E se fosse la progettazione industriale a costituire una parentesi nella storia del design, e non il contrario? In tempi di riscoperta dell’artigianato e di parziale abiura della serialità fatta a macchina, gli esperti di settore sono spesso unanimi nel canalizzare attenzione e riguardi verso le edizioni limitate. Più estrosi, più plateali, questi pezzi incuriosiscono in virtù della loro eccezionalità permanente, maggiormente legata alla capacità di raccontare qualcosa piuttosto che di assecondare un uso o una funzione. Una caratteristica apprezzata dai collezionisti, che in questa originalità trovano un valore distintivo, e dai progettisti, che vi vedono un’opportunità di visibilità e posizionamento.
È in questo humus che cresce e prolifera il collectible design, etichetta con cui si indica un arredo o oggetto in serie limitata, spesso in bilico tra l’arte e il design, distribuito principalmente da gallerie o da designer autoproduttori. Questo mercato di nicchia non è necessariamente una novità degli ultimi anni. Eppure, il nuovo millennio ha certamente impartito un giro di boa. Nel 1998, Pad lancia a Londra e Parigi la prima fiera dedicata al binomio arte e design. Nel 2005, l’intuizione di una brillante esordiente, Ambra Medda, porta al lancio di Design Miami, che scommette sul potenziale di un collezionismo di design regolato dalle stesse regole del mondo dell’arte, ma con un confine tutto suo, indipendente e rivendicato. In queste sedi, la produzione contemporanea comincia ad affiancare il design storico, aprendo la strada ad una nuova opportunità di investimento per i collezionisti.
Il design è stato storicamente una ricerca di soluzioni rispetto ad un problema. Tuttavia, oggi è la decorazione a prendere terreno, a dispetto degli aspetti ergonomici e persino di comfort.
Jean-François Declercq
Da allora, le fiere e le piattaforme per il design da collezione si sono moltiplicate in tutto il mondo. Radicandosi e confermando anno dopo anno la propria calendarizzazione, hanno offerto un impulso significativo alla ricerca dei designer, che hanno trovato un nuovo sbocco per i prodotti maggiormente orientati tanto alla ricerca speculativa che alla sperimentazione tecnica. Il doppio binario dato dalla sinergia tra collezionismo del Novecento e nuove proposte ha rafforzato il dinamismo del settore. La nascita dell’e-commerce e di piattaforme online dedicate, spesso transnazionali, ha poi dato vita a canali produttivi e commerciali specializzati. Il tutto a vantaggio, almeno sulla carta, degli emergenti, che trovano in questo campo un modo per distinguersi e farsi un nome.
“Il contemporaneo scenario del collectible design si presenta come un dinamico e vibrante ecosistema, in costante mutamento, che riflette l’incessante evoluzione delle espressioni creative e dei linguaggi artistici”, racconta a Domus Nina Yashar, fondatrice della galleria milanese Nilufar, e tra le principali talent scout ed anticipatrici a livello mondiale nel settore del collectible design. “Attualmente osservo come rimanga un grande interesse verso il design Mid-century così come una crescente ricerca per i prodotti contemporanei di alta qualità, direi in egual misura. Per rispondere a questa esigenza, da Nilufar abbiamo introdotto le creazioni Open Edition, una linea di oltre 100 prodotti in collaborazione con designer internazionali. Il focus sull'originalità, la coerenza concettuale e l’abilità artigianale rappresentano la chiave di volta di questo progetto”.
Sono in molti, come Yashar, a capire che l’originalità e la capacità distintiva di questi prodotti può fare la differenza. Perché in un settore che sta sempre di più marcando il proprio posizionamento, ogni operatore ha interesse ad orientarsi verso una proposta ed un target di riferimento specifico. Le fiere di settore ne sono un esempio eccellente. Design Miami rimane un punto di approdo per gallerie e grossi marchi, tanto da moltiplicare i propri appuntamenti: lo scorso anno ha inaugurato a Parigi durante Paris +, e ora si appresta a lanciare un nuovo evento a Los Angeles, in programma per il prossimo maggio. Pad, oramai giunta alla 24esima edizione, continua a focalizzare un design scultoreo e fortemente orientato al lusso. Nomad, che come dice il nome non si lega ad una specifica città quanto ad un circuito in divenire di destinazioni esclusive, fa del connubio con la location una chiave per lavorare sull’estrema sofisticazione della proposta. In Italia, le più recenti Lake Como e Edit non raggiungono le quotazioni delle fiere estere, ma offrono un terreno di scambio e di distribuzione per edizioni limitate, autoproduzioni e piccoli marchi, trainando la ricerca su processi ed alto artigianato. Mentre da Bruxelles, Collectible ha fatto dal 2018 del design del XXI secolo un’opportunità per canalizzare la ricerca più giovane e avanguardistica.
Il contemporaneo scenario del collectible design si presenta come un dinamico e vibrante ecosistema, in costante mutamento, che riflette l’incessante evoluzione delle espressioni creative e dei linguaggi artistici.
Nina Yashar
“Ci dicono spesso che, con il nome della nostra fiera, abbiamo di fatto coniato questo hashtag”, ci racconta Liv Vaisberg, fondatrice con Clélie Debehault di Collectible. “Prima del 2018, il riferimento era soprattutto al collactable e alla design art, un ambito che trovo più decorativo rispetto alla scena collectible attuale, più orientata al contenuto, alla riflessione intorno a valori politici, di genere, o alla riflessione sulla decolonizzazione. Da questo punto di vista, credo che il confine con l’arte resti sempre molto fluido, anche se accanto a questi esempi esistono sicuramente designer che si confrontano maggiormente con l’artigianato, la tecnica, la sostenibilità: un tema, quest’ultimo, diventato imprescindibile. Per quanto riguarda i collezionisti, abbiamo toccato con mano uno scetticismo iniziale, soprattutto nelle generazioni più anziane. Il nostro compito è stato quello di fargli scoprire che la creazione di design può essere seducente esattamente come l’arte, sia dal punto di vista intellettuale che estetico. Credo poi che, anche con l’affermarsi di Instagram, ci sia la tendenza ad osare di più: un’originalità a cui guarda una nuova generazione di collezionisti, che hanno magari budget meno importanti ma sono interessati al design in modo specifico”.
È difficile, in un ambito dove il peso della tradizione storica e delle singole scuole nazionali si fa ancora sentire, mettersi d’accordo su come definire la decorazione. Ma se il terreno della terminologia resta scivoloso, sull’esistenza di un cambiamento di registro è più facile convergere. Ce lo conferma Valentina Ciuffi, cofondatrice nel 2018 della piattaforma Alcova nonché attenta osservatrice degli andamenti ondivaghi delle fenomenologie del design, che punta il dito sul ruolo delle opportunità tecnologiche nel cambiamento dei linguaggi. “Grazie ai mezzi di visualizzazione e renderizzazione, alla stampa e al laser cutting, i designer sono diventati più autonomi”, ci dice. “Questo ha favorito ricerche molto personali dal punto di vista dei linguaggi estetici. Non so se questa ne sia la ragione diretta, ma attraverso alcune delle mostre di Alcova Project Space, il nostro spazio curatoriale, abbiamo notato un ritorno verso l’ornamento, il colore, la follia antiminimalista. Questi esiti permettono di rileggere la domesticità attraverso oggetti che portano avanti ognuno un proprio discorso, che giocano con il tema della funzione e si avvicinano all’arte, pur mantenendo ostinatamente la propria differenza”.
Il nostro compito è stato quello di fargli scoprire che la creazione di design può essere seducente esattamente come l’arte, sia dal punto di vista intellettuale che estetico.
Liv Vaisberg
Questa esplosione formale, che oltre ad Instagram sembra aver trovato una nuova linfa nelle modalità espressive nella virtualizzazione digitale – si pensi ad esempio all’estetica dei non-fungible tokens (Nft) - non fa tuttavia l’unanimità della critica. Preoccupata in alcuni casi di sottolineare la mancanza di adesione alle prerogative e ai vincoli del reale, come ci spiega Jean-François Declercq, design dealer nonché fondatore a Bruxelles di Atelier Jespers e della galleria La Bocca della Verità. “Il design è stato storicamente una ricerca di soluzioni rispetto ad un problema. Tuttavia, oggi è la decorazione a prendere terreno, a dispetto degli aspetti ergonomici e persino di comfort. Io lo chiamo un design Barbapapa, che con i suoi colori fluo e le sue forme, fa assomigliare i prodotti a caramelle. Un design instagrammabile che, senza prerogative di durabilità di materiali e assemblaggio, tra dieci anni sarà distrutto. Nella mia veste di intermediario, osservo però come i gusti degli acquirenti, soprattutto quelli senza background specifico nel design e nell’architettura, stiano diventando sempre più inclini a questo linguaggio. Tuttavia, non sono affatto contrario alla proliferazione di fiere e piattaforme: ogni opportunità per avvicinarsi ad un pubblico più largo è preziosa e, tra un’emergenza del gusto e l’altra, permette alla disciplina di rinnovarsi”.
De gustibus, purché ci si confronti e se ne parli. Nel frattempo, a sfuggire ad una valutazione realistica è piuttosto qualcosa di ancor meno tangibile, ma non per questo più effimero: l’andamento del mercato, soprattutto nel campo del contemporaneo. Là dove le transazioni private hanno un peso significativo e la partecipazione alle fiere viene spinta anche solo per questioni di visibilità e immagine, resta difficile sondare quanto, al di là del traino dei grandi nomi, le possibilità di partecipazione e visibilità si trasformino anche in occasioni di reale profitto.
Immagine di apertura: Nilufar Gallery, Milano. Foto Filippo Pincolini