C’è una sedia che accomuna i luoghi più disparati del pianeta. È fatta di un unico blocco di plastica, resistente, facile da pulire e soprattutto economica. È bianca, almeno nella sua versione più conosciuta, e la si trova letteralmente ovunque, dai lidi balneari italiani, alle bancarelle di street food di Bangkok, dai giardini delle villette americane fino ai dehors dei locali di Madrid.
Si chiama Monobloc, ed è così radicata nella memoria collettiva che è diventata un cult senza tempo, anche se nessuno ne ricorda il nome. In Italia evoca immediatamente immagini di anziani che giocano a carte nei bar di paese, di spiagge pubbliche e lidi balneari del sud Italia, dove spesso si trova nella versione rossa o blu brandizzata Algida, l’azienda di gelati confezionati che negli anni ’80 ha riempito i locali.

Negli ultimi anni, non sono mancate le critiche legate al suo impatto ambientale, per via del materiale plastico di cui è composta. Resta il fatto che il costo irrisorio e la sua incredibile resistenza la rendono una sedia accessibile a tutti, e probabilmente, anche se la sua produzione dovesse arrestarsi di colpo, resterebbe in circolazione ancora per un po’.
Proprio di recente è tornata sotto i riflettori perché apparsa in doppia versione sulla copertina dell’ultimo album della popstar portoricana Bad Bunny, Debí tirar más fotos, un successo mondiale che ha elevato la sedia più democratica al mondo a simbolo della cultura pop.

Dalle avanguardie del design alla produzione di massa
Il 2017 è un anno importante per la Monobloc. Il Vitra Design Museum, uno dei musei più importanti al mondo, allestisce la mostra “Monobloc – A Chair for the World”. L’esposizione ripercorre tutta la storia della Monobloc, che inizia a metà degli anni ’90, con l’avanzare della produzione di mobili economici, leggeri e facilmente replicabili.
L’idea di una seduta in plastica stampata in un unico pezzo risale agli anni ’60, quando nel design venivano sperimentati nuovi materiali e tecnologie. Tra i pionieri, nel 1960 il designer danese Verner Panton ha progettato la Panton Chair, considerata la prima sedia in plastica realizzata in un unico pezzo. Ma il primo materiale utilizzato – la fibra di vetro rinforzata dal poliestere – e il costo elevato di produzione la rendevano un oggetto di lusso piuttosto che un prodotto ripetibile in serie.

Poi sono arrivate la Bofinger Chair (1964-1966), creata dall’architetto tedesco Helmut Bätzner, la prima sedia in plastica stampata a iniezione in un solo pezzo, e la Selene (1961-1968) di Vico Magistretti, in plastica ma rinforzata in fibra di vetro. Entrambe, avevano anticipato l’idea che le sedie realizzate in materiale plastico potessero essere facilmente impilabili e trasportabili.
È nel 1972 che si assiste al momento cruciale della storia della Monobloc, quando l’ingegnere francese Henry Massonnet, fondatore della società Stamp, realizza la Fauteuil 300. Perfezionando la tecnologia dello stampo, e riducendo così i tempi di produzione a meno di due minuti per ogni sedia, Massonnet l’ha resa subito accessibile a un vasto pubblico, ponendo le basi per il boom che seguirà.

La diffusione a scala globale
A partire dagli anni ’80 la mono blocco si diffonde ovunque, grazie all’azienda francese Grosfillex che introduce sul mercato la Resin Garden Chair, il primo modello venduto a prezzi così bassi da diventare un prodotto di massa e adatto anche all’outdoor. Negli anni, il design è stato ripetutamente replicato e adattato da innumerevoli aziende, e indipendentemente dal produttore o dalle piccole variazioni estetiche, il principio di fabbricazione resta lo stesso.
Il processo inizia con un singolo pezzo di polipropilene, portato a una temperatura di 220°C e iniettato in uno stampo che gli conferisce la sua forma inconfondibile: braccioli integrati, schienale leggermente curvo e seduta traforata per garantire quel tanto di ergonomia che basta. La plastica viene poi modellata con l’estrusione, che consente di ottenere una sedia in appena 70 secondi.
Questo processo di produzione ultraveloce la rende così economica che è possibile acquistarla nei negozi a circa otto euro al pezzo se venduta singolarmente.
Dal cinema all’arte contemporanea
Nel 2022, il documentario Monobloc di Hauke Wendler, vincitore del Premio Grimme, ha raccontato la diffusione globale di questa sedia e il suo impatto sulla vita quotidiana di miliardi di persone. Dai mercati di Mumbai ai cortili delle scuole africane, dalle terrazze europee alle spiagge tropicali, la Monobloc è ovunque.
In un viaggio che attraversa cinque continenti, Wendler raccoglie testimonianze di chi la produce e la utilizza. In India, le Monobloc sono sedie per matrimoni e celebrazioni pubbliche, in Uganda, sono state trasformate per rendere le sedie a rotelle disponibili per milioni di persone per la prima volta.

L’abbiamo vista sugli schermi, tra le commedie dei fratelli Vanzina e le puntate di Narcos, ma anche nell’ambito artistico, dove assume un significato simbolico. Durante la Biennale d’Arte di Venezia 2024, l’artista russo Kuril Chto la trasforma in un messaggio: la Monobloc, per Ctho, celebra la connessione umana e la generosità incontrate durante i viaggi. Un semplice oggetto, diffuso in tutto il mondo, diventa uno strumento attraverso cui esplorare il concetto di “casa”.
Immagine di apertura: Dalla mostra "Monobloc – A Chair for the World", esposta al Vitra Design Museum nel 2017. Österreich. Foto Jürgen Lindemann.

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