Le indicazioni le abbiamo da tempo. Maria Montessori, già nel 1948, nel suo celebre libro La scoperta del bambino dettaglia con precisione come deve essere un ambiente scolastico adatto perché i bambini possano liberamente esprimersi, agire in modo spontaneo “e così rivelarci bisogni e attitudini che rimangono altrimenti nascosti o repressi”.
Il suo libro contiene delle descrizioni da manuale di sedie, tavolini amovibili, mobili leggeri che possono essere spostati senza difficoltà, per creare diverse situazioni, strumenti didattici per risvegliare i sensi, elementi modulabili per non inibire il bambino, e soprattutto per produrre un confort che non è solo fisico ma psicologico: la classe è pensata come un prototipo di società in miniatura, che deve essere egalitaria, libera e dinamica.
La classe è pensata come un prototipo di società in miniatura, che deve essere egalitaria, libera e dinamica.
Questi principi hanno ispirato, al momento della ricostruzione, i primi designer che si sono interessati all’arredamento scolastico. Mentre alla XI Triennale del 1957 vengono presentati modelli stranieri, numerose ditte si lanciano nella produzione di banchi e arredi. Il tavolino monoposto, suggerito da Maria Montessori, è il modello più popolare, permettendo alla classe di assumere configurazioni diverse, e agli allievi di partecipare attivamente alle attività collettive. In questo contesto inizia a svilupparsi un pensiero del design modulabile, composto di elementi standard, dalle forme semplici, che possono cambiare funzione secondo i bisogni. In quegli anni molti architetti e designer sperimentano nuove forme di mobilio per la scuola, da Marcel Lods a Marcel Gascoin o Jean Prouvé in Francia, ad Arne Jacobsen in Danimarca. E in Italia, ecco apparire i banchi smontabili di Marco Zanuso per la società Palini, o le seggioline impilabili in polietilene per Kartell (1964), i banchi e gli sgabelli in tubo curvato di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, e Luigi Caccia Dominioni (1960) o i sistemi pensati da Centro Kappa sempre per Kartell (1978).
Da quella fase di vivace sperimentazione ad oggi, l’arredo scolastico ha subito pochissime evoluzioni creative, e troppo spesso, al contrario, è diventato sede di una riduzione dei costi, con l’utilizzo di materiali sempre più scadenti e la configurazione di spazi poco ospitali. Certo, le tecnologie hanno preso il sopravvento, gli schermi hanno sostituito le lavagne, ma una riflessione sistemica sull’arredo delle classi come ambiente sociale globale appare ancora troppo poco sviluppata. Eppure, il design per l’infanzia è un cantiere sociale fondamentale, come il Centre Pompidou dimostra, inaugurando il 24 aprile prossimo l’esposizione “L’Enfance du Design, Un siècle de mobilier pour enfant”, curata da Marie-Ange Brayer, che ripercorre gli ultimi cento anni di innovazione in questo ambito.
Uno dei progetti di punta presentati nell’esposizione è stato da poco in sperimentazione in una scuola elementare di Monaco ed è oggi presentato nel centro d’arte La station di Nizza, dove è accessibile alle classi delle scuole locali. Si tratta di “écoletopie”, sistema di oggetti e arredi sviluppato dallo studio francese smarin, basato a Nizza e fondato dalla designer Stéphanie Marin. Il progetto è stato lanciato all’occasione di un’altra esposizione dedicata al tema della scuola (“L’Art d'apprendre, une école des créateurs”, al Centre Pompidou Metz, curata da Hélène Meisel, 2022) – il che rivela come in Francia i musei sono all’iniziativa di progetti pedagogici innovativi.
Il progetto è composto da una serie di elementi in legno e materiali naturali che possono essere assemblati in modo semplice dagli allievi. Rispetto alle sperimentazioni del dopo-guerra, molte cose sono cambiate – da una parte si è diffusa la coscienza ecologica, la necessità di associare alle esigenze ergonomiche dei processi sostenibili, e, ancora più in profondità.
In questo contesto inizia a svilupparsi un pensiero del design modulabile, composto di elementi standard, dalle forme semplici, che possono cambiare funzione secondo i bisogni.
Nel caso di “écoletopie”, i moduli diventano il pretesto per discutere e sensibilizzare ai materiali, ai modi di produzione. Il design diventa pretesto per apprendere il ruolo del design nella costruzione della società di oggi. Poi, anche i modelli pedagogici non sono più gli stessi, anche se Montessori rimane di attualità, recentemente sono le teorie del brasiliano Paolo Freire o dell’attivista americano Dan Peterman a costituire i cardini delle nuove ricerche, e nuovi concetti come l’economia circolare e il riciclaggio assumono un ruolo fondamentale. E infine, l’intervento del designer diventa più globale, non concepisce solo i mobili ma è sempre più implicato nella produzione dei supporti pedagogici: dall’illuminazione alla grafica, dalle sedie alle superfici di proiezione, agli elementi didattici, la classe diventa sistema di sperimentazione.
Tutti i fondamentali sono ripensati per aderire ai nuovi valori della società. Il design è una strategia di mediazione. È il caso del manuale scolastico, ripensato dalla grafica Éloïsa Pérez, fino appunto alle schede didattiche composte da Stéphanie Marin per accompagnare il kit dei mobili, illustrando l’uso dei materiali sostenibili e i modi di produzione non estrattivisti. Oppure, introducendo all’interno dell’ambiente scolastico, le piante – come suggerisce il prezioso libro Eden. Educare (ne)gli spazi con le piante, pubblicato da Beate Weyland con Corraini (2022).
L’esposizione del Centre Pompidou metterà sotto i riflettori della scena internazionale questo cantiere fondamentale. Per descrivere il suo lavoro, Stéphanie Marin parla di “complessità felice”: occupandosi di scuola, disponendo in modo positivo il quadro dell’educazione, il/la designer contribuisce al diffondersi di un’utopia di cui il mondo ha ancora, anzi sempre di più, bisogno.
immagine di apertura: Smarin, écolotopie, ecole saint-charles, nouveau musée national de monaco, 2024. Courtesy smarin