di una porta: “Non c’è campo” è un tema che ricorre spesso nel nostro lavoro cinematografico. Tutti vennero a sapere la bella notizia quando il giorno dopo telefonai.


Martina Angelotti: Che cosa provi ora e qual è stata la reazione del Karrabing dopo la comunicazione del verdetto del premio?
Elisabeth A. Povinelli: Ero a dodici ore di distanza dall’Australia. Al mio risveglio ho immediatamente telefonato ad alcuni degli altri membri anziani del collettivo: Sandra Yarrowin, Claude Holtze, Linda Yarrowin, Angelina Lewis e Rex Sing. Sandra ha pensato che la stessi prendendo in giro (i Karrabing si divertono molto a prendersi in giro a vicenda). Linda e Rex mi hanno detto di prendere subito l’aereo di ritorno per fare una gran festa. Poi la notizia si è sparsa rapidamente quando i più giovani si sono affrettati a dirlo a tutti su Facebook. Erano emozionati, ma la sensazione del premio doveva misurarsi con un recente suicidio e una serie di morti in famiglia, e i Karrabing, mentre realizzavano il cortometraggio per la presentazione del premio a New York, erano ancora vestiti a lutto. Lo dico per sottolineare che parte integrante della politica e dell’estetica dei film del Karrabing sono le continue interferenze che costituiscono la vita quotidiana.
Martina Angelotti: Approfondiamo il discorso sul progetto, che è molto complesso non solo in termini strutturali, ma anche rispetto alle emozioni, ai comportamenti e ai temi che cerca di delineare. Qual è stato il punto di partenza e come sei entrata in contatto con il Karrabing? Qual è il tuo ruolo nel collettivo, quali sono la sua composizione e la sua organizzazione?
Elisabeth A. Povinelli: I membri del Karrabing per la maggior parte sono nati e cresciuti nella Comunità di Belyuen. Io sono arrivata nel 1984 grazie a una borsa di studio Watson dopo la laurea in Filosofia negli Stati Uniti. Marjorie Knuckey, responsabile indigena del Centro femminile della comunità, mi chiese di collaborare a redigere le sue richieste di fondi. A quell’epoca la comunità era invischiata in una rivendicazione territoriale lunga e molto combattuta. La legge federale australiana impone che le comunità indigene che presentano rivendicazioni territoriali siano rappresentate da un avvocato e da un antropologo. Alla fine della mia borsa di studio gli anziani mi chiesero se volessi ritornare in qualità di loro antropologa. Perciò studiai antropologia all’università di Yale, facendo da allora la spola con Belyuen e dintorni da due a sei volte l’anno. Molti dei membri adulti del Karrabing quando ci andai per la prima volta avevano da sette a dodici anni. Insomma, siamo cresciuti insieme,. Ma non significa che abbiamo avuto lo stesso trattamento. Quale che sia il nostro reciproco affetto, il nostro viverci come famiglia, ragionare, festeggiare e portare il lutto insieme, lo Stato e il pubblico ci trattano in modo molto diverso.

Il Karrabing nel 1984 non esisteva, o esisteva solo in potenza.
Il Karrabing non è un luogo o un gruppo. La parola karrabing indica la condizione di bassa marea, in contrapposizione con karrakal, il culmine dell’alta marea. Ciò che esisteva nel 1984 era un gruppo di famiglie collegate tra loro internate nella Comunità di Belyuen negli anni Quaranta. Il governo australiano alla fine degli anni Settanta cambiò politica, passando dall’assimilazione degli indigeni alla cosiddetta “autodeterminazione degli indigeni”. Le rivendicazioni territoriali e la tutela del patrimonio culturale furono sbandierate come le chiavi di volta di una nuova epoca di giustizia sociale. Ma di fatto la legislazione sulla rivendicazione territoriale divideva le comunità indigene in base a teorie antropologiche sull’autenticità delle tradizioni invece che favorire i desideri e l’immaginario locali. Forse non c’è da sorprendersi se, quando nel 2007 morì l’ultimo degli anziani, a Belyuen scoppiò una rivolta. Il governo promise di costruire delle case nel loro territorio tradizionale, ma poi sopravvennero i provvedimenti noti come Intervention, attacco federale ai diritti degli indigeni sulla base di paure di natura sessuale, e furono abbandonati nella boscaglia.


