Qualche anno fa mi capitò un lavoro che non avevo mai fatto: dovevo trovare una sede milanese per un brand di design nordeuropeo. Nulla di troppo appariscente, ma doveva funzionare sia per il lavoro d’ufficio che per esporre nei momenti caldi. I quartieri richiesti erano Tortona o Brera, il budget ampio e il compenso offerto, in confronto alle tariffe dei giornali, mi sembrava ottimo.
Come la Design Week ha cambiato per sempre Milano
Un sistema basato sull’uso temporaneo degli spazi porta a una forma ancora più pervasiva e inesorabile di gentrificazione? Una riflessione sulla Milano “delle week” a valle di eventi, operazioni strategiche e culto della location.
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- Lucia Tozzi
- 23 aprile 2024
Mi sbagliavo. Quello che avevo immaginato come un gioco da dilettanti, con tutti i bellissimi negozi su strada vacanti, capannoncini urbani deserti, spazi vuoti a più livelli affacciati su cortili milanesissimi di cui entrambe le zone pullulavano, si rivelò un’impresa estenuante.
Il vuoto era infatti un’illusione, perché era temporaneo, o meglio intermittente. Quegli spazi non volevano essere riempiti da un unico occupante a lungo termine, ma si affittavano a settimane – o meglio a week, trattandosi di Milano, la città con più week al mondo. L’airbnbizzazione si era estesa anche al commerciale, i proprietari avevano realizzato che potevano ottenere rendite molto più alte con le locazioni temporanee. Via gioiellerie, showroom di vestiti, negozi di mobili, fiorai, librerie. Neppure le pizzerie a uso moneywashing riuscivano a competere con i piazzamenti da fashion week e design week, figurarsi il budget di un’onesta impresa di lampade.
Di fatto si tratta dell’ennesimo dono avvelenato alla città da parte del Fuorisalone. La sua evoluzione da festa e mostra diffusa a strumento di “rigenerazione urbana” ha prodotto un’evaporazione simultanea dei contenuti più sperimentali e della convivialità durante i giorni del Salone stesso – a dispetto della vitalità apparente delle folle, le persone passano il tempo a correre da un evento insulso all’altro, ad accodarsi a file lunghissime e a scambiarsi le stesse domande “Hai visto questo? Hai visto quello? Hai preso la borsetta?”.
In poco tempo i prezzi degli immobili salirono e la qualità scivolò sempre più verso il pacchiano, e le reti del Fuorisalone cominciarono a pianificare sempre nuovi distretti.
Ma, cosa più grave, ha creato una forma di gentrificazione molto aggressiva: nei luoghi in cui ha attecchito ha inibito la possibilità stessa di dare vita a un tessuto commerciale stabile, a investimenti di lunga durata pensati per offrire servizi e lavoro agli abitanti e a consolidare reti di rapporti locali. I potenziali negozi, officine, studi sono diventati locations, stanze spoglie neutre in perenne attesa di essere allestite e disallestite. Le strade passano dall’overtourism che le rende inattraversabili a un senso di desolazione.
Il vuoto era un’illusione, perché era temporaneo, o meglio intermittente. Quegli spazi non volevano essere riempiti da un unico occupante a lungo termine, ma si affittavano a settimane – o meglio a week, trattandosi di Milano, la città con più week al mondo.
Tortona è stato il primo quartiere short-term di Milano. I suoi edifici ampi, le ex fabbriche avevano attratto i pionieri del mondo del design, e dentro le loro mura si vedevano mostre sorprendenti, spettacolari o di ricerca, meno istituzionali di quelle in Fiera e più divertenti rispetto alle ingessate esposizioni nei tradizionali showroom di Brera. In poco tempo i prezzi degli immobili salirono e la qualità scivolò sempre più verso il pacchiano, e le reti del Fuorisalone cominciarono a pianificare sempre nuovi distretti, in una sorta di corsa all’oro estrattiva, una competizione a chi trovava il filone più ricco tra i palazzi del centro e della periferia.
L’episodio più sconvolgente di questa colonizzazione porta la firma degli olandesi, che nel 2010 calarono su Lambrate senza pietà. All’epoca la zona si trovava in una condizione incerta: nel suo complesso era considerata una grossa periferia residenziale, ma nella sola via Ventura, in seguito a un intervento immobiliare in stile postindustriale-luxury, si erano aggregati alcuni studi professionali prestigiosi, gallerie d’arte e alcune scuole di design, cui lentamente si andavano aggiungendo altri spazi dedicati alla creative class. C’era persino un finto squat, che però non era stato occupato ma dato in gestione dal proprietario ad alcuni giovani architetti-artisti come location per performance underground. Tuttavia, la gentrificazione non decollava, i bar continuavano a essere scadenti e i prezzi restavano al palo.
Margriet Vollemberg, a capo della società Organisation in Design, fece di quelle strade un po’ tristi l’epicentro della coolness, riempendolo di giovani vichinghi hipster provenienti dalle scuole di design olandesi, svedesi, svizzere, insieme a fiumi di birra e all’inseparabile corredo di pallet ed educatamente ribelli djset. Lambrate esplose, gli immobiliaristi andarono in sollucchero, ma il loro angelo biondo li tradì pochi anni più tardi spostandosi sotto i binari della Stazione Centrale, provocando la fuga generale delle gallerie e degli studi di architetti e artisti e consolidando l’ascesa di NoLo e l’espulsione dei suoi abitanti poveri.
Consci del proprio potere di fare e disfare, di accrescere o distruggere valore immobiliare, i curatori del Fuorisalone hanno a quel punto virato definitivamente sul marketing urbano, disegnando nuove geografie sulla mappa con alterne fortune: finora Bovisa è stata un buco nell’acqua, Isola era già troppo cara per consentire una colonizzazione strutturale, ma dopo l’eccezionale afflusso di visitatori tra le rovine dell’ex Macello, concesso nel 2023 ad Alcova per pubblicizzare lo sviluppo futuro dell’area, ormai non scampano al pericolo neppure gli abitanti dell’hinterland.
Immagine di apertura: Foto Massimo Pizzotti da Adobe Stock