Fondato da Stéphanie Marin nel 2003 a Nizza, epicentro di quel Midi da cui attingere un gusto per la vita felice e spensierato, lo studio Smarin progetta senza soluzione di continuità arredi, scenografie e installazioni (tra gli altri, per la Biennale di Venezia, il Palais de Tokyo, Documenta 14) prediligendo la modalità dell’autoproduzione e aprendosi a collaborazioni con artisti e creativi (come Céleste Boursier-Mougenot, Yto Barrada, Narimane Mari) per coltivare la propria curiosità e favorire il proprio rinnovamento.
Informali, aperte a usi molteplici e a tratti surreali, le sue collezioni identificano nel benessere del corpo e nell’invito al movimento una vera e propria priorità. Ne è un esempio la sChaise, sedia composta da bande elastiche intrecciate che fanno basculare il bacino, o i pouff Livingstones, Nénuphares, Les marches, Les angles, sedute ad alto tasso iconico da aggregare in maniera spontanea e sempre mutevole. Seguendo lo stesso approccio, i sistemi componibili Le hazard, AccA, Play yet!, utilizzano la modularità non tanto come espediente per favorire inserimento e capienza, ma come dispositivo funzionale per poter rispondere a sceneggiature sempre diverse, enfatizzando la libertà nell’abitare. In questa intervista, Stéphanie Marin ci racconta lo spirito del suo approccio progettuale.
Come definiresti l’identità del tuo studio e degli oggetti che ti piace creare?
Smarin è un gruppo di lavoro composto da 15 persone: concepiamo gli oggetti, li disegniamo, li sviluppiamo e riusciamo a fabbricarli in autonomia nel nostro laboratorio. Lavoriamo a Nizza. Siamo interessati alle materie più inoffensive e a quelle più morbide, che possono adeguarsi al corpo e non il contrario. Lavoriamo con rigore per identificare delle situazioni di comfort, degli oggetti che si adattino alle persone, che permettano di vivere situazioni molteplici all’interno di uno stesso ambiente, senza delineare uno scenario che predefinisce le situazioni, ma che al contrario le lascia sviluppare liberamente.
Hai diviso la tua produzione in due grandi famiglie di oggetti: gli elementi strutturali e gli elementi liberi. Sotto quale profilo questa classificazione descrive il tuo approccio al design?
È un modo per raccontare come possiamo costruire il nostro spazio e appropriarci del mondo che ci circonda. Alle volte non possiamo scegliere l’architettura che ci accoglie perché sfortunatamente preesiste agli oggetti, ma gli oggetti si possono integrare nell’architettura e creare uno spazio dentro lo spazio in maniera autonoma. In questo modo, diventa possibile relazionarsi al luogo in cui siamo, traendone vantaggio per conformarlo a ciò di cui si ha bisogno in un dato momento.
Che ruolo ha il corpo nella vostra progettazione?
È al centro del nostro lavoro di designer, è un presupposto irrinunciabile. L’oggetto implica una gestualità e questo aspetto m’interessa molto, perché tra i gesti ce ne sono di buoni e di cattivi e questi ultimi configurano problemi minori che generalmente non vediamo, ma ai quali è facile trovare una soluzione. Prendiamo l’essere seduti a una scrivania: perché non possiamo farlo su un oggetto che ci dia la libertà di movimento? Per questo la sChaise, la nostra seduta trampolino, mi sembra un’idea molto buona: da una parte non rivoluziona la maniera di sedersi, ma dall’altra risolve i problemi muscolo-scheletrici e favorisce la circolazione del sistema linfatico. Allo stesso modo, ho sviluppato in collaborazione con l’Observatoire des Médecines Non-Conventionnelles (OMNC) il Sifflu, un oggetto che ci permette di esercitare la nostra capacità respiratoria, ma che conserva l’attitudine della sigaretta, replicandone la posa e ammiccando alla pausa sigaretta come elemento di convivialità.
Siete appena tornati da Shenzhen dove avete presentato l’installazione “maxi mall 260000 m² mixed world shopping center”.
I cinesi per cultura non amano sdraiarsi in un luogo pubblico, ma avevano comunque voglia di creare un luogo di distensione e relax dentro questo gigantesco centro commerciale. Ci siamo accordati per un bar à sieste con sedute dalla forma allungata e abbiamo anche installato le lampade Kairos, che lavorano sulla sincronizzazione cardiaca. Sono stata molto contenta perché il pubblico locale si è subito appropriato di questo spazio, togliendosi le scarpe e sdraiandosi. Non si tratta di uno spazio meramente individuale: le Dune sono sedute abbastanza strette e si finisce per toccarsi subito, creando uno spazio d’intimità.
Che ruolo ha l’ironia nella vostra progettazione, per esempio quella che vediamo nelle fotografie che ritraggono i vostri prodotti?
L’ironia fa parte della felicità perché incarna uno spirito di leggerezza, un gioco di situazioni. Non credo tuttavia che il nostro lavoro sia poi così ironico, crediamo veramente a quello che facciamo, amiamo questi momenti di allegria e siamo sinceramente gioiosi quando lavoriamo insieme: è quello che cerchiamo.