Martina Angelotti: Nella presentazione video che il Karrabing Film Collective ha realizzato per il Visible Award ho notato l’uso del ‘realismo improvvisativo’, termine perfetto per definire con precisione il vostro modo di lavorare. Credo che i vostri film possano essere considerati più come una forma di re-messa in scena della realtà, che una scelta non-documentaristica. E la definizione stessa mi fa venire in mente una dimensione ‘E la definizione stessa, mi rimanda alla parola composta “factional”, un mix fra fiction e fact, un insieme di narrativa e di realtà. Come intendete il realismo improvvisativo? E di che genere di ‘realismo’ stiamo parlando?
Elisabeth A. Povinelli: “Factional” mi piace. Realismo è un termine dell’arte. Anche in un’impostazione strettamente documentaristica il desiderio di esprimere la realtà senza mediazioni, sia attraverso i filmati autentici di un evento sia attraverso una rappresentazione veritiera, è mediato dall’inquadratura, dal montaggio, dalla colonna sonora, dalla proiezione e così via. Perciò realismo improvvisativo non significa rappresentare la realtà senza mediazione, per i Karrabing come per qualunque altro gruppo creativo.
È un’estetica che consegue dalle strategie di vita quotidiana nel liberalismo degli insediamenti, dove si verifica un ampio dislivello tra le risorse di cui si dispone e quel che occorre realizzare con esse, e dove non c’è praticamente distinzione tra le molteplici realtà che costituiscono la vita quotidiana. La trama dei film in genere viene elaborata prima dell’inizio delle riprese, ma i dialoghi e la suddivisione delle scene sono improvvisati mentre si gira. Qualche volta cambia anche la trama.
Ma l’improvvisazione non si limita a un puro stile performativo. È anche l’articolazione da uno stile d’arte a uno stile di vita. Uno dei motivi per cui stiamo girando Wutharr con i cellulari è la possibilità di intervenire sul tipico calendario di produzione per vedere se i naturali limiti di durata ristretti di questi telefoni, insieme con una limitata attrezzatura sonora, si articolano con la natura dal vivo del realismo improvvisativo.

Martina Angelotti: Passiamo al concetto di ‘fare cinema’. Come lavora insieme il gruppo dei Karrabing e in che modo scelgono le storie da rimettere in scena per raccontare cosa significa esser indigeni oggi? Il loro modo di lavorare può essere concepito come una prassi di reciproca conoscenza nel mettere in scena la propria vita?
Elisabeth A. Povinelli: Karrabing non lavora su un modello insieme/diviso, reciproco/separato, ma insieme e diviso, reciproco e distinto. Di fatto le discussioni su quale sia il modo migliore e più bello di fare le cose sono il segno della costante importanza che questi aspetti rivestono per i Karrabing. Le persone discutono perché sono interessate al risultato, ma non si abbandonano perché hanno preso strade diverse.
Credo che il modo di creare le narrazioni sia un riflesso di questa caratteristica. Qualcuno del gruppo suggerisce una trama semplicissima. Col tempo, se l’idea è convincente, altri aggiungono personaggi e risvolti narrativi finché si delinea l’arco del film. Alcune di queste conversazioni si svolgono in riunioni ufficiali ma per lo più la composizione della narrazione viene fatta sotto i portici delle case o per la strada, o in drogheria. I luoghi delle riprese vengono selezionati ma, dato che tutti conoscono il territorio a menadito, le scenografie già organizzano in modo sostanziale la trama. Io ho l’incarico di mettere insieme la troupe o, in questo caso, gli iPhone 6S.
E ciascuno decide che parte vuol recitare.

Martina Angelotti: Come pensate di investire i soldi del premio che avete vinto?
Elisabeth A. Povinelli: Terremo una riunione per discutere dell’argomento. Tutti vogliono che il denaro serva a realizzare infrastrutture materiali che contribuiscano a consolidare la prospettiva del Karrabing. Tra le proposte ci sono la realizzazione di una postazione decentrata, la riparazione dell’imbarcazione del gruppo, e i passaporti e i viaggi per assistere alle proiezioni internazionali.