Vorrei cominciare con due importanti volumi sul graphic design, un settore che merita una grande attenzione per l’importanza strategica che assume nella nostra società della comunicazione globale.
Il primo è la riedizione di Programme entwerfen / Designing Programmes, un’opera fondamentale del designer svizzero Karl Gerstner (1930–2017). L’editore Lars Müller, che nel 2007 aveva già proposto un’edizione del volume con un nuovo layout, rende ora accessibile in fac-simile l’edizione originale del 1964, messa in pagina da Gerstner stesso. Il volume, un vero e proprio manifesto, allo stesso tempo teorico e tecnico, costituisce una testimonianza essenziale e suggestiva dei primi passi del design computazionale, agli albori dell’era informatica.
Sei libri di design da regalare a Natale, selezionati da Emanuele Quinz
Lo storico e curatore crea per Domus un percorso che spazia dalla grafica alla critica, passando attraverso la storia del design e l'orizzonte necessario della sostenibilità.
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- Emanuele Quinz
- 01 dicembre 2020
Appena uscito in Francia, il volume Pour une critique du design graphique della storica del design Catherine De Smet, è destinato a imporsi come un testo di riferimento. Mentre il Svizzera il design grafico è valorizzato ormai da decenni, con importanti pubblicazioni, esposizioni e premi, a tal punto da costituire un landmark culturale da esportare, in Francia il processo si è innestato da poco. Ma è visibilmente in atto: non solo le istituzioni museali si interessano sempre di più all’universo complesso e variegato della grafica e al suo impatto sulla società, ma le pubblicazioni si moltiplicano. Attraverso una piattaforma digitale, un archivio e una rivista, Graphisme en France, le Centre National des Arts Plastiques si è impegnato a fare un censimento delle forze attive. Diverse case editrici specializzate sono nate negli ultimi anni, come B42, fondata nel 2008, che ha già in catalogo più di trenta pubblicazioni, tra cui la rivista Back Office. Il volume di Catherine De Smet (pubblicato proprio da B42) è composto come una costellazione di case studies, che affrontano il design grafico nella sua più larga estensione: dai libri (di Philippe Millot, Paul Cox, Le Corbusier o Bruce Mau per Rem Koolhaas…), ai manifesti, dalle cover dei dischi ai caratteri tipografici, dalle identità visive (come il logo del Centre Pompidou disegnato da Jean Widmer) ai sistemi segnaletici, fino all’uso della grafica nei progetti di arte contemporanea (di Thomas Hirschhorn). Episodi di una storia inedita e profondamente vitale, che, decifrando l’impatto dei segni, permettono di rileggere le sperimentazioni delle avanguardie, lo sviluppo dei media ma anche le trasformazioni della società contemporanea.
Per chi non li avesse ancora letti, raccomando due volumi, usciti rispettivamente nel 2018 e 2019, Design as an Attitude della critica inglese Alice Rawsthorn e Design by Accident. For a New History of design della storica del design francese Alexandra Midal. Due volumi che colmano un vuoto, allargando la definizione del design come pratica sociale, al di là della semplice produzione di oggetti o prodotti. Se il volume di Alice Rawsthorn, che riunisce e sviluppa gli articoli pubblicati sulla rivista Frieze, offre un panorama aggiornato ed elettrizzante di progetti in cui il design appare come “un agente di cambiamento, che interpreta mutazioni di ogni tipo – sociali, politiche, economiche, scientifiche, tecnologiche, culturali e ecologiche”, il percorso storico, che Alexandra Midal traccia con una scrittura tersa e brillante, ribalta le nozioni tradizionali del design come progetto della modernità, mostrando come, fin dai tempi di William Morris, esso è abitato da una dimensione critica e politicamente impegnata.
Infine, segnalo l’uscita simultanea di due volumi, sempre in francese, dell’architetto svizzero Philippe Rahm. Il primo, Ecrits climatiques (2020), pubblicato dalla casa editrice B2 (fondata e diretta da Nikola Jankovic, e, senza dubbio, uno dei progetti editoriali più originali nel paesaggio francese), raccoglie una serie di saggi d’occasione (tra cui le cronache pubblicate su Domus nel 2018). Il secondo, Histoire naturelle de l’architecture (2020), accompagna un’ambiziosa esposizione aperta da poco (e subito chiusa a causa del lockdown) al Pavillon de l’Arsenal di Parigi. Con una serie di esempi suggestivi, Rahm ci invita a ripensare la storia dell’architettura, non più a partire dalla geometria o dalla morfologia, ma dalla meteorologia e la fisiologia, dal rapporto che l’uomo stabilisce con le condizioni fisiche e climatiche del suo habitat. Una prova di realismo: nel momento in cui la crisi ecologica ci obbliga a ripensare le strategie del futuro delle nostre case e città, Rahm ci mostra come il design, l’architettura e l’urbanistica siano da sempre inestricabilmente legate alle risorse energetiche, alle questioni sanitarie e ambientali. E allo stesso tempo ci indica la via per un’architettura più sostenibile, che invece di progettare i pieni (muri e superfici), si concentra sui vuoti, lo spazio nel quale respiriamo e viviamo.
Emanuele Quinz (Bolzano, 1973) è storico dell’arte e curatore. Professore associato all’Université Paris 8 e ricercatore associato all’EnsadLab (École nationale supérieure des Arts Décoratifs), le sue ricerche esplorano le zone di frontiera tra le diverse discipline artistiche.