La scala è un manufatto atto a superare il dislivello tra le diverse parti o piani dell’edificio o tra l’edificio e il suolo. Messa a punto a partire da motivazioni di ordine pratico, non stupisce che i testi di Vitruvio, di Alberti o di Palladio si soffermino sulle dimensioni, sulla collocazione e sulle proporzioni della scala all’interno degli edifici. Eppure, nel corso del tempo, in relazione al periodo storico e al carattere dell’edificio cui appartiene, la scala è stata interpretata come un elemento architettonico atto ad assumere diverse accezioni. Nelle civiltà mediterranee anteriori alla greca, ad esempio, la scala ha assunto significati sacrali, celebrativi, scenografici e simbolici; mentre le scalinate barocche o neoclassiche erano espressione di fasto monumentale.
I ventotto libri messi a punto da Friedrich Mielke (1921) ne raccolgono esempi illustri realizzati in Europa, ne mettono in luce le peculiarità ed evidenziano i testi che si soffermano sulle scale nell’ambito letterario e artistico. Alla 14. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, il gruppo di ricerca della Harvard University Graduate School of Design ha evidenziato come a dispetto di un’importante storia, il diktat di Leon Battista Alberti – “quanto meno scale saranno in un edificio, e quanto meno spazio di esso occuperanno, tanto saranno più comode” – si sia dimostrato profetico per la condizione contemporanea: le scale oggi corrono il rischio di scomparire perché considerate poco sicure, spesso assumono un carattere decorativo o rientrano nell’ambito del design. Eppure, anche la contemporaneità vanta esempi di scale che portano con sé diversi significati in relazione agli edifici e ai paesaggi umani e culturali in cui sono pensate. Eccezioni, dunque, che confermano la regola. Tentativi, tra gli altri, di attribuire “senso” alla scala.
A Casa Malaparte, ad esempio, “in un luogo adatto per uomini forti e per spiriti liberi, dove la natura si esprime con forza incomparabile, e crudele” la scala, al pari delle cavee teatrali greche, è intesa come un dispositivo volto a stimolare l’immaginazione poetica di chi contempla il paesaggio. La “gradinata-teatro” della casa a Punta Massullo, attribuita al suo proprietario, i cui presupposti intessono fitte trame di significati intimamente legati al confronto tra architettura e natura, all’architettura dei teatri, alle peculiarità del paesaggio e alle memorie autobiografiche di Malaparte (la gradinata della chiesa di Lipari), è un omaggio a un paesaggio profondamente classico, la cui contemplazione richiama il “mondo, alto e puro che vive nella poesia degli antichi”.
Le scale concepite all’interno di “capsule spaziali” indipendenti e geometricamente configurate della Yale University Art Gallery (Connecticut, 1951-53) o della Biblioteca del Yale Center for British Art, a New Hagen (Connecticut, 1969-74), sono espressione di un’architettura concepita nel solco della lezione romana. Negli anni di diffusione dell’International Style, le scale di Louis Kahn racchiuse all’interno di volumi, perlopiù cilindrici e illuminati dall’alto, segnalano l’interpretare il movimento delle persone all’interno degli edifici come una successione di atti rituali.
La scala rossa della House VI (Cornwall, Connecticut, 1975) non conduce in alcun luogo. Impegnato a liberare l’architettura da considerazioni di uso e contesto per trovare “l’architettura che corrisponda all’uomo di oggi”, Peter Eisenman assume come principale referente del suo lavoro la grammatica trasformazionale di Noam Chomsky e investiga i meccanismi dell’architettura come se fosse un linguaggio. La scala rossa della House VI non è una scala e appartiene perfettamente alla casa descritta nello stesso periodo da William H. Gass: “Il mondo di questa casa è copernicano: i suoi spazi non provengono da me, io non sono per loro né centro, né sorgente. Le sue superfici non sono il limite dei miei movimenti o dei miei sguardi, luoghi per i miei quadri, custodi della mia intimità o retroterra per i miei mobili, il pavimento non è qui per i miei tappeti, né per rassicurarmi che sono in salvo in una superficie solida e terrestre”.
Ci sono scale le cui qualità si fondano sulla dialettica tra dentro e fuori, con l’obiettivo di rimarcarne l’aspetto pubblico. La scala della Sackler Gallery, all’Università di Harvard (Cambridge, 1985), ad esempio, è concepita come un episodio architettonico a sé stante rispetto alle sale espositive e le cui pareti sono trattate come se fossero degli esterni. Per James Stirling questa scala è come un “bazar molto in pendenza, con finestre che guardano fuori, gente che parla e attività che si svolgono lungo i suoi lati. Ospiterà il movimento degli studenti che vanno in classe e il flusso del pubblico che visita le gallerie: potrebbe essere piuttosto vivace, proprio come una specie di piccolo bazar”. Anche la scala del Bonnefantenmuseum (Maastricht, Olanda 1990) ha un trattamento autonomo rispetto al museo: è molto ripida, poco agevole, è definita da alte pareti in mattoni a vista, la sua copertura vetrata è scandita da ritmiche capriate in legno. Legata al mondo gotico e, come afferma Aldo Rossi, alle taverne shakespeariane e ai traballanti personaggi di Conrad, questo manufatto si inscrive anche all’interno delle scale di antica tradizione olandese: percorrendo questa scala si intuisce “un altrove” e il tempo si sospende.
Monumentale e sovradimensionata è la scala della Casa della Memoria di Baukuh (Milano, 2013-15) la sua dimensione, la sua forma, il colore che la contraddistingue, il rivestimento dei suoi gradini uguale a quello della Metropolitana Milanese, sottolineano il suo essere un elemento pubblico che permette l’accesso ai piani superiori dell’edificio. Per alcuni questa scala trova i suoi antecedenti nella rampa elicoidale di Bramante nel Cortile del Belvedere in Vaticano, per altri nella grande rampa a spirale dello stadio di San Siro, per altri ancora il ruolo della scala nella Biblioteca Laurenziana. Per Baukuh rimarca la valenza pubblica delle scale di magazzini ed edifici urbani per assemblee pubbliche, come Orsanmichele a Firenze, Kornhaus a Berna o la Scuola di San Rocco a Venezia: questa scala è un elemento architettonico che rammemora e intesse relazioni con scale di altri tempi in sintonia con il carattere di un edificio, la Casa della Memoria, che contiene documenti che mantengono viva la memoria di un momento chiave della storia italiana ed europea, quello della Resistenza e della Liberazione.
La scala del tolou di Lantian (Cina, 2019) è un prototipo messo a punto da Rural Urban Framework con gli studenti dell’Università di Hong Kong e dell'Hong Kong Design Institute in occasione del riuso del tolou da abitazione collettiva a una scuola dell’infanzia. Questa scala realizzata con tecniche e materiali appartenenti alle tradizioni costruttive cinesi segnala un’attività progettuale in controtendenza rispetto ai processi di urbanizzazione in atto in Cina: valorizza le culture costruttive autoctone, implementa l’attività comunitaria e segnala un modello di sviluppo in controtendenza volto al rispetto dell’ambiente e alla valorizzazione di modi di vivere in via di estinzione. Costruita a ridosso di un muro protettivo pensato in origine con finalità difensive, la scala trasforma una piccola finestra in un nuovo accesso e la sua generosa forma a imbuto invita le persone a sedersi e ad utilizzarla anche come un anfiteatro sul cortile.
Quest’interpretazione della scala come luogo pubblico di incontro, come uno spazio informale per il confronto e da cui guardare ed essere guardati, contraddistingue molti recenti interventi di riconversione dell’esistente. Allo Strelka Institute for Media Architecture and Design (Mosca, 2013) o al Tai Kwun Centre for Heritage & Art Hong Kong (Cina, 2006-18), ad esempio, più che le caratteristiche costruttive o formali della scala è cruciale la sua collocazione rispetto allo spazio pubblico: in una scuola in cui piuttosto che libri o teorie è la realtà il testo di base da cui ripartire o in un centro culturale pensato anche per rivitalizzare un contesto prettamente residenziale, grandi scalinate segnano spazi informali dedicati all’incontro e ad eventi estemporanei.
Quando la scala compare all’interno delle ricerche degli artisti, essa diventa occasione per evidenziare significati e aspetti legati alla condizione umana contemporanea. E, in effetti, il carattere simbolico della scala, storicamente legato all’immaginario dell’elevazione morale, conoscitiva o spirituale, viene oggi riscritto.
L’installazione 15 Steps to the Vergin (Venezia, 2011), ad esempio, è un campionario di scale che non conducono a nulla e che mostrano la loro natura di precari palcoscenici. Queste scale riscrivono il tema della “Vergine al tempio”: quello sfarzoso rito legato al femminile che percorre uno scalone, oggetto di diverse interpretazioni da Tintoretto, Giotto o Tiziano, per Monica Bonvicini è oggi divenuto traballante e, spesso, soprattutto in Italia, oggetto di spettacolarizzazione. I lavori di Rachel Whiteread, invece, parlano delle scale ma attraverso la loro assenza: rientrano tra le cosiddette immagini dialettiche così come definite da Walter Benjamin. È lo spazio a cui spesso non prestiamo la nostra attenzione (il vuoto del sottoscala) a diventare solido e monumentale: realizzate in cemento e spesso ruotate rispetto alla normale collocazione nello spazio, Stairs (1995) o Untitled Domestic (2002) attivano quel sentimento del perturbante che Anthony Vidler ha evidenziato nell’attraversare la produzione artistica e architettonica contemporanee. Mentre i lavori di Vittorio Corsini rifuggono qualsiasi forma di monumentalità e con i loro corpi realizzati in un “materiale” indefinibile qual è il vetro, in blu, il colore dell’altrove, sottolineano come il carattere simbolico della scala, in coerenza con la lettura post-foucaultiana del soggetto, sia oggi diventato fragile: Out of Use (2007) o Out of Reach (2007) alludono a scale di salvataggio che dichiarano la loro inutilizzabilità e La scala (1997), opera appoggiata a un albero in vaso e utilizzata come supporto per un dono, rammemora i rituali in via di estinzione delle società non industriali